William Serafino http://misionverdad.com
INTRODUZIONE E CONTESTO
Durante l’ultima settimana, l’ “aiuto umanitario” promesso dagli USA, nella figura dell’USAID, è stato l’asse centrale dell’agenda politica e dei media. Molteplici posizioni sono derivate da quest’ultima manovra di Washington, che viene proposta come la svolta definitiva del golpe in corso che persegue la distruzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela.
Il distanziamento della Croce Rossa Internazionale per interpretare in questa azione tratti di politicizzazione, passando per il freno a mano di Elliott Abrams ed il salto indietro posteriore di Juan Guaidó, lascia sul tavolo diverse sfumature che obbligano a pensare ad un ripensamento in caldo.
La retorica bellica impressa all’inizio ha lasciato il posto ad un rilassamento delle aspettative che sono state insufflate al principio. Prova di ciò è il cambiamento di posizione di Guaidó passando dalla narrativa di un nuovo “D-Day” ad una pianificazione per tappe e fasi per un “aiuto selettivo” tenta calibrare gli animi della brigata di persecuzione della squadra Bolton-Almagro.
Ma per coloro che operano i controlli del golpe, a Washington, nella trama generale del cambio di regime contro il Venezuela si vanno rivelando tratti contraddittori che richiedono un riaggiustamento. L’ “aiuto umanitario” come elemento di offensiva psicologica verso la FANB a sua volta converge, in un paradosso, con il lavoro di seduzione ed offerta di incentivi, come per esempip eliminare le sanzioni, per ottenere lo smembramento della FANB.
Due strategie, una contrassegnata dal potere intelligente e l’altra dal paradigma della diplomazia delle cannoniere, si scontrano generando l’effetto inverso al crollo dell’Unione Civico-Militare. Il primo bilancio di questa manovra dà punti a favore del Venezuela, nella misura in cui li obbliga a ripensare il prossimo passo.
Questa battaglia conta il suo punteggio in giorni ed ore, non dimentichiamolo.
Per istinto tattico sembrano aver optato per un cambio di priorità, giocando alla ricomposizione della loro offensiva politica usando le carte più pesanti. Togliendo il tema umanitario dal primo posto del cartellone, per qualche giorno, Mike Pompeo ha riorientato le priorità narrative del conflitto verso la necessità di intervenire per la “presenza di Hezbollah” in territorio venezuelano in una aperta preparazione emotiva, del pubblico USA, per giustificare un’azione militare.
Atto successivo tale retorica si spostò al Senato USA mediante Marco Rubio, il gestore del mese, dove repubblicani e democratici si sono scontrati per una risoluzione a favore del golpe in Venezuela, che contemplasse la “opzione militare”. Ciò che si concluse con un veto a tale variante dal lato democratico ha reso necessario mobilitare Juan Guaidó affinché imponesse un parere favorevole dei quattro cavalieri della guerra contro il Venezuela: Rubio, Pompeo, Bolton, Pence.
L’ “Obama bananero” ha fatto appello ad un intervento diretto, collocando i camion umanitari di Cúcuta su una scala di minor importanza rispetto a quella dello scontro bellico totale.
Il progresso di questi movimenti indica, in primo luogo, che l’opzione militare è spinta con la stessa forza con cui i suoi sponsor, nell’establishment USA, la desiderano applicare; inoltre, che con l’aumentare del livello di resistenza venezuelana, Washington spingerà al limite le sue risorse di forza, e di conseguenza, i suoi costi politici ed economici.
VOLUNTAD POPULAR C.A.
Ma mentre Rubio, Pompeo e Bolton nella sfera dei media alzano ed abbassano i decibel, cambiano i ritmi e ruotano le voci di accordo ad un riallineamento strategico dell’aggressione, al confine la manovra d’intervento umanitario continua assemblandosi con contorni da rivoluzione colorate su scala frontaliera ed “umanitaria”.
Un ricomparso Lester Toledo ha parlato ad un evento a Cúcuta, pochi giorni fa, con le casse dell’USAID dietro di lui, per ratificare che è Voluntad Popular il nome di quel fedecommesso che ha ufficializzato John Bolton, in cui dovrebbe cadere il denaro che proviene dal saccheggio petrolifero e dai debiti futuri.
