Il Brasile è in mano a Jair Bolsonaro. Ora a rischio c’è l’Amazzonia e a catena il pianeta. Almeno se il neo eletto Capo di Stato vorrà mantenere fede alle promesse sventolate nella sua vincente corsa al palazzo presidenziale.
Dove e quando ha incitato: la creazione di un asse di penetrazione stradale tra le verdi e incontaminate foreste, la cancellazione della legislazione vigente e lo smantellamento del Ministero dell’Ambiente, l’apertura al mercato libero dei taglialegna.
Nel programma elettorale ha persino sottolineato di voler bandire dal Paese le ONG internazionali, da Greenpeace al WWF, nemmeno fossero le peggiori organizzazioni terroristiche. In aggiunta ha giurato di alleggerire il rilascio delle licenze ambientali per lo sfruttamento minerario nelle riserve. E ovviamente, seguendo l’esempio di Donald Trump, prospetta di uscire dal “male assoluto che governa il mondo”: gli accordi internazionali di Cop 21 sul clima (anche se per il momento sembrerebbe aver fatto marcia indietro).
Un altro negazionista, e anche in questo caso non di poco conto, sfasato dalla realtà. Un leader visionario che si pone lo scopo, di per sé assai facile, di non rispettare i parametri che dovrebbero impedire l’aumento del riscaldamento globale.
Fino a oggi, lo Stato con la foresta tropicale più estesa al mondo è stato impegnato, con altalenante convinzione, nella riduzione dei danni ambientali. I precedenti governi, segnati purtroppo dalla perdurante corruzione sistemica e da scandali, hanno in parte frenato la deforestazione dei proverbiali polmoni del mondo, introducendo alcuni paletti.
La campagna zero deforestazione illegale si è posta come obiettivo il 2030. Inoltre, erano state attuate significative riduzioni nelle emissioni di carbonio. La ratifica dell’accordo di Parigi nel 2016 era stata accolta favorevolmente dagli indigeni, meno dall’industria del settore agroalimentare. Nel novembre del prossimo anno i negoziati dell’ONU sul climate change avrebbero dovuto tenersi in Brasile, a questo punto con l’oscurantismo di Bolsonaro il summit potrebbe cambiare sede. Perdendo un pezzo rilevante nella tutela del pianeta. Se così fosse siamo difronte ad un disastro immane, senza bisogno di evocare profezie bibliche. Gli effetti catastrofici non tarderanno a ricadere sulla popolazione globale.
Un passo indietro moralmente assurdo, ma che per varie ragioni gode del favore della maggioranza degli elettori. Peccato che la democrazia non abbia dato voce a chi non può parlare: fiumi, alberi, animali, ecosistemi unici e non riproducibili.
Ad affermarsi invece è stata la pancia dei cittadini (e il portafoglio dell’oligarchia bianca). A fare breccia mediatica sui social e nelle piazze sono stati: la voglia di cambiamento e il diffuso sentimento che Bolsonaro incarni l’uomo forte in grado di arginare la criminalità. In un Paese con un altissimo tasso di violenza: oltre 60mila omicidi l’anno. Poi in gioco sono entrati anche aspetti lucrativi. La domanda crescente di esportazione di carne bovina e soia necessita di un’ulteriore espansione dei terreni agricoli a spese delle aree boschive. Non è un caso che tra i principali “estimatori” di Bolsonaro ci sono i grandi latifondisti.
Chi credeva che il tycoon americano fosse l’unico “pazzo scriteriato” in materia di ambiente (beh… non solo di quello) da oggi dovrà ricredersi, dal “manicomio” è scappato anche Jair Bolsonaro, grazie a milioni di voti.
Anche se la distanza geografica che ci separa è tanta, difficile non condividere le paure di Dinamam Tuxá, coordinatore nazionale dell’Associazione dei Popoli Indigeni del Brasile, secondo il quale Bolsonaro calpesterà i diritti delle minoranze: “Istituzionalizzerà il genocidio degli indigeni”.
Politico e uomo sopra le righe Bolsonaro, parà espulso dall’esercito per condotta irregolare, ha dimostrato apertamente e sfrontatamente di infischiarsene del rispetto per l’ambiente: nel 2012 venne denunciato per essere stato sorpreso a pescare in una riserva federale al largo della costa di Rio de Janeiro, motivo per cui gli venne anche comminata una multa di quasi tremila dollari.
Dal Nord di Trump al Sud di Bolsonaro, un intero continente rischia la deriva.
di Alfredo De Girolamo da Huffpost, edizione italiana