di Geraldina Colotti www.lantidiplomatico.it
Possono le urla isteriche di due deputati soffocare la voce di migliaia di persone? Possono se a fornire il microfono sono i media mainstream, al soldo di chi vuole convincere il mondo a schierarsi dal lato dell’oppressore: dalla parte di quel ristrettissimo numero di famiglie che detiene la ricchezza del pianeta, sottraendo ai popoli le loro risorse naturali e sfruttandone al massimo la forza lavoro.
Un sistema palesemente ingiusto e irrazionale, che distrugge le eccedenze prodotte invece di distribuirle – è il mercato, bellezza! – che aumenta il numero dei disoccupati, mentre obbliga chi lavora a ritmi massacranti, senza garanzie e con salari sempre più compressi.
Se guardassero ai fatti – alla loro realtà testarda e complessa – le masse popolari che marciano dietro false bandiere vedrebbero con chiarezza il precipizio a cui vengono condotte. Ma i fatti, la dura realtà dei fatti, ovvero la materialità dei rapporti fra le classi, vengono appunto stravolti dalla propaganda mediatica: dai media di guerra, partecipi del business che ne deriva. Fino a quando la rivolta popolare esplode, ieri in Venezuela con il Caracazo del 27 febbraio 1989, oggi a Parigi. E allora tutto diventa chiaro.
Diventa chiaro anche l’attacco contro quei paesi come il Venezuela che si ostinano a mantenere aperta la possibilià di un’alternativa al capitalismo, scommettendo di scavargli la fossa dall’interno. Diventa chiara la paura delle masse da parte delle classi dominanti e dei loro valletti con tastiera. Diventa chiara l’ossessione dei poteri forti contro l’”insopportabile” Maduro, il “dittatore” che, nei suoi primi cinque anni di governo si è messo alla prova di 9 elezioni…
Quanto più l’ex sindacalista del metro riesce ad andare avanti, schivando come può macigni e trappole, tanto più si alza il coro di chi vorrebbe celebrarne il De profundis: la morte del socialismo, che dev’essere cancellato dalla storia. “Non ci sono alternative – dice il ritornello – lasciate manovrare il manovratore, e affrettatevi ad acquistare (a caro prezzo) un posto in prima fila nella crociera di lusso verso l’abisso”…
Per questo, durante la visita in Messico di Nicolas Maduro, l’accoglienza festosa dei settori popolari, la grande sala stracolma di lavoratrici e lavoratori, sono state silenziate dai media mainstream, che hanno invece amplificato la reazione dei quattro gatti agitati in difesa dell’oligarchia. Nonostante le pressioni internazionali, il neo-eletto alla presidenza messicana, Manuel Lopez Obrador –AMLO– non ha ceduto ai ricatti degli Stati Uniti e di quell’arco di forze conservatrici che chiedevano di escludere Maduro dalla cerimonia di assunzione d’incarico.
Se lo avesse fatto, avrebbe voltato le spalle a una parte consistente del suo elettorato: ai movimenti popolari che, negli incontri internazionali, hanno incontrato l’appoggio del Venezuela e dei governi progressisti dell’America latina a fronte delle palesi violazioni dei diritti umani compiute nei vari paesi neoliberisti (dal Messico alla Colombia, dal Brasile all’Argentina, dall’Honduras al Guatemala)…
Ma di queste, evidentemente, non parlano né l’ineffabile Luis Almagro, Segretario generale dell’Osa, né i padrini di quei governi messi in sella per garantirne il carburante, asservendo i propri popoli al padrone occidentale.
Erano forse lì per tirare le orecchie al governo Maduro, responsabile – secondo le destre – di una gigantesca “crisi umanitaria” dentro il paese e alle sue frontiere? Neanche per idea: da mesi, i rappresentanti di Acnur si trovano nel paese bolivariano per mettere a punto un piano di accoglienza alla frontiera con la Colombia, da dove arrivano persone vittime di violenze – soprattutto donne – che hanno perso tutto e chiedono lo statuto di rifugiati. I rappresentanti di Acnur hanno fornito le cifre e illustrato i progetti, che prevedono anche un lavoro di formazione del personale preposto e l’attivazione delle comunità.
Un altro asse importante della politica bolivariana è quello della diplomazia di pace, portata avanti in tutti gli organismi internazionali dove il Venezuela ha occasione di intervenire, sia come attore politico, sia con compiti di direzione. E’ il caso del Movimento dei Paesi Non Allineati – la seconda istituzione internazionale per grandezza dopo l’ONU -, di cui il Venezuela ha la presidenza pro-tempore. E’ il caso ora della presidenza pro-tempore della Organizzazione dei Paesi esportatori di Petrolio (OPEC).
Di ritorno dalla Russia, dove ha concluso importanti accordi economico-commerciali, Maduro ha annunciato che, in ambito OPEC c’è stato l’accordo di 10 paesi alleati non Opec, fra i quali la Russia, per ridurre la produzione giornaliera di petrolio. E questo farà aumentare il prezzo del barile, “e gli investimenti per il nostro popolo”, ha detto il presidente. La Dichiarazione di Cooperazione, promossa da Maduro, sarà la base di lavoro dell’organismo internazionale per il 2019. “Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante, stiamo dando risposta allo sviluppo dei paesi del mondo. L’energia dev’essere per lo sviluppo dei popoli, non per la speculazione”, ha per parte sua affermato il ministro del Petrolio venezuelano, Manuel Quevedo.
Una politica di sovranità che non va giù a chi si concepisce come “cagnolino simpatico” di Trump. E, infatti, sia dal presidente colombiano Ivan Duque che dal suo alleato argentino Mauricio Macri, che dal nuovo giunto brasiliano Jair Bolsonaro, sono partiti attacchi e minacce al governo Maduro. Un generale brasiliano si dice convinto che presto in Venezuela ci sarà un colpo di stato. Bolsonaro, che assumerà l’incarico il 1 gennaio, ha ribadito il suo impegno a “combattere il comunismo” e ha offerto il Brasile come sede di un ipotetico tribunale per giudicare le “dittature” del Venezuela, di Cuba e di Nicaragua.
Una proposta che viene dal “gusano” Orlando Gutiérrez, ferreo oppositore del governo cubano trasferitosi negli Usa. Uno di quelli che latrano contro l’assunzione d’incarico di Nicolas Maduro per il suo secondo mandato, il 10 gennaio. Loro sperano nell’osso gettato dal padrone, il popolo bolivariano, conclusa con queste elezioni comunali una fase della sua rivoluzione, fa un bilancio (anche acceso), e guarda al futuro.