Il quotidiano La Opinión de Cúcuta esamina i dettagli degli ultimi movimenti in Cúcuta. Toledo, usando un linguaggio a tinte pornografiche, affermava a nome dell’USAID: “Questo lo andiamo a mettere accada ciò che accada e costi quel che costi, perché il Venezuela è un popolo che è disposto ad essere libero”. Resta l’interpretazione degli esperti in linguistica se qualcosa che ti mettono coincida con sentirsi liberi.
Nell’evento lo accompagnò l’ambasciatore USA in Colombia, Kevin Whitaker, che ha dichiarato nel suo diritto di parola che il “sollievo è già arrivato”, in coincidenza con la narrativa falsamente compassionevole dei suoi migliori amici in Venezuela: l’estrema destra rappresentata da Maria Corina Machado ed il Leopoldo Fútbol Club di Volunted Popular.
La presenza, lì, del signor Kevin ci narra che l’alleanza tra i quattro cavalieri di Washington e Voluntad Popular è ad un livello di impegno manageriale sigillato dall’argento. Per entrambi, il gioco è anche a somma zero. Troppi milioni in gioco per pensare di cambiare i rapporti di fedeltà.
Questa attività, nella quale erano anche presenti Juan Manuel Olivares di Primero Justicia y Gabriela Arellano di Voluntad Popular, si realizzò in un magazzino a Cucuta vicino al ponte Tienditas dove la seguente immagine descrive la prossima mossa nel fronte dell’intervento: vigili del fuoco ed agenti di polizia di Cúcuta, insieme a persone vestite di bianco sotto il nome di “Coalizione di Aiuto e Libertà”, costituiscono l’atto performativo di un movimento civile di laboratorio in processo di formazione. Fondamentalmente, affinché faccia da scudo ad un probabile movimento più pesante in termini di violenza professionale.
Questo è confermato dal trattamento simbolico. Diversi portali colombiani e venezuelani presentarono “la protesta” di un gruppo ridotto di venezuelani, nei pressi del ponte di Tienditas, che sollevano striscioni che chiedevano “Trump non ci abbandoni”, complementavano l’appello alla mobilitazione sociale che faceva Lester Toledo, in precedenza, insieme all’ambasciatore USA.
Proseguendo con la stessa linea di azione che nella preparazione del fallito assassinio dello scorso 4 agosto, la Colombia assume un ruolo di coordinamento logistico, questa volta con l’Unità Nazionale per la Gestione del Rischio di Disastri (UNGRD), che si è fatto carico di ricevere l’ “aiuto umanitario” ed offrire le condizioni affinché Volunted Popular operi dall’altra parte del confine. La manovra va prendendo forma di un intervento multinazionale.
Così, la sovraesposizione informativa del ponte Tienditas, tra altri, va configurando il paesaggio della prossima aggressione contro il Venezuela, che probabilmente cercherà provocare situazioni di violenza che inneschino ciò che l’Amministrazione Trump desidera. I vantaggi del confine colombiano-venezuelano come base per la destabilizzazione, per la sua fragilità e dipendenza dalle economie sommerse, sono i vantaggi operativi del piano dell’intervento militare.
Secondo il grado di improvvisazione che tradisce la strategia USA è difficile proiettare l’innesco del grande momento “anti-muro di Berlino” nel ponte Tienditas, un’immagine di ambizione civilizzatrice nella quale i neocons Bolton, Abrams e Brownfield vogliono recitare il ruolo di Superman. Il dissenso dell’Unione Europea alla politica di asfissia finanziaria e saccheggio del Venezuela, che guida Washington, potrebbe cedere il passo a quel fatto di commozione tanto ricercato al confine.
RAZZISMO ED UMILIAZIONE: LA COSTRUZIONE IDEOLOGICA DELL’ “AIUTO UMANITARIO”
Il presidente Nicolás Maduro ha accentato l’ “aiuto umanitario” come uno show. Ed è che la cartellizzazione ed ingrandimento propagandistico, se confrontata con le statistiche che si cominciano ad essere esposte, non corrisponde alle aspettative generate al principio.
