Venezuela. L’ambasciatore commenta l’insediamento di Maduro

Geraldina Colotti  www.farodiroma.it

La sala è piena, il momento è solenne. Isaias Rodriguez, ambasciatore del Venezuela in Italia, conclude il suo intervento a pugno chiuso.

Dietro di lui sfilano sullo schermo le immagini di una cerimonia storica che sta per iniziare: l’assunzione d’incarico del presidente Nicolas Maduro per un secondo mandato, 2019-2025. Tra gli invitati vi sono movimenti sociali, partiti e associazioni che sostengono il processo bolivariano. In prima fila siedono le ambasciatrici e gli ambasciatori dell’ALBA : Cuba, Bolivia, Nicaragua e Salvador.

Da mesi –da quando è presidente Lenin Moreno– si nota l’assenza dell’Ecuador, progressivamente passato nell’orbita degli Stati Uniti e del campo che non riconosce la “legittimità”di Maduro e dell’istituito venezuelano. Sul piano internazionale, l’assedio al Venezuela –economico, finanziario, mediatico e diplomatico– si va configurando con nuove e più insidiose modalità.

Da un lato, infatti, si costruiscono istituzioni artificiose come il Gruppo di Lima, e si ricattano i paesi dipendenti dagli Stati Uniti. Dall’altro, si favorisce l’azione di governi come quello ecuadoriano che, pur non partecipando direttamente al Gruppo di Lima, si dedicano a smontare l’integrazione latinoamericana, fornendo puntelli alla retorica sulla “catastrofe umanitaria” mediante la quale si sta cercando di aggredire anche militarmente il Venezuela.

All’assunzione d’incarico di Maduro, l’Ecuador non c’era, avendo già espulso l’ambasciatrice del Venezuela nei mesi scorsi. In compenso, il governo di Moreno, che prima sosteneva di non voler intervenire negli affari interni del Venezuela, continua a rilasciare dichiarazioni bellicose, e ha votato contro il paese bolivariano nel nuovo pronunciamento all’OSA voluto da Almagro il 10. Un voto con cui si è cercato nuovamente di bypassare le regole dell’organismo per farne uno strumento di aggressione e non di mediazione.

L’assedio al Venezuela e il disprezzo delle norme internazionali -a partire dalle sanzioni che bloccano i pagamenti di medicine e alimenti – indica la crisi di credibilità a cui sono arrivate le istituzioni internazionali, che fanno e disfano le regole a seconda dei voleri del grande padrone nordamericano. Quando le istituzioni internazionali fanno il loro mestiere, non servono e le si deve aggirarle o depotenziare. Quando i governi vogliono decidere per proprio conto e non per quelli delle grandi multinazionali, diventano immediatamente “antidemocratici” e li si deve isolare. Durante il suo intervento introduttivo, l’ambasciatore ha fornito i dati che mostrano la verità del Venezuela e della sua democrazia partecipata, e ha fornito chiavi per intendere l’assedio del “bastione” bolivariano: “Il mandato presidenziale che iniza oggi con l’insediamento del Presidente Nicolas Maduro Moros –ha detto Rodriguez– è il risultato della scelta espressa dalla maggioranza del popolo con le elezioni del 20 maggio 2018. Vi hanno preso parte 9.389.056 elettori; 5.823.728 venezuelani hanno votato per il presidente Maduro: il 67,8% dei voti espressi. Alle elezioni hanno partecipato 4 candidati in rappresentanza di oltre 50 partiti politici e movimenti. Un settore dell’opposizione – ha ricordato l’ambasciatore – non ha partecipato alle elezioni con l’obiettivo di delegittimare il risultato, ma nonostante ciò, la consultazione si è svolta in un clima civile e pacifico, come hanno testimoniato le organizzazioni internazionali che hanno accompagnato il processo elettorale”.

Dal 2004 – ha detto ancora Isaias Rodriguez – “il Venezuela ha adottato un sistema elettorale altamente automatizzato, definito inattaccabile da migliaia di osservatori internazionali. Da allora, con quel sistema sono state organizzate 19 elezioni, due delle quali perse dal chavismo”. Elezioni che, durante gli attacchi mercenari delle “guarimbas”, hanno messo in evidenza anche “gesti poetici”, come l’ambasciatore ha definito quei veri e propri atti di eroismi compiuti dalla popolazione durante il voto per l’Assemblea Nazionale Costituente: che ha riportato la pace nel paese, ratificata da oltre 8 milioni di persone.

Isaias Rodriguez ha poi ricapitolato le fasi di una feroce campagna per delegittimare l’Assemblea Nazionale Costituente. Un crescendo di azioni messe in atto contro la Repubblica Bolivariana e la sua democrazia partecipata. “Si prepara – ha detto Rodriguez– uno scenario per legittimare qualunque aggressione contro le nostre istituzioni, inclusa un’eventuale operazione militare, una possibilità avanzata in più di un’occasione dal presidente Trump. Allo stesso tempo – ha aggiunto -, il non riconoscimento del governo del Venezuela permetterebbe ai nemici di promuovere e finanziare azioni di destabilizzazione interna che facilitino il rovesciamento del governo: fino ad arrivare all’eliminazione fisica del presidente come hanno provato a fare con i droni esplosivi, il 4 agosto del 2018”.

