Guaidó ed i caimani

Marco Teruggi www.cubadebate.cu

Juan Guaidó non esiste e tuttavia è così reale. Si avviò, pubblicamente, in politica nel 2007, con violente proteste guidate da una nuova generazione di giovani, sui quali si fondò Voluntad Popular (VP), nel 2009.

Continuò come dirigente di seconda linea, deputato nel 2015, parte della violenza di strada del 2014 e 2017, fino a quando, il 5 gennaio di quest’anno, ci accorgiamo che sarebbe stato presidente dell’Assemblea Nazionale per un accordo di rotazione tra partiti di destra ed un piano di lavoro fuori del paese. Da lì al 23 gennaio sono passati giorni: da quadro medio a autoproclamato Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, a dieci stazioni della metropolitana dal palazzo presidenziale, e riconosciuto da un twitt di Donald Trump. Un percorso stellare.

Potrebbe sembrare una storia con diverse barzellette nel mezzo, ed a volte lo è, nei giorni in cui la tempesta si abbassa di intensità, viviamo in calma tesa che può rompersi in qualsiasi momento. Il punto non è mai stato Guaidó, ma la storia che lo circonda, i suoi capi, il piano di cui è parte e lo guida. Juan Guaidó non esiste e tuttavia è così reale.

Dietro il nuovo esperimento di eroe 2.0 si nasconde la storia di uno dei partiti creati per affrontare il chavismo dopo una serie di sconfitte dell’opposizione tra le quali si contano: il colpo di stato del 2002, lo sciopero petrolifero, il referendum abrogativo, le elezioni legislative in cui la destra inaugurò la sua serie di suicidi politici nel non presentarsi, e la rielezione di Hugo Chavez nel 2006. Era necessario creare nuovi strumenti per nuove strategie, allora nacque VP con i giovani della “generazione 2007”, di cui una cellula si era formata in Serbia, nel 2005, nella strategia delle rivoluzioni colorate. Alla testa c’era Leopoldo Lopez, proveniente da Primero Justicia (PJ), di famiglia aristocratica, che nel 2002 era sindaco di Chacao e fu parte attiva del Colpo di Stato di 72 ore. Non solo lui, ma la quasi totalità degli attuali dirigenti furono protagonisti in quei giorni: Julio Borges, Capriles Radonsky (entrambi di PJ) e Ramos Allup del partito Azione Democratica (AD), per esempio.

Se qualcuno chiede loro del 2002, faranno ciò che hanno sempre fatto: fingere demenza.

Caimani nella stessa pozza, direbbe un compagno della pianura.

VP puntò a costruire dall’identità giovanile e studentesca, che ebbe un ruolo centrale nel 2014, epoca di violenza della destra che lasciò un saldo di 43 morti e Lopez in galera, e nel 2017, dove, nuovamente, VP stava pubblicamente alla testa dei gruppi pubblici armati e nell’ombra. Le promesse della politica dell’opposizione risultarono essere l’antitesi del suo slogan che proclamava “protesta pacifica”: finanziati da agenzie USA, coinvolti nella manipolazione di esplosivi, legati a settori paramilitari, escalation che costarono morti, fratture, sconfitte elettorali dell’opposizione, spirali che sfociarono in questo 2019.

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Io vivo in Venezuela dal gennaio 2013. Da quella data fino ad oggi ho assistito, come milioni di persone, a cinque tentativi di presa del potere, con la forza, della destra: 2013, 2014, 2016, 2017, 2019. Un alto tasso. Gli unici anni che non non lo fecero fu nel 2015, quando vinsero le elezioni legislative, il loro miglior momento, e nel 2018, in quanto stavano preparando quello del 2019. Ogni assalto fu più violento, complesso e prolungato rispetto al precedente. L’unico che si riuscì a disattivare in tempo fu quello del 2016, quando intervenne la mediazione vaticana. “Credo che bisogna che sia con condizioni molto chiare, parte dell’opposizione non vuole questo, è curioso, la stessa opposizione è divisa, e sembra che i conflitti si aggravino sempre più”, disse Francesco nel 2017, riferendosi al perché i dialoghi non avevano dato frutti. Il paese era già in fiamme.