Secondo l’Unità Nazionale di Gestione del Rischio, la raccolta di prodotti a Cúcuta arriva a coprire l’alimentazione di 5 mila venezuelani per 10 giorni. Tra altre derrate alimentari e farmaceutiche non ancora specificati né verificati da alcun ente multilaterale di fiducia, il rango di attenzione non supera la cifra precedente di venezuelani, benché assicurano che le “razioni” saranno sufficienti per 90 giorni.
Un rapido comparazione con il programma di protezione sociale del governo venezuelano, il quale attende 18 milioni di persone, ogni mese, tra casse CLAP e bonus del Carnet della Patria, lascia l’operazione di marketing dell’USAID in svantaggio in termini di sua presentazione come “salvatori” davanti all’opinione pubblica.
I prodotti USAID sono estranei alla gastronomia venezuelana
Pochi giorni fa l’infomercenario Casto Ocando presenteva a Leopoldo Castillo nel suo programma TV di Miami, i prodotti disidratati che invia l’USAID a zone in conflitto e che anche si trasferiranno in Venezuela. L’immagine ha generato l’effetto avverso a quello che perseguiva mentre la soluzione promessa sembra peggiore dell’attuale stato di cose nel paese.
Le barrette energetiche a basso contenuto nutrizionale fornite dall’ USAID
Ma i prodotti USAID sono anche il correlato simbolico dell’intervento contro Venezuela e della retorica omicida dei cavalieri di Washington. È l’uso dell’arma di distruzione di massa delle sanzioni economiche (che iniziarono nel 2015) come passo precedente per erigere una nazione dipendente dall’ “aiuto umanitario”. Così sottolineano la presunta superiorità biologica e culturale che dà sostento alla “razza eletta” USA sopra “razze inferiori” nei paesi che decidono attaccare, dove le razioni dell’USAID e la compassione USA diventano un meccanismo per consolidare la schiavitù del “Terzo Mondo”.
Il paradigma di questa operazione in corso contro il Venezuela è l’Iraq; 10 anni prima dell’intervento USA era passato dalla punizione di sanzioni economiche che distrussero il suo apparato produttivo, la moneta ed un sistema di sicurezza sociale riferimento per i paesi del Medio Oriente. In Venezuela cercano applicare questo stesso ragionamento, in cui le sanzioni, gli embarghi, il blocco all’importazione di materie prime per la sussistenza minima, provocano quasi la stessa carica distruttiva di una campagna di bombardamenti.
Ascende a 23 miliardi di $ il furto agli attivi petroliferi della nazione ed il blocco ai conti all’estero per l’acquisto di medicinali e cibo da parte del governo venezuelano, mettendo a rischio migliaia di vite ed acutizzando la decomposizione di un sistema offerta locale che funziona solo sotto lo schema Cadivi di dollari sovvenzionati.
In questo senso, l’ “aiuto umanitario” è, allo stesso tempo, il culmine di un processo di distruzione sistematica dell’economia venezuelana ed un premio di consolazione che solo riafferma la dipendenza come economia periferica degli USA. Uno sguardo dei loro prodotti, specificati sul suo sito web, rende conto che la politica di occupazione USA persegue il consolidamento di modelli di consumo dipendenti dagli affari agroalimentare gringo, così come anche un cambio nell’immaginario collettivo in cui l’atto del mangiare comporti competere per le razioni.
Il paesaggio di questi prodotti va da barre energetiche, latte di olio vegetale, sacchi di patate disidratate e fave di soia, tra altri prodotti alieni alla tavola del venezuelano, che simulano la dieta di un campo di concentramento alimentato da Monsanto.
Le latte di olio vegetale dell’USAID
Allo stesso modo, ogni prodotto riunisce aspetti simbolici che disegnano l’ “aiuto umanitario” come pratica razzista. Non solo perché sono bambini africani che compongono tutto il marketing pubblicitario dell’USAID, ma perché nella stessa presentazione dei prodotti è presente l’animalizzazione culturale del consumo di alimenti. Il modo in cui vengono disegnati è prova sufficiente per esaminare come l’Occidente getta i suoi avanzi nei paesi periferici che sono stati asfissiati dal neoliberalismo, definisce la sua linea di salvezza in mesi, fino a quando esiste l’ “aiuto” e costruisce una società basata sulla dipendenza, privandola dei propri mezzi per garantirne la sua esistenza.
