di Fabrizio Verde www.lantidiplomatico.it
Il Venezuela è immerso nella cosiddetta post-verità. La propaganda mediatica colpisce il paese senza soluzione di continuità a reti unificate. Spesso utilizzando notizie completamente false – fake news per usare la definizione maggiormente in voga – che vengono smentite e smontate nel giro di poche ore.
Ma l’importante è il messaggio veicolato: il Venezuela è un paese sull’orlo della bancarotta governato da un despota che risponde al nome di Nicolas Maduro. Dittatore disprezzato dalla comunità internazionale, oltre che dal proprio stesso popolo a cui starebbe affliggendo sofferenze inenarrabili pur di perpetuarsi al potere.
Uno scenario quanto più lontano è possibile dalla verità. Tanto è vero che i fatti hanno la testa dura e si incaricano di smontare la narrazione tossica portata avanti da un circuito mainstream totalmente appiattito sulle posizioni intransigenti verso Caracas dei falchi di Washington.
Così, troviamo relegata in piccoli trafiletti una notizia interessante: nonostante i canti di guerra provenienti da Washington, i ministri degli Esteri di Francia, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo, attraverso una dichiarazione comune esprimono il proprio impegno per promuovere il dialogo in Venezuela.
La dichiarazione inoltre arriva dopo che i rappresentati diplomatici di diversi paesi europei hanno incontrato Nicolas Maduro a Miraflores riconoscendo la piena leggittimità del nuovo mandato iniziato il 10 di gennaio. Nonostante le manovra golpiste di parte dell’opposizione manovrata da Washington.
Una posizione importante e non scontata che va ad innestarsi sul lavoro compiuto dall’ex presidente spagnolo Zapatero il quale si è molto speso nei mesi scorsi al fine di promuovere un dialogo costruttivo tra governo e opposizione in Venezuela.
Circostanza che in più di un’occasione ha scatenato le ire di Washington e dei settori golpisti dell’opposizione a Maduro.
La volontà di promuovere il dialogo in luogo del confronto e del golpismo aperto, cozza con la nuova uscita volta alla destabilizzazione di Caracas di Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo. L’esponente di Forza Italia ha dapprima incontrato il neonazista venezuelano Lorent Saleh, presentandolo come una sorta di martire per la libertà perseguitato dallo spietato tiranno Nicolas Maduro, e poi denunciato fantomatiche minacce ricevute via Twitter per la sua attività a favore dell’opposizione in Venezuela. Minacce che abbiamo definito fantomatiche perché non vi è traccia in calce ai post indicati dal politico italiano.
Tali posizioni intransigenti e che strizzano l’occhio alla destabilizzazione aperta sono sempre più rigettate anche da parte di settori dell’opposizione venezuelana. L’ultimo in ordine di tempo è stato Claudio Fermín, presidente del partito Soluciones para Venezuela.
Fermín ha pronunciato parole chiare: «Qui il presidente si chiama Maduro», aggiungendo che il successore di Chavez è stato votato da «milioni di persone e questa circostanza non può essere disconosciuta».