Di questi cinque tentativi uno è stato pubblicamente guidati da PJ (2013), un altro di VP e PJ (2014), un altro da AD, VP e PJ (2016), un altro da VP e PJ (2017) ed infine questo da VP in territorio nazionale, e VP/PJ sul fronte internazionale. Tutti furono accompagnati da María Corina Machado, che afferma che l’unico modo possibile per uscire dal chavismo è con la violenza. Lei e Julio Borges -parte della autorità intellettuale del tentativo di assassinio di Maduro nell’agosto 2018- sono amici di Mauricio Macri, secondo quanto da lui stesso affermato.

L’intero ventaglio della destra è stato coinvolto in tutti i tentativi. I settori con maggior vocazione al dialogo hanno occupato il posto del silenzio complice o tentativo di guidare in momenti topici. Fu Ramos Allup, di AD, il partito della vecchia destra che dovrebbe essere più propenso al dialogo, che affermò nel gennaio 2016, come presidente dell’Assemblea Nazionale (AN) che avrebbe tolto Maduro nel lasso di sei mesi. Così la destra iniziava la guida del potere legislativo. Quello che succede in questo 2019 ha una genesi, prove, fasi. Siamo, secondo diverse analisi, alla terza, verso la quarta, che dovrebbe essere, secondo il suo piano, la definitiva.

La direzione dell’opposizione non è cambiata sul terreno, i nomi si ripetono. Qualcosa sì si è modificato ed è chiaro: la conduzione del conflitto è stata trasferita a settori del potere USA. La conduzione è straniera. La destra, che si è rivelata un investimento milionario di basso rendimento, sempre lotta tra sé, si è trasformata in operatrice nel territorio, e Guaidó in un auto nominato presidente ad interim montato dall’estero. Non l’avrebbe fatto senza il tweet di Trump, la correlazione di forze interne non l’avrebbe permesso. Ecco perché si relaziona con il pericoloso ed il ridicolo.

Perché porre un quadro intermedio, d’estrazione più popolare, ad occupare un ruolo di tale entità? Pensa male e avrai ragione, dice il detto.

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Cos’è un tentativo di presa del potere politico con la forza in Venezuela? Il modello più realizzato è stato quello del 2017, ripreso ed amplificato in questo 2019. Ciò che viviamo è noto e nuovo allo stesso tempo, sono modelli già collaudati sui quali si aggregano nuovi attori, tempi, variabili. Abbiamo già un problema nel riconoscere gli angoli di tiro, le forme nelle quali ci spingono con l’arma carica. Non è metafora, la storia delle profondità del conflitto non è stata raccontata.

Gli assalti si sviluppano su variabili che si sovrappongono nella loro massima tensione: geopolitica, comunicativa, psicologica, economica, territoriale, e propriamente armata, vale a dire la presentazione della violenza in formato proiettili, granate, assalti, linciaggi ed incendi.

Come mai prima, la Casa Bianca ha svolto, quest’anno, un ruolo centrale, sostenuta in Colombia come secondo territorio della cospirazione. Le alleanze furono costruite con parte dell’Unione Europea, Gran Bretagna, Israele, Canada, diplomatici come Luis Almagro ed il Gruppo Lima senza il Messico. Hanno portato il tema Venezuela al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, passo che non era mai stato dato prima, e lavorano per condannare Maduro nel Tribunale Penale Internazionale. Il blocco interventista è fondato: riconosce Guaidó. Le élite e le destre locali si allineano nei loro interessi comuni.

La dimensione comunicativa è, forse, la più visibile. La costruzione di voci e notizie false è illimitata da twitter, instagram, facebook, articolando panici che si moltiplicano per milioni via whatsapp. La capacità di costruire realtà inesistenti che sono così reale che bloccano la gente nelle loro case come se l’onda andasse a scoppiare sopra le loro porte. Panico, come accaduto con la menzogna viralizzata che afferma che l’esercito venezuelano ruba i bambini per arruolarli. Chi sfugge all’impatto di quell’architettura alimentata con dollari ed una evidente parzialità delle grandi agenzie di notizie? L’arroganza è pensarsi al di fuori e credersi immune.

