R. M. Westphal, Mision Verdad – http://aurorasito.altervista.org
La politica interventista degli Stati Uniti negli affari interni di altre nazioni è stata una costante in tutte le regioni del mondo. È basato sulla sicurezza nazionale di quel Paese, non è responsabile nei confronti della popolazione e del territorio, ma delle aziende globali che lo finanziano.
Ciò che attuano in Venezuela è la coniugazione di altre operazioni contemporanee nel Medio Oriente e nei Balcani. L’esperienza sistematizzata e convertita in manuali è stata accettata dai politici locali antichavisti. Sequenza cronologica che ci porta all’atto d’autoproclamazione presidenziale del capo dell’opposizione Juan Guaidó, con la sensazione di ripetere scenari con altri attori. La revisione è necessaria, in modo da valutare i risultati ottenuti concedendo l’opportunità di costruire Stati artificiali alle potenze occidentali. I regimi provvisori sono il ponte per indurre politiche neoliberali che garantiscano il controllo delle multinazionali sulle regioni strategiche e sul commercio mondiale. Questo è dal lato più gentile del capitalismo, mentre il suo alter ego installa strutture profonde del potere in cui crimine organizzato, la tratta di esseri umani, traffico di droga e armi coesistono liberamente.
Sottosistemi africani e controllo delle risorse naturali
Il caso della Libia, a causa del greggio, è un riferimento obbligatorio. Operò nel 2011 con la strategia d’istituire un governo all’estero, fornendogli risorse e sconvolgendo l’opinione pubblica con la propaganda anti-Gheddafi. Dopo alcuni mesi, il Consiglio nazionale di transizione fu riconosciuto diplomaticamente e politicamente, lasciando il posto al disastroso intervento militare della NATO e all’installazione di migliaia di terroristi che si scontrano disgregando il Paese. Dopo il crollo istituzionale, non fu questione di primo ordine per gli attori stranieri coinvolti nella promozione della riconciliazione nazionale. Mentre i partiti belligeranti si convertire a traffico di armi, contrabbando di petrolio, addestramento di mercenari e schiavitù come attività di routine dell’economia informale, il dipartimento di Stato degli USA gestì le attività congelate di Tripoli nei conti esteri. La Libia era un’area che contrastava col resto del continente, ma il ripristino dell’ordine democratico l’ha messa in sintonia con il destino degli altri che, a partire dagli anni ’60, subiscono le devastazioni delle mutilazioni che la CIA pianificò contro i movimenti panafricani nel loro tentativo di unificare propri criteri d’identità africana. Nei Paesi del vecchio continente sono installate figuri che consentono il controllo di strutture criminali parallele sostenute da multinazionali e agenzie non statali. Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Liberia, Sierra Leone, Angola, tutti i Paesi dell’Africa sub-sahariana sono sommersi da conflitti inquadrati nella logica neoliberista e dall’intermediazione degli Stati nel saccheggio delle risorse. Roger Morris, assistente diretto dell’amministrazione Kissinger in politica estera negli anni ’70, confermò che, con alcune eccezioni, gli Stati Uniti erano dietro a tutti i golpe verificati in Africa dal 1960. Da allora, le popolazioni hanno assistito a un carnevale di regimi deposti, governi provvisori e dittature con genocidi e omicidi generalizzati come sfondo, senza fare rumore nella comunità internazionale, nonostante fossero scenari in cui venivano si misuravano i blocchi che si affrontavano nella guerra fredda. Coltan, uranio, diamanti e petrolio sono le risorse che condizionano il destino politico dell’Africa. Le reti del traffico illecito in queste aree sono gestite da commando politico-militari che custodiscono miniere e pozzi delle compagnie petrolifere e minerarie. Le società traggono profitto estraendo materie prime e fornendo armi ai custodi locali. Il commercio di armi è una politica del doppio standard degli Stati Uniti. Oltre agli utili che ottengono dalle spese militari, condizionano la vendita a fattori che spostano l’equilibrio strategico nel continente. Halliburton, Lockheed Martin, Northrop Grumman e Raytheon sono appaltatori militari che alimentano i guerrafondai. La Libia è stata relegata a tale comun denominatore.
