Mision Verdad – http://aurorasito.altervista.org
Un cablo della Associated Press (AP) rivela che gli Stati Uniti e i loro partner nella regione sudamericana sapevano nei dettagli l’agenda dell’opposizione per il piano per l’installare un “governo parallelo o di transizione”. Veniva riferito che Juan Guaidó manteneva le comunicazioni coi funzionari statunitensi nel dicembre 2018, e poi ebbe un incontro a Washington. Il piano “fu consolidato in settimane di diplomazia segreta con messaggi criptati”, secondo la nota.
Oltre al viaggio negli Stati Uniti, il capo di Voluntad Popular (VP) visitò Brasile e Colombia. Il governo di Iván Duque permise l’uscita di Guaidó del Venezuela con lo scopo di non sollevare sospetti tra le autorità venezuelane. Secondo AP, il presidente dell’Assemblea nazionale (AN) osservò a Bogotá il piano per proclamarsi presidente ad interim per la manifestazione del 23 gennaio. Il politico dell’opposizione Antonio Ledezma aggiunse dettagli sui colloqui, citati dall’agenzia: Stati Uniti e Paesi latinoamericani contrari al governo di Nicolás Maduro, raggruppati nel gruppo di Lima, furono informati che si sarebbero tenute manifestazioni per l’inaugurazione del 10 di gennaio. Aggiungeva che “la costruzione del consenso in una frammentata coalizione antigovernativa era una dura lotta”. Su questo, va ricordato il disarmo che i partiti dell’opposizione subirono dopo il fallimento delle guarimbas all’inizio del 2017. La cattiva mossa li portò a stabilire canali di dialogo col governo bolivariano, un fatto smentito dal governo bolivariano e dalla maggior parte dei seguaci. “Le sessioni prolungate di invio di messaggi divennero normali”, aveva detto Ledezma in relazione sull’organizzazione silenziosa del colpo di stato. Leopoldo López, un leader sedizioso e detenuto del VP, sarebbe stato uno dei principali canali d’informazione, secondo un anonimo funzionario nordamericano.
Seguiva il cablo: “La decisione di confrontarsi direttamente con Maduro è stata possibile solo grazie al solido sostegno del governo di Donald Trump, che ha guidato un gruppo di governi conservatori latinoamericani a riconoscere Guaidó”.
Apparentemente, altri politici influenti del Partito democratico, i senatori Bob Menendez e Dick Durbin, diedero il loro sostegno al golpe. Gli Stati Uniti confermavano che la Casa Bianca è il vero responsabile di Guaidó nell’ottenere un forte sostegno dai governi latinoamericani contrari al chavismo. Citiamo: “Trump personalmente scatenò ciò”, aveva detto (Fernando) Cutz, attualmente impiegato dalla società di lobbying Cohen Group. “In ogni conversazione che ebbe coi capi in America Latina da quando è entrato in carica, citava il Venezuela. Aveva cambiato molte opinioni’.” AP osservava che “il Canada ebbe un ruolo di primo piano”, la cancelliera Chrystia Freeland parlò con Guaidó la sera prima che Maduro si insediasse e gli offrì il sostegno del suo governo per affrontare il leader socialista”, aveva detto un funzionario canadese. “Furono anche molto attivi in Perù, Brasile, col nuovo presidente di destra Jair Bolsonaro, e Colombia”.
Il ruolo di Rubio
Sebbene il senatore Marco Rubio avesse recentemente dichiarato che, sebbene gli Stati Uniti avessero “tutte le opzioni” sul Venezuela, nessuno parlò apertamente nel governo degli Stati Uniti d’intervento militare per sostenere il colpo di Stato, la prova che si pensasse a tale misura sono diverse e provengono dai media nordamericani. Infatti, un articolo del New York Times (NYT) affermava che Rubio “è diventato capo ed architetto della politica, e di fatto il portavoce, di una campagna audace e rischiosa che coinvolge gli Stati Uniti nel conflitto che ora interessa il Venezuela”. I giornalisti che firmarono la nota definivano il senatore “il segretario di Stato virtuale per l’America Latina”, che “compì sforzi per coinvolgere ed istruire Trump” in relazione al colpo di Stato contro il governo chavista di Nicolás Maduro. Aggiunsero che Rubio e il vicepresidente Mike Pence ed altri alti funzionari “esortarono” Trump a sostenere Guaidó. Il sussurro costante dal senatore della Florida alle orecchie del presidente di coinvolgersi sempre di più si ebbe da febbraio 2017 ( visita di Lilian Tintori all’ufficio ovale), poi, secondo il New York Times, Rubio e Trump parlarono del Venezuela almeno una volta al mese da allora. Inoltre, quando Guaidó accettò l’idea i atuonominarsi “presidentedel Venezuela”, NYT riferì il 22 gennaio che “Trump e il suo team incontrarono Rubio alla Casa Bianca insieme ad altri tre repubblicani della Florida: il governatore Ron DeSantis, il senatore Rick Scott e il congressista Mario Diaz-Balart”. Rubio era colui che insistiteva, ancora una volta, nel riconoscere Guaidó secondo il piano. Non invano, la piattaforma mediatica decise di soprannominarlo “defenestratore in capo”.