Un’altra variabile, centrale, è quella economica. Uno dei passi compiuti, dall’inizio di questo assalto al potere, è stato il congelamento di 7 miliardi di $ appartenenti alla compagnia petrolifera PDVSA. Anche la creazione di conti per reindirizzare (rubare?) i proventi di Citgo -filiale di PDVSA negli USA, con la partecipazione di capitali russi-. L’inizio degli attacchi economici dagli USA risalgono, nel suo quadro legale, all’approvazione della “Legge di difesa dei diritti umani e della società civile del Venezuela” nel Congresso, nel dicembre 2014. Seguirono gli ordini esecutivi di Barack Obama e Donald Trump, finalizzati all’industria petrolifera, alla nascente criptovaluta ed all’oro. Tra agosto 2017 e la fine del 2018, tale cifra è stata calcolata in 23238 milioni di $. C’è modo di non pensare che ciò che si cerca è che l’economia collassi?

La questione territoriale ha tre punti chiave nelle frontiere terrestri: Colombia, Brasile e Guyana Essequibo -zona in disputa con il Venezuela. Il principale centro di sviluppo di destabilizzazione si trova nel confine colombiano -più di duemila chilometri di frontiera-, con l’incentivo al contrabbando per l’arricchimento di mafie legate al paramilitarismo, un fenomeno che, a sua volta, è stato esportato in Venezuela. Il paese è circondato. John Bolton, segretario alla difesa USA, ha annunciato che invierà “aiuti umanitari” che entreranno in Venezuela da Cucuta, zona sotto controllo paramilitare in Colombia, Brasile e un’isola caraibica. Non si può comprendere il conflitto senza guardare le mappe.

Per ultimo le armi e la violenza. Alla fine le mobilitazioni dell’opposizione, gruppi formati da giovani convinti, altri pagati, e schemi di strada diretti si scontrano con le forze di sicurezza dello Stato. Poi ci sono i cosiddetti “piccioni delinquenti”, primi livelli di delinquenza, assunti per generare fuochi di violenza durante la notte. Visitate Caracas, chiedete, verificate: ogni membro incassa $ 30 al giorno, ogni fuoco di violenza si converte in tendenza di Twitter. Ad un terzo livello ci sono le grandi bande armate di alcuni quartieri, schierate per confrontarsi militarmente con i comandi speciali. Arrivano a fatturare 50 mila $ per ogni servizio. Il rischio è alto, le munizioni costose. Il quarto livello, di tipo paramilitare, ha già fatto alcuni passi: due caserme della Guardia Nazionale Bolivariana sono state attaccate con armi da fuoco. Il 31 gennaio sono stati arrestati un gruppo composto da ex ufficiali delle Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) e civili.

Tutta questa enumerazione sembra lontana dal linguaggio politico argentino. Il paramilitarismo, ad esempio, non è un fenomeno che abbia raggiunto il sud con queste matrici, non rientra nelle categorie attuali discusse a Buenos Aires. Il problema è pensare conflitti dalle logiche proprie, applicarle variabili locali. Tale descrizione sintetizzata può essere più facile da comprendere e discutere da coloro che hanno vissuto o vivono in Libia o Siria piuttosto che in Argentina, Uruguay o Cile. Il quadro venezuelano è scollegato dagli attuali tempi continentali.

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La distanza tra la narrativa internazionale e ciò che accade all’interno del paese è immensa. Lo stesso Donald Trump ha scritto su Twitter che la mobilitazione del 30 gennaio è stata massiccia quando è stata, letteralmente, squallida, e Reuters Latam ha messo Guaidó sulla copertina di Twitter. Ciò non significa che la destra abbia perso la capacità di mobilitare la sua base sociale, ma che siamo di fronte ad un tentativo di governo parallelo, montato dall’estero, in un formato del XXI secolo di colpo di stato. Ha passaggi decisi dall’esterno in funzione dei bilanci e dei diversi piani. Oggi, prima settimana di febbraio, per l’opposizione è più importante ciò che accade fuori del Venezuela -Unione Europea, “aiuti umanitari”, ecc.- che mobilitare ed erodere la propria base sociale.

Finora la FANB non si sono rotte, né le istituzioni, né il partito. Uno degli obiettivi centrali dell’opposizione è rompere il fronte militare. Le reti, le finanze, la diplomazia, stringono assedio, ma non hanno la forza di rispondere alla domanda che gli interessati alla politica internazionale, oggi, si fanno: come pensano togliere Nicolás Maduro dal palazzo di Miraflores, con quale forza bruta? Oggi le opzioni “forza bruta” sono tre: continuare a far pressione sulla FANB sino a romperla, lavorare su “aiuti umanitari” come il grande cavallo di Troia e azionare forze militarizzate/mercenarie.

