Il 14 gennaio, mentre il presidente Jimmy Morales teneva il suo terzo informe di governo, organizzazioni contadine, sindacati e movimenti sociali manifestavano nella capitale e massicci blocchi stradali venivano effettuati nei dipartimenti di Alta Verapaz, Quiché, Quetzaltenango, Totonicapán, Chiquimula, Petén. Le proteste erano rivolte contro la politica del capo dello Stato e contro la sua decisione di cacciare dal paese la Comisión Internacional contra la Impunidad en Guatemala (Cicig).
Già due giorni prima migliaia di persone erano scese in piazza contro la corruzione e per esprimere appoggio alla Cicig. L’organismo delle Nazioni Unite aveva denunciato nel 2016 un figlio e un fratello di Morales perché coinvolti in una truffa e l’anno successivo aveva chiesto che venisse revocata l’immunità allo stesso presidente, sospettato di finanziamento illecito nel corso della sua campagna elettorale. In quell’occasione Morales era stato salvato dal Congresso, che aveva evitato l’apertura di un’indagine.
La fine dell’accordo del 2006 che aveva portato alla creazione della Commissione era stata notificata il 7 gennaio dalla ministra degli Esteri, Sandra Jovel, ma il segretario generale dell’Onu aveva respinto la decisione, invitando il governo guatemalteco a rispettare i suoi impegni internazionali. Nel frattempo si svolgeva un braccio di ferro tra l’esecutivo e la Corte Costituzionale, che interveniva per permettere l’ingresso nel paese di uno degli inviati della Commissione, Yilen Osorio Zuluaga, bloccato in aeroporto dalle autorità migratorie. La Corte si pronunciava inoltre contro l’interruzione unilaterale della missione della Cicig.
Non è la prima volta che Morales tenta di liberarsi della presenza scomoda dell’organismo dell’Onu. Lo aveva già fatto nel 2017 ordinando l’espulsione del titolare, il colombiano Iván Velásquez: anche allora un intervento della Corte Costituzionale aveva reso nullo il provvedimento. L’anno successivo il capo dello Stato aveva manifestato la decisione di non rinnovare il mandato della Cicig per presunte violazioni alle leggi nazionali. L’annuncio era stato fatto nel corso di una conferenza stampa mentre, in un chiaro atto di intimidazione, veicoli militari prendevano posizione di fronte alla sede dell’organismo. E di nuovo, a bloccare il tentativo del presidente, era intervenuto il massimo tribunale. Massicce manifestazioni in diverse città avevano mostrato il malcontento della popolazione nei confronti della corrotta classe politica.
Non si arresta intanto la strage di ambientalisti e difensori dei diritti umani. Tra le ultime vittime i fratelli Neri e Domingo Esteban Pedro, assassinati in dicembre: si battevano contro la costruzione di una centrale idroelettrica nella regione di Ixquisis (Huehuetenango). A fine luglio era stata uccisa Juana Raymundo, della comunità ixil: il suo corpo era stato ritrovato con segni di tortura a Nebaj, nel Quiché. Juana faceva parte del Movimiento para la Liberación de los Pueblos e del Comité de Desarrollo Campesino, una delle principali organizzazioni rurali del Guatemala. E in settembre, sempre a Nebaj, veniva colpita a morte dai killer la dirigente della Red de Mujeres Ixiles Juana Ramírez Santiago.