La costruzione ideologica della “Repubblica delle Banane” ritorna nel secolo XXI per rieditare una stratificazione della società latinoamericana basata sul pregiudizio che ci sono paesi ingestibili che devono essere tutelati in tutti i loro ambiti.
Haiti, Somalia ed Iraq sono casi testimoniali di come l’ “aiuto umanitario” potenzia il cannibalismo sociale, rafforza la dipendenza, incoraggia il saccheggio e mette a far funzionare la società in una logica del si salvi chi può. Per questo motivo, mantenere lo stato in debolezza mediante sanzioni e conflitti armati importati è una manovra cosciente per gestire, con lo strumento dell’ “aiuto umanitario”, il saccheggio delle risorse ed il controllo culturale, alimentare ed economico delle loro popolazioni. Imporre il neoliberalismo e l’individualismo come unico rapporto sociale di fronte alla distruzione della sovranità e della condizione di cittadinanza. Ciò che che giustifica la supremazia USA è proprio tale potere distruttivo che interlaccia la distruzione della guerra con l’umiliazione dell’umanitarismo.
Questa è la dottrina che si applica contro il Venezuela utilizzando un severo blocco finanziario che disarticola la vita economica nel suo complesso ed, allo stesso tempo, cercando la amministrazione diretta di tutte le questioni della società venezuelana con un governo parallelo artificiale. Da lì, il meta-messaggio dell’ “aiuto umanitario” radica che la decisione di ciò che mangia la popolazione e quante risorse petrolifere può amministrare il Venezuela autonomamente lo decidono gli USA.
Ma questa logica razzista si scontra con settori della classe media venezuelana che, con la richiesta di intervento dalle reti sociali e nell’accompagnare Juan Guaidó, credono di essere un gradino sopra al chavismo. E proprio è il contrario: mentre pensano che l’intervento è il primo passo per convertirci nella seconda Panama del continente, gli USA promettono, in realtà, un pò di gallette, lattine di olio e sacchi di soia come contropartita alla consegna delle risorse naturale della nazione.
Per Trump e la dottrina dell’ “aiuto umanitario”, i settori benestanti venezuelani meritano lo stesso tratto razzista ed umiliante che danno in Africa e regioni precarie dell’America Latina. Ed è determinato a costruire un muro per rendere fisica quella differenza tra “vincitori” e “perdenti” tra “una razza superiore” e altre “inferiori”.
Il suprematismo USA, che ogni tanto deve estrarre l’estremismo del suo paese, opera contro il Venezuela nella convinzione che il chavismo debba essere sterminato fisicamente e politicamente. Una lattina di olio o una galletta è il correlato culturale del modello di paese che cercano di imporre a spari.
RACISMO Y HUMILLACIÓN EN LA “AYUDA HUMANITARIA” DE LA USAID
William Serafino
INTRODUCCIÓN Y CONTEXTO
Durante la última semana, la “ayuda humanitaria” prometida por Estados Unidos en la figura de la USAID ha sido el eje central de la agenda política y de medios. Múltiples posicionamientos han derivado de esta última maniobra de Washington, la cual es planteada como el punto de inflexión definitivo del golpe de Estado en marcha que persigue la destrucción de la República Bolivariana de Venezuela.
El distanciamiento de la Cruz Roja Internacional por interpretar en esta acción rasgos de politización, pasando por el freno de mano de Elliott Abrams y el salto atrás posterior de Juan Guaidó, dejan sobre la mesa varios matices que obligan a pensar en un replanteamiento en caliente.
La retórica bélica impresa al principio ha dado paso a un relajamiento de las expectativas que se insuflaron al principio. Muestra de ello es la posición cambiante de Guaidó, que pasando de la narrativa de un nuevo “Día D” a una planificación por etapas y fases para una “ayuda selectiva” intenta calibrar los ánimos de la brigada de acoso del Team Bolton-Almagro.
Pero para quienes operan los controles del golpe en Washington, en la trama general del cambio de régimen contra Venezuela se van develando rasgos contradictorios que requieren de un reajuste. La “ayuda humanitaria” como elemento de ofensiva psicológica hacia la FANB a su vez converge, en una paradoja, con el trabajo de seducción y oferta de incentivos, como por ejemplo eliminar las sanciones, para lograr el desmembramiento de la FANB.