Guaidó ha detto il 2 febbraio: “Non abbiamo paura di una guerra civile” ed “è importante che il mondo la senta”. Quelli che si sono mobilitati, quel giorno, erano la tradizionale base sociale dell’opposizione: classi medie e medio-alte.

Il gioco politico è bloccato. Quelli che comandano, che non sono né Guaidó né Julio Borges, meno ancora María Corina Machado, sostengono che l’unico modo è che Maduro si ritiri. Hanno chiuso le porte del dialogo, delle mediazioni offerte da paesi come Messico ed Uruguay o voci sensate come il Segretario Generale ONU. Elezioni in questo scenario? Si tratterebbe di un accordo per riarmare un Consiglio Nazionale Elettorale, fissare una data, cedere alla pressione interventista. La destra non riconoscerebbe un risultato avverso in uno scenario più complesso di quello che presentano: secondo il sondaggio Hinterlaces, il 40% della popolazione si riconosce come chavista -con radici nei quartieri popolari e nei contadini- Il chavismo ha effettuato più di una mobilitazione giornaliera tra il 23 gennaio ed il 2 febbraio. La minaccia diretta USA inietta epica al governo. Negare il chavismo non significa che non esista. Sottovalutarlo è il primo passo per errare nelle analisi ed azioni.

Risulta chiaro che il governo, il chavismo, ha parte di responsabilità, ad esempio, nella situazione economica che logora, in particolare, i settori popolari. E’ parte delle tensioni interne. La rivoluzione avviata da Chavez è un immenso terreno di dispute e contraddizioni all’interno di un dato paese, con una cultura politica, una destra che ha queste caratteristiche e non altre, e un intervento senza precedenti da parte USA. Come gli si risponde? Nel 2017 il freno è stato l’Assemblea Nazionale Costituente: voti contro proiettili. Maduro ha sollevato la possibilità di nuove elezioni legislative: benzina sul fuoco? Si può far avanzare il piano -illegale- di Guaidó? Qual è il ruolo della legalità in uno scenario come questo? Risulta difficile indovinare una risposta giusta in questo momento.

Chi pensava che un tentativo di governo parallelo montato dalla Casa Bianca fosse possibile in America Latina? Se quel limite è stato rotto, perché pensare che anche gli altri non lo saranno?


Guaidó y los caimanes

Por: Marco Teruggi

Juan Guaidó no existe y sin embargo es tan real. Se inició públicamente en política en el 2007, con protestas violentas lideradas por una nueva camada de jóvenes, sobre los cuales se fundó Voluntad Popular (VP) en el 2009. Continuó como dirigente de segunda línea, diputado en el 2015, parte de las violencias callejeras del 2014 y 2017, hasta que el 5 de enero de este año nos enteramos que sería presidente de la Asamblea Nacional por un acuerdo de rotación entre partidos de derecha y un plan trabajado fuera del país. De ahí al 23 de enero pasaron días: de cuadro medio a autojuramentado presidente de la República Bolivariana de Venezuela a diez estaciones de metro del palacio presidencial y reconocido por un twitt de Donald Trump. Un recorrido estelar.

Podría parecer un cuento con varios chistes de por medio, y a veces lo es, en días donde la tormenta baja de intensidad, vivimos la tensa calma que puede quebrarse en cualquier momento. El punto nunca fue Guaidó, sino la historia que lo rodea, sus jefes, el plan del cual forma parte y lo conduce. Guaidó no existe y sin embargo es tan real.

Detrás del nuevo experimento de héroe 2.0 se esconde la historia de uno de los partidos creados para enfrentar al chavismo luego de la serie de derrotas opositoras entre las que se cuentan: el golpe de Estado del 2002, el paro petrolero, el referéndum revocatorio, las elecciones legislativas donde la derecha inauguró su serie de suicidios políticos al no presentarse, y la reelección de Hugo Chávez en el 2006. Era necesario crear nuevos instrumentos para nuevas estrategias, entonces nació VP con los jóvenes de la “generación 2007”, de los cuales una célula se había formado en Serbia en el 2005 en la estrategia de revoluciones de colores. A la cabeza quedó Leopoldo López, proveniente de Primero Justicia (PJ), de familia aristocrática, quien en el 2002 era alcalde de Chacao y fue parte activa del Golpe de Estado de 72 horas. No solamente él, sino la casi totalidad de los dirigentes actuales protagonizaron esos días: Julio Borges, Capriles Radonsky (ambos de PJ), y Ramos Allup del partido Acción Democrática (AD), por ejemplo.