Kosovo: modello di istituzioni criminali da esportare
Mentre nei Paesi africani la fornitura indiscriminata di armi favorisce le guerre e impedisce il riconoscimento di un’autorità comune, in specifiche circostanze l’industria militare taglia tale flusso, ancora una volta per indurre tendenze. Qualcosa accadde nella balcanizzazione dello Stato jugoslavo. Il caso dello smembramento della Repubblica di Jugoslavia mostra l’immagine perfetta di come l’installazione di governi stranieri legati al grande capitale porti con sé i vizi criminali del libero mercato che alterano per sempre la sostanza della società. Dall’intervento militare della NATO, in Kosovo si è constatato che il fatto può perfettamente sovrapporsi a teoria e legge se le condizioni lo consentono. Gli Stati Uniti conseguirono la proclamazione unilaterale dell’indipendenza di una porzione strategica degli ex-Stati jugoslavi. Questo, dopo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvò la presenza internazionale per la sicurezza militare e civile sotto la figura della Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK). Tale figura lavorò dal 1998 al 2008 come amministratore territoriale straniero, imponendo agenti non legati al territorio agli spazi istituzionali. In quel periodo fu promossa l’autoproclamazione dell’indipendenza del Kosovo, dispiegando personale per costruire, organizzare e supervisionare le istituzioni della nuova tappaco democratico. E’ pubblicamente noto il pretesto usato dai Paesi membri dell’Alleanza Atlantica, guidati dagli Stati Uniti per intervenire militarmente nella Jugoslavia. Il terreno fu precedentemente creato con misure coercitive sul sistema economico nazionale che generò il collasso delle regioni. Insieme mediarono il conflitto etnico-nazionalista che minò la coesione della regione più stabile dell’Europa orientale. È ormai noto che l’obiettivo geopolitico degli Stati Uniti era conquistare una zona strategica per controllare i flussi energetici tra Medio Oriente ed Europa, nonché il traffico illegale di oppiacei dall’Afghanistan. Infatti, non appena il bombardamento della NATO all’uranio impoverito terminò nel 1999, il Pentagono prese una porzione di mille ettari del Kosovo per installarvi la base militare di Camp Bondsteel. L’accordo fu concluso dalla Halliburton, che raggiunse il primo contratto in logistica militare grazie alla devastazione di una nazione. Il predominio del cartello della droga nella traversata eurasiatica finanzia le basi operative volte a mitigare l’influenza dei sistemi socialisti russi e cinesi nell’Europa sud-orientale per consentire l’ingresso a multinazionali e banche occidentali coi loro regimi economici di libero mercato. Laboratori furono installati per testare le rivoluzioni colorate e formare jihadisti poi esportati nel resto dei Balcani, Europa e Medio Oriente. A sua volta, la gestione dei passaggi delle strade che collegano l’Europa occidentale e Cina coi produttori di petrolio nei Paesi arabi si cercò d’indebolire i nemici commerciali. Le province della ex-Jugoslavia compirono la transizione immediata a Stati mafiosi e di narcotrafficanti. Secondo le stime della stessa UNMIK, le attività criminali in Kosovo rappresentavano, nel 2008, il 15-20% del PIL, una cifra considerevole considerando che buona parte dell’economia è sostenuta da aiuti esteri. Gli alti funzionari del moderno “Stato” del Kosovo mostrano una record oscuro di denunce che li collega al crimine organizzato. Il Consiglio d’Europa presentava prove che accusano Hashim Thaçi, ex-primo ministro del Kosovo e membro dell’Esercito di liberazione del Kosovo (un’organizzazione terroristica finanziata dagli Stati Uniti), di guidare società illecite che operano dietro le quinte. Tra loro una rete criminale che estraeva organi dai prigionieri di guerra per venderli alla mafia internazionale. Gestire il traffico di organi, armi e droghe avviene per collaborazione delle élite con le reti criminali transnazionali cui hanno garantito l’indipendenza.
Cosa emerge dalla restaurazione democratica spinta dagli Stati Uniti?