Dos estrategias, una marcada por el poder inteligente y otra por el paradigma de la diplomacia de las cañoneras, colisionan generando el efecto inverso al quiebre de la Unión Cívico-Militar. El primer balance de esta maniobra da puntos a favor de Venezuela, en tanto los obliga a repensar el próximo paso.
Esta batalla contabiliza su puntaje en días y horas, no lo olvidemos.
Por instinto táctico parecieran haber optado por un cambio en las prioridades, jugando a la recomposición de su ofensiva política utilizando las cartas más pesadas. Sacando el tema humanitario del primer puesto en cartelera por unos días, Mike Pompeo reorientó las prioridades narrativas del conflicto hacia la necesidad de intervenir por la “presencia de Hezbolá” en suelo venezolano, en una abierta preparación emocional del público estadounidense para justificar una acción militar.
Acto seguido se trasladó esa retórica al Senado de Estados Unidos mediante Marco Rubio, el gestor del mes, donde republicanos y demócratas se enfrentaron por una resolución a favor del golpe en Venezuela que contemplara la “opción militar”. Lo que culminó con un veto a esa variante por el lado demócrata, hizo necesario movilizar a Juan Guaidó para que impusiera una opinión a favor de los cuatros jinetes de la guerra contra Venezuela: Rubio, Pompeo, Bolton, Pence.
El “Obama bananero” llamó a una intervención directa, colocando los camiones humanitarios de Cúcuta en una escala de importancia inferior a la de la confrontación bélica total.
El progreso de estos movimientos indica, en primer lugar, que la opción militar se empuja con la misma fuerza con la que sus patrocinantes en el establishment estadounidense la desean aplicar; también, que a medida que aumente la cota de la resistencia venezolana, Washington llevará al límite sus recursos de fuerza, y en consecuencia, sus costos políticos y económicos.
VOLUNTAD POPULAR C.A.
Pero mientras Rubio, Pompeo y Bolton en la esfera de los medios suben y bajan los decibeles, cambian los ritmos y rotan las vocerías de acuerdo a un reajuste estratégico de la agresión, en la frontera la maniobra de la intervención humanitaria sigue ensamblándose con ribetes de revolución de color a escala fronteriza y “humanitaria”.
Un reaparecido Lester Toledo tomó la palabra en un evento en Cúcuta hace pocos días, con cajas de la USAID detrás de él, para ratificar que es Voluntad Popular el nombre de aquel fideicomiso que oficializó John Bolton, donde deberá caer el dinero que emana del saqueo petrolero y las futuras deudas.
El Diario La Opinión de Cúcuta pasa revista al detalle de los últimos movimientos en Cúcuta. Toledo, utilizando un lenguaje con tintes pornográficos, afirmaba a nombre de la USAID: “Esto lo vamos a meter pase lo que pase y cueste lo que cueste, porque Venezuela es un pueblo que está dispuesto a ser libre”. Queda a la interpretación de los expertos en lingüística si algo que te meten coincide con sentirse libre.
En el evento lo acompañó el embajador de Estados Unidos en Colombia, Kevin Whitaker, quien afirmó en su derecho de palabra que “el alivio ya llegó”, en coincidencia con la narrativa falsamente compasiva de sus mejores amigos en Venezuela: la ultraderecha representada en María Corina Machado y el Leopoldo Fútbol Club de Voluntad Popular.
La presencia de Míster Kevin allí narra que la alianza entre los cuatro jinetes de Washington y Voluntad Popular se encuentra en un nivel de compromiso gerencial sellado por la plata. Para ellos dos, el juego es también de suma cero. Demasiados millones en juego como para pensar en cambiar las relaciones de lealtad.
Dicha actividad, en la que también coincidió Juan Manuel Olivares de Primero Justicia y Gabriela Arellano de Voluntad Popular, se desarrolló en un galpón en Cúcuta cerca del puente Tienditas, donde la siguiente imagen describe el próximo movimiento en el frente de la intervención: bomberos y policías de Cúcuta, junto a personas vestidas de blanco bajo el nombre de “Coalición de Ayuda y Libertad