Una misura pensata di recente?
Gli incontri svolti nella Repubblica Dominicana nell’ambito delle tavole rotonde di dialogo nel 2017 e 2018, che ebbero come mediatore l’ex-presidente spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, cercarono di generare il consenso tra i due blocchi al fine di raggiungere un’uscita delle violenze e raggiungere la stabilità politica nel Paese. Il ritorno della “agglutinazione” cui fa riferimento il cablo dell’AP può essere collegato alla rottura delle conversazioni nella Repubblica Dominicana, quando gli oppositori venezuelani, guidati dal portavoce anti-chavista Julio Borges, si rifiutarono di firmare l’accordo che coinvolgeva la loro partecipazione, su pressione aperta di Rubio. La dipartita di Borges dai tavoli del dialogo era dovuta alle pressioni del dipartimento di Stato nordamericano che impedì il patto di convivenza politica. Il 7 febbraio 2018, Zapatero osservò il sabotaggio che i partiti politici dell’opposizione fecero della firma degli accordi. “Il testo presentato è una sintesi dell’essenziale in termini di garanzie elettorali, osservazioni e data delle presidenziale”, aveva detto alla stampa. Durante l’intervento, aggiunse che “nessuno ha proposto un’alternativa a questo accordo di convivenza democratica”. Quel pomeriggio, Borges avrebbe presentato un contro-documento che doveva sabotare il consenso e imporre ciò che chiaramente favoriva l’opposizione. Il documento ufficiale stabiliva le condizioni per lo svolgimento delle elezioni, discusse in sessioni con governo ed opposizione. Tra le richieste elettorali c’era l’invito alle organizzazioni internazionali ad essere osservatori nel processo, accesso ai media ed istituzione di un calendario per le elezioni legislative e municipali. Va notato che tutti gli accordi presero come riferimento il CNE, quando fu elaborata l’agenda elettorale del 2018. Il siluramento delle azioni politiche principalmente guidate dal governo bolivariano dimostra che l’opposizione, indebolita al momento, prese la decisione deliberata di non candidarsi alle elezioni presidenziali per delegittimarle, così come il rifiuto di ONU ed Unione europea d’inviare una missione elettorale, come concordato. Le ragioni sembravano tracciare questo punto, combinando una crisi economica esacerbata dal blocco finanziario attraverso le sanzioni statunitensi, all’installazione di un “governo parallelo” guidato da VP, fertile terreno sociale da cui l’opposizione pesca, come negli ultimi sei anni, per assorbire il capitale politico con cui ora cerca sostegno sia dalle Forze armate nazionali bolivariana (FANB) sia dei vasti settori popolari, per attuare il colpo di Stato.
La delegittimazione delle elezioni presidenziali del 20 maggio non solo cercava di infrangere le soluzioni politiche al conflitto venezuelano, ma apriva la strada ai gruppi di opposizione più sediziosi, guidati dal VP, nel prendere il controllo dell’Assemblea nazionale e promuovendo così un formato inaudito d’intervento e colpo di Stato (già provato in Medio Oriente) non solo in Venezuela, ma in America Latina. Anche il fallito plebiscito dell’opposizione a favore dell’insediamento di un “governo parallelo” nel contesto delle guarimbas del 2017 dimostra ancora che la “presidenza ad interim” di Guaidó era un vecchio piano, solo ora reso pubblico per la favorevole correlazione dei governi di destra nella regione, anche se il suo corso è incerto, forse violento e non assicura alcun successo.
Traduzione di Alessandro Lattanzio