Si alguien les pregunta sobre el 2002 harán lo que siempre han hecho: fingir demencia.

Caimanes del mismo charco, diría un compañero llanero.

VP apostó por construir desde la identidad juvenil y estudiantil, que tuvo un protagonismo central en el 2014, época de violencia de la derecha que dejó un saldo de 43 muerto y López preso, y en el 2017, donde nuevamente VP estuvo públicamente a la cabeza de los grupos armados públicos y tras las sombras. Las promesas de la política opositora resultaron ser la antítesis de su consigna que proclamaba la “protesta pacífica”: financiados por las agencias norteamericanas, implicados en manejo de explosivos, vinculados con sectores paramilitares, escaladas que costaron muertos, fracturas, derrotas electorales opositoras, espirales que desembocaron en este 2019.

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Vivo en Venezuela desde enero del 2013. De esa fecha hasta la actualidad asistí, como millones de personas, a cinco intentos de toma del poder por la fuerza por parte de la derecha: 2013, 2014, 2016, 2017, 2019. Una tasa elevada. Los únicos años en que no lo hicieron fue en el 2015, cuando ganaron las elecciones legislativas, su mejor momento, y el 2018, porque estaban preparando el del 2019. Cada asalto fue más violento, complejo y prolongado que el anterior. El único que logró ser desactivado a tiempo fue el del 2016, cuando intervino la mediación del Vaticano. “Creo que tiene que ser con condiciones muy claras, parte de la oposición no quiere esto, es curioso, la misma oposición está dividida, y parece que los conflictos se agudizan cada vez más”, dijo Francisco en 2017, refiriéndose a por qué no habían dado frutos los diálogos. Ya el país estaba bajo llamas.

De esos cinco intentos uno fue liderado públicamente por PJ (2013), otro por VP y PJ (2014), otro por AD, VP y PJ (2016), otro por VP y PJ (2017) y finalmente este, por VP en el territorio, y VP/PJ en el frente internacional. Todos fueron acompañados por María Corina Machado que plantea que la única forma posible de salir del chavismo es con la violencia. Ella y Julio Borges -parte de la autoría intelectual del intento de asesinato de Maduro en agosto del 2018- son amigos de Mauricio Macri, según él mismo afirmó.

Todo el abanico de la derecha ha estado involucrado en todos los intentos. Los sectores con mayor vocación de diálogo han ocupado el lugar de silencio cómplice o intento de encabezar en momentos estelares. Fue Ramos Allup, de AD, partido de la vieja derecha que debería ser más dialoguista, quien afirmó en enero del 2016 como presidente de la Asamblea Nacional (AN) que sacaría a Maduro en un lapso de seis meses. Así comenzaba la derecha en la conducción del poder legislativo. Lo que sucede en este 2019 tiene una génesis, ensayos, fases. Estamos, según varios análisis, en la tercera, en paso a la cuarta, que debería ser, según su plan, la definitiva.

La dirección de la oposición no ha cambiado en el terreno, los apellidos se repiten. Algo sí se ha modificado y es nítido: la conducción del conflicto ha sido traspasada a sectores del poder norteamericano. La conducción es extranjera. La derecha, que resultó una inversión millonaria de bajo rendimiento, siempre peleada entre sí, se ha transformado en operadora en el territorio, y Guaidó en un autonombrado presidente interino montado desde fuera. No lo hubiera hecho sin el tuit de Trump, la correlación de fuerzas internas no lo permitía. Por eso se codea con lo peligroso y lo ridículo.

¿Por qué poner a un cuadro medio, de extracción más popular, a ocupar un papel de tal magnitud? Piensa mal y acertarás, dice el refrán.

