di G. Colotti www.farodiroma.it
Nella sala stampa del Palazzo Miraflores, l’entrata di tutti gli alti comandi militari e dei rappresentanti di governo annuncia l’importanza dell’incontro. Le parole del presidente Nicolas Maduro, precise e circostanziate, fanno tremare i polsi. Dice che John Bolton, assessore per la sicurezza di Trump, ha avuto l’incarico di incendiare di violenza il Venezuela, uccidere Maduro e provocare un intervento militare per formare un governo di transizione. Il piano – spiega il presidente – prevede l’attivazione di alcuni punti nei quali già sono presenti gruppi armati, pronti a entrare in azione con diverse strategie. Per questo, sono stati già disposti finanziamenti nell’ordine di 120 milioni di dollari.
Le riprese dall’alto, frutto di un capillare lavoro di intelligence e di contatti ben collocati all’interno stesso di quei paesi governati dal complesso militare-industriale, mostrano i campi di addestramento.
Nel nord di Santander, in Colombia, si sta allenando un gruppo paramilitare denominato G8, composto da 730 mercenari. Hanno divise della Forza Armata Nazionale Bolivariana e della polizia, per creare false situazioni di conflitto armato alla frontiera e provocare l’intervento esterno. Un altro gruppo di mercenari è operativo nella “base aerea del Tolemaida, nel Megar, nella zona amazzonica, una delle sette basi aeree degli Usa in Colombia”.
Il centro delle operazioni occulte si trova però nel Comando della Forza aerea di Eglin, basata in Florida: lo stato Usa da cui sono partiti gli ordini per inviare i droni all’esplosivo, partiti dalla Colombia, che avrebbero dovuto uccidere Maduro il 4 agosto. Gli obiettivi dei commando di Eglin sono le basi militari venezuelane di Puerto Cabello, Barcelona, la Libertador de Palo negro…
Al contempo, un “ufficiale traditore, il colonnello García Palomo”, un ricercato che si trova in Colombia, contatta militari venezuelani offrendogli denaro in cambio di tradimento, “ma questi, regolarmente, fanno rapporto, perché non si può distruggere l’indistruttibile: l’unità della nostra FANB”, ha detto ancora il presidente invitando comunque i militari a stare all’erta.
Il pericolo principale arriva dunque dalla Colombia di Iván Duque, che se volesse arrestare i golpisti avrebbe tutti gli elementi, ma che in America Latina svolge per gli Usa un ruolo simile a quello di Israele in Medioriente. Duque ha definito “inopportune” le parole di Maduro e denunciato gli esercizi congiunti tra militari russi e venezuelani, mentre ha lodato la presenza della “nave umanitaria” degli Stati uniti.
Già per la tentata strage del 4 agosto, Maduro aveva accusato il presidente Manuel Santos, allora a fine mandato, di avere per lo meno agevolato i piani per ucciderlo confezionati a Miami.
Che “l’opzione militare” contro il Venezuela fosse da tempo sul tavolo dell’amministrazione Usa lo aveva peraltro dichiarato lo stesso Trump, e lo avevano ripetuto i suoi rappresentanti con diversi accenti e in diverse occasioni. E, come hanno rivelato le stesse frange estremiste venezuelane basate a Miami, dell’attentato compiuto il 4 agosto ne stavano discutendo da mesi: anche con settori della Casa Bianca, ha scritto il New York Times.
Il nuovo “rumore di sciabole” era già arrivato sui media, soprattutto per bocca di quello che sarà il vero uomo forte, sostenuto dagli Usa, nel governo brasiliano di Jair Bolsonaro: il vicepresidente Antonio Hamilton Mourao, un generale che assumerà l’incarico con Bolsonaro, il 1 gennaio 2019. Mourao ha prefigurato quello che, nei piani delle destre, sarebbe lo scenario in Venezuela per il 2019: un colpo di Stato, l’intervento esterno, e l’invio di truppe ONU, com’è accaduto ad Haiti, dove un’invasione di militari e di ONG ha imposto una seconda schiavitù alla patria ribelle di Toussaint L’Ouverture.
Ma il Venezuela bolivariano ha ben presente gli insegnamenti della storia: quelli della lotta anticoloniale e quelli delle rivoluzioni. Cosa credono – ha detto con forza Maduro – che qui non ci sia una Forza Armata, un popolo e un governo rivoluzionario “disposto a dare la vita per difendere la sovranità nazionale”?
E cosa crede quell’opposizione che non sembra appoggiare la via golpista, di essere al riparo dalle conseguenze qualora si determinasse una situazione simile a quella che ha portato alla distruzione della Libia? Il presidente ne ha approfittato per tendere nuovamente la mano: per proporre di nuovo il dialogo sia all’opposizione che all’amministrazione nordamericana, invitandola a considerare i fallimenti delle politiche di ingerenza e di aggressione.
Un dialogo con pari dignità – ha detto il presidente – rigettando con forza la pretesa degli Usa di “legittimare o delegittimare governi” come se a governare il Venezuela fosse l’ambasciata nordamericana. “Io – ha detto – non devo niente all’ambasciata gringa e all’impero nordamericano, sono un presidente libero e indipendente, eletto dal popolo”. Al riguardo, Maduro ha ricapitolato le fasi della sua militanza politica, forgiata nella lotta popolare e sindacale, dove in varie occasioni è risultato il più votato, e ha raccontato come, con lo stesso spirito, abbia continuato ad assumere le responsabilità di governo.
Ha ribadito il carattere profondamente democratico del socialismo bolivariano, rispedendo al mittente la qualifica di “dittatore”, rivolta prima a Chavez e poi a lui: “I dittatori – ha detto – si cucinano nelle ambasciate gringhe e vengono formari dalle elite. Io mi sono formato nella lotta. Tutto quello che sono lo devo alla lotta popolare, non devo niente ai gringos”.
L’obiettivo del complesso militare-industriale a guida USA è quello di balcanizzare il Venezuela. La strategia del “caos controllato” mina l’organismo sociale dall’interno – con la guerra economica e con quella psicologica – e dall’esterno, con il discredito internazionale, l’isolamento e i falsi allarmi che preparano il terreno all’aggressione militare. Solo quest’anno – ha denunciato il presidente – nei media statunitensi, puntualmente replicati in tutto il mondo, sono state pubblicate 4.142 notizie negative sul Venezuela.
Il Segretario generale dell’OSA Luis Almagro sta facendo da apripista ai piani delle destre interventiste. Dopo aver definito quello venezuelano uno stato fallito e “narco-terrorista” (uno dei principali pretesti usati dagli Stati Uniti per aggredire i paesi ricchi di risorse nel sud globale o per impiantare basi militari), ora ha chiesto all’OSA di verificare se il Venezuela viola i trattati contro il nucleare: per mettere in circolo la stessa grande menzogna sulle “armi di distruzione di massa” usata per aggredire l’Iraq e poi la Siria.
Ma questa volta – ha detto il presidente – i popoli, a partire da quello statunitense, faranno blocco a difesa del Venezuela bolivariano e dei suoi ideali di pace con giustizia sociale, e accompagneranno l’assunzione d’incarico di Nicolas Maduro il 10 gennaio.