Un pericolo incombente in questa fase di crisi strutturale del capitalismo e di crisi di egemonia dell’imperialismo nordamericano, la cui confusa situazione politica potrebbe portare i falchi di Washington a giocarsi il tutto per tutto. Significativo, al riguardo, l’avvertimento diretto della Russia agli Stati Uniti. Per questo, com’è accaduto in altri tentativi di “balcanizzazione” del mondo – dalla Libia alla Siria, passando per l’Iraq e per l’Afghanistan – l’imperialismo deve intorpidire le acque, imponendo falsi concetti e false interpretazioni. La strategia della confusione – quella del “caos controllato”, secondo la terminologia usata dal Pentagono – è una parte importante dell’attacco al Venezuela.

A dispetto della logica, Maduro sarebbe perciò un “dittatore”, “un uomo solo al comando”, come titola oggi un grande quotidiano italiano, sempre in prima fila nella guerra mediatica contro il Venezuela. Un aspetto che prenderà sempre più piede negli attacchi in crescendo contro il socialismo bolivariano.

Il gran parlare di pace (senza giustizia sociale), serve al capitalismo per continuare a imporre la sua truffa e a preparare la guerra (imperialista). Il gran parlare di “legittimità” e diritti umani (senza garantire innanzitutto quelli primari), fornisce all’imperialismo la maschera dietro la quale continuare a calpestare, sia le regole che pretende imporre alle classi popolari, sia quelle “libertà” decantate. Diffondere i dati veri, e non le cifre gonfiate dalle agenzie di stampa subalterne ai voleri di Washington, serve perciò a orientare e a spingere i meno disonesti a un minimo di rigore professionale.

“Il Venezuela è isolato”, titolano i media mainstream, con la solita arroganza neocoloniale: come dire che i 112 paesi che hanno riconosciuto l’investitura del presidente venezuelano, non contano. Che i governi di Cina, Russia, Messico, non contano. Che i rappresentanti di organismi come la Lega Araba (20 paesi), l’Unione Africana (54 paesi), la Fao, la Celac, Caricom, la Opep… siano stati presenti all’assunzione d’incarico, non conta. E tantomeno contano i movimenti popolari, che hanno manifestato il loro sostegno, a Caracas e nel mondo intero. Conta di più il Gruppo di Lima. La Conferenza Episcopale venezuelana, conta di più del Vaticano, che ha inviato un rappresentante alla cerimonia d’investitura.

Il Venezuela è un paradigma e una trincea, concreta e simbolica. Maduro ha prestato giuramento davanti al Tribunal Supremo de Justicia, come prevede la costituzione in caso di impedimenti eccezionali. In questo caso, l’impedimento è rappresentato dall’azione eversiva della destra che da quando ha ottenuto la maggioranza in Parlamento, nel 2015, ha avuto come unico obiettivo quello di delegittimare le istituzioni e di chiedere l’invasione armata del paese.

Alle minacce imperialiste, come quella di deferirlo alla Corte Penale Internazionale o alle nuove sanzioni Usa, Maduro ha risposto rivendicando l’orgoglio dei popoli ancestrali e di quelli presenti, intenzionati a difendere il proprio cammino e la propria indipendenza: quello del socialismo, contro la barbarie. “Sono un umile operaio – ha ripetuto – la mia legittimità viene dal popolo, non dalle oligarchie”.

Forte e chiaro il suo avvertimento all’Unione Europea, affinché desista dal seguire una volta di più la via voluta da Trump e dagli Stati Uniti. “500 anni di oppressione coloniale, non vi bastano?” ha chiesto il presidente, ricevendo un’ovazione. Poi, ha di nuovo teso la mano, sia all’opposizione interna, che ai governi ostili. Per questo, ha proposto un incontro internazionale “con agenda aperta” per discutere dei problemi del continente: ma senza ingerenze esterne.

Da una parte, la voce del socialismo, dunque della ragione. Dall’altra, quella dell’ottusità imperiale che ha dato mandato ai suoi scherani di attaccare con violenza le sedi diplomatiche internazionali: com’è accaduto in Perù. La cosiddetta piattaforma VenEuropa (di destra), ha sollecitato i deputati dell’Unione Europea a proseguire gli attacchi al governo bolivariano. La Rete Europea in difesa della Rivoluzione Bolivariana, invece, ha manifestato il proprio sostegno al compagno Maduro in diverse capitali europee. In Italia, l’opposizione si è riunita alla Camera, accompagnata dal solito deputato Fabio Porta (PD). Questa volta, le destre venezuelane non hanno imitato i loro compari peruviani (forse per paura di sporcarsi le pellicce).

Ma, dalla Francia, i movimenti popolari hanno inviato in regalo a Maduro un “gilet giallo”, simbolo della rivolta in corso contro il governo neoliberista di Macron. “Un simbolo adatto al nostro Venezuela indomito e ribelle” ha detto il presidente. Un segno che la rivolta popolare sta riprendendo, e che la partita per il socialismo, anche in Europa, è tutt’altro che chiusa.

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