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¿Qué es un intento de toma del poder político por la fuerza en Venezuela? El modelo más acabado fue el del 2017, retomado y amplificado en este 2019. Lo que vivimos es conocido y nuevo a la vez, son patrones ya ensayados sobre los cuales se agregan nuevos actores, tiempos, variables. Ya tenemos un ejercicio de reconocer los ángulos de disparo, las formas en que nos empujan con el arma cargada. No es metáfora, la historia de las profundidades del conflicto no ha sido contada.

Los asaltos se desarrollan sobre variables superpuestas en su máxima tensión: geopolítica, comunicacional, psicológica, económica, territorial, y propiamente armada, es decir la presentación de la violencia en formato balas, granadas, asaltos, linchamientos e incendios.

Como nunca antes, la Casa Blanca jugó este año un rol central, apoyada en Colombia como territorio segundo de la conspiración. Las alianzas se construyeron con parte de la Unión Europea, Gran Bretaña, Israel, Canadá, diplomáticos como Luis Almagro, y el Grupo de Lima sin México. Han llevado el punto Venezuela al Consejo de Seguridad de Naciones Unidas, paso que no había dado con anterioridad, y trabajan para condenar a Maduro en la Corte Penal Internacional. El bloque intervencionista está conformado: reconoce a Guaidó. Las elites y derechas locales se alinean en sus intereses comunes.

La dimensión comunicacional es, quizás, la más visible. La construcción de rumores y noticias falsas es ilimitada por twitter, instagram, facebook, articulando pánicos que se multiplan por millones vía whatsapp. La capacidad de construir realidades inexistentes que son tan reales que encierran a la gente en sus casas como si la ola fuera a reventar sobre sus puertas. Pánico, como el ocurrido con la mentira viralizada que afirma que el ejército venezolano roba niños para enrolarlos. ¿Quién escapa al impacto de esa arquitectura alimentada con dólares y una parcialidad evidente de las grandes agencias de noticias? La arrogancia es pensarse situado por fuera y creerse inmune.

Otra variable, central, es la económica. Uno de los pasos dados desde que comenzó este asalto al poder fue el congelamiento de 7 mil millones de dólares perteneciente a la petrolera PDVSA. También la creación de cuentas para redireccionar (¿robar?) los ingresos de Citgo -filial de PDVSA en Estados Unidos con participación de capitales rusos-. El inicio de los ataques económicos desde los Estados Unidos se remontan, en su armazón legal, a la aprobación de la “Ley de defensa de derechos humanos y la sociedad civil de Venezuela” en el Congreso en diciembre del 2014. Siguieron órdenes ejecutivas de Barack Obama y Donald Trump, apuntadas a la industria petrolera, la criptomoneda naciente y el oro. Entre agosto del 2017 y fines de 2018, esa cifra se calculó en 23.238 millones de dólares. ¿Hay forma de no pensar que lo que busca es que la economía colapse?

La cuestión territorial tiene tres puntos clave en las fronteras terrestres: Colombia, Brasil y Guayana Esequiba -zona en disputa con Venezuela-. El principal centro de desarrollo de desestabilización se encuentra en la frontera colombiana -más de dos mil kilómetros de frontera-, con el incentivo al contrabando para enriquecimiento de mafias ligadas al paramilitarismo, un fenómeno que a su vez ha sido exportado a Venezuela. El país está cercado. John Bolton, secretario de defensa norteamericano, anunció que enviará “ayuda humanitaria” que entrará a Venezuela por Cúcuta, zona bajo control paramilitar en Colombia, Brasil y una isla del Caribe. No se puede entender el conflicto sin mirar mapas.

Por último, las armas y la violencia. Al finalizar las movilizaciones opositoras, grupos conformados por jóvenes convencidos, otros pagos, y esquemas callejeros dirigidos confrontan con las fuerzas de seguridad del Estado. Después están los denominados “pichones de malandros”, primeros niveles de delincuencia, contratados para generar focos de violencia en las noches. Recorran Caracas, pregunten, averigüen: cada integrante cobra 30 dólares por jornada, cada foco de violencia se convierte en tendencia de twitter. En un tercer nivel están las grandes bandas armadas de algunos barrios, desplegadas para confrontar militarmente con los comandos especiales. Llegan a facturar 50 mil dólares por cada servicio. El riesgo es alto, las municiones caras. El cuarto nivel, de tipo paramilitar ya ha dado algunos pasos: han sido atacados dos cuarteles de la Guardia Nacional Bolivariana con armas de fuego. El 31 de enero detuvieron a un grupo integrado por ex oficiales de Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) y civiles.