Non è un caso che il colpo di Stato in Venezuela richieda operatori con esperienza nella distruzione di intere nazioni per aumentare i profitti delle imprese. Dal consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e il suo record di accuse infondate a Iraq e Cuba, all’inviato per “ripristinare la democrazia” Elliot Abrams e il suo rapporto con lo scandalo Iran-Contra. Anche nelle posizioni più basse, il gruppo è molto ben selezionato. Gli ultimi incaricati dei negoziati inviati in Venezuela lavorarono in luoghi di conflitto geostrategico: Lee McClenny, in carica tra il 2014 e il 2017, era un addetto stampa della NATO durante gli attacchi in Kosovo; e l’attuale, James Story, fu alto rappresentante del Rakkasan Airborne Regiment Combat Team schierato in Afghanistan nel 2010. Le recenti decisioni della Casa Bianca di affrontare il Paese mostrano che l’obiettivo è abbattere il più forte bastione della resistenza alle multinazionali. Il dipartimento di Stato armò il “governo provvisorio” e il primo ordine fu di elaborare uno strumento dall’apparenza legale che garantisca l’appropriazione degli idrocarburi al capitale privato degli Stati Uniti, requisito accettato dal “presidente” autoproclamato Juan Guaidó quando dichiarò che creava una nuova legge sugli idrocarburi che concederà gas naturale e greggio a diretto vantaggio della ExxonMobil transnazionale. Parallelamente, gli Stati Uniti adottavano l’embargo contro PDVSA e la sua controllata statunitense Citgo. Steven Mnuchin, segretario del Tesoro, riferiva del blocco di beni valutati a 7 miliardi di dollari che porteranno a perdite previste in 11 miliardi. gravando su una nazione che dipende esclusivamente dall’ingresso di valuta straniera dalla PDVSA di proprietà statale. Ma al di là del danno c’è il riappropriarsi di territori che in precedenza potevano trivellare per estrarre risorse energetiche senza chiedere il permesso allo Stato venezuelano. L’intervento di Bolton sulla rete televisiva Fox confermava che: “Parliamo con le principali compagnie statunitensi ora… Sarà una grande differenza per gli Stati Uniti economicamente se potessimo avere società statunitensi che investono e producono petrolio venezuelano”. Il Venezuela, come Paese, è un ostacolo non solo per l’atteggiamento sovrano sulle sue risorse o per l’impegno verso il mondo multipolare emergente, ma a causa dei ritardi che genera nel corridoio della droga tra Colombia e Stati Uniti. Penetrare il territorio garantirebbe anche il libero flusso della cocaina prodotta nei dipartimenti colombiani sulle acque dei Caraibi. La classe corporativa sostiene il processo di transizione che consenta il riordino delle istituzioni pubbliche delegate a dipendenti fedeli nel proteggerne funzioni a chi ha il profilo di chi amministra regioni sottomesse. Gruppi che forniscono risorse con facilità come in Africa, e che partecipano alle reti del traffico di droga ed attività derivate irregolari, come nella regione balcanica.
Il piano di Paese che vogliono distruggere
Al tempo crollarono panafricanismo, nazionalismo jugoslavo e panarabismo, programmi pericolosi ne presentavano un’alternativa distante dalla categoria del terzo mondo assegnatagli dall’occidente. La ferita era abbastanza profonda da escludere qualsiasi risorgenza.
Tuttavia, le élite mondiali capivano che tale ritiro non durò molto. Tremano all’avanzare del mondo multipolare, anche se in termini temporali è ancora un processo embrionale. In questo contesto, l’assalto al Venezuela si comprende. Il chavismo collabora coi progetti geopolitici di Cina e Russia, istituisce canali di scambio commerciale con altri Paesi banditi da Stati Uniti ed Europa, contribuisce all’integrazione regionale delle isole caraibiche, sopportando stoicamente la frattura del progetto latinoamericano da esso fondato. La distruzione della struttura istituzionale venezuelana significherebbe uno scenario penetrato da gruppi parapolitici, paraeconomici e paramilitari (mercenari o gruppi armati da ricchi fascisti), o sotto l’egida del Pentagono (stile colombiano), nel territorio per facilitarne saccheggio e furto dall’occidente, come successo negli esempi delineati sopra. Hugo Chávez fece in modo che le rendite petrolifere, riserve di gas e oro, risorse minerarie, fossero prelevate dalle corporazioni per metterle a completa disposizione di un Paese che forgiava, in stato d’instabilità permanente, un soggetto politico con caratteristiche proprie, strettamente legato al territorio e consapevole della propria storia. Cancellare questa corrente di pensiero dal mondo è il punto di non ritorno che vogliono raggiungere.
Traduzione di Alessandro Lattanzio