Toda esta enumeración suena lejano al idioma político argentino. El paramilitarismo, por ejemplo, no es un fenómeno que haya llegado al sur con estas matrices, no entra en las categorías actuales que se discuten en Buenos Aires. El problema es pensar conflictos desde las lógicas propias, aplicarle variables locales. Esta descripción sintetizada quizás sea más fácil de comprender y discutir por quienes han vivido o viven en Libia o Siria que en Argentina, Uruguay o Chile. El cuadro venezolano se ha desacoplado de los tiempos continentales actuales.

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La distancia entre la narrativa internacional y lo que sucede dentro del país es inmensa. El mismo Donald Trump tuiteó que la movilización del 30 de enero fue masiva cuando fue, literalmente, escuálida, y Reuters Latam puso a Guaidó en su portada de Twitter. No significa que la derecha haya perdido capacidad de movilizar a su base social, sino que estamos frente a un intento de gobierno paralelo montado desde el extranjero en un formato siglo XXI de golpe de Estado. Tiene pasos decididos desde fuera en función de los balances y los diferentes planes. Hoy, primera semana de febrero, para la oposición es más importante lo que ocurre fuera de Venezuela –Unión Europea, “ayuda humanitaria”, etc- que movilizar y desgastar a su base social.

Hasta el momento no se han quebrado la FANB, ni las instituciones, ni el partido. Uno de los objetivos centrales de la oposición es lograr partir el frente militar. Las redes, las finanzas, la diplomacia, cierran cerco, pero no tienen la fuerza necesaria para responder la pregunta que los interesados por la política internacional hoy se hacen: ¿cómo piensan sacar a Nicolás Maduro del Palacio de Miraflores, con qué fuerza bruta? Hoy las opciones “fuerza bruta” son tres: seguir presionando sobre la FANB hasta partirla, trabajar la “ayuda humanitaria” como el gran caballo de Troya y accionar fuerzas militarizadas/mercenarias.

Guaidó dijo el 2 de febrero: “No le tenemos miedo a una guerra civil” y “es importante que lo escuche el mundo”. Quienes se movilizaron ese día fueron la tradicional base social de la oposición: clases medias y medias altas.

El juego político está trancado. Los que mandan, que no son ni Guaidó ni Julio Borges, menos aún María Corina Machado, plantean que la única manera es que Maduro se retire. Han cerrado las puertas del diálogo, de mediaciones ofrecidas por países como México y Uruguay o voces sensatas como el Secretario General de Naciones Unidas. ¿Elecciones en este escenario? Sería sobre un acuerdo para rearmar un Consejo Nacional Electoral, fijar fecha, ceder ante la presión intervencionista. La derecha no reconocería un resultado adverso en un escenario más complejo que lo que presentan: según la encuestadora Hinterlaces, el 40% de la población se reconoce como chavista -con arraigo en barrios populares y campesinado- El chavismo ha realizado más de una movilización por día entre el 23 de enero y el 2 de febrero. La amenaza directa de los Estados Unidos le inyecta épica al gobierno. Negar al chavismo no significa que no exista. Subestimarlo es el primer paso para errar en análisis y acciones.

Resulta evidente que el gobierno, el chavismo, tiene parte de responsabilidades en, por ejemplo, la situación económica que desgasta en particular en los sectores populares. Es parte de las tensiones internas. La revolución que inició Chávez es un inmenso terreno de disputas y contradicciones dentro de un país determinado, con una cultura política, una derecha que tiene estas características y no otras, y una intervención inédita de Estados Unidos. ¿Cómo se le responde? En el 2017 el freno fue la Asamblea Nacional Constituyente: votos contra balas. Maduro asomó la posibilidad de nuevas elecciones legislativas: ¿gasolina al fuego? ¿Se puede dejar avanzar el plan –ilegal- de Guaidó? ¿Cuál es el rol de la legalidad en un escenario como este? Resulta difícil acertar en una respuesta justa en este momento.

¿Quién pensaba que un intento de gobierno paralelo montado desde la Casa Blanca era posible en América Latina? Si ese límite ha sido quebrado, por qué pensar que los demás no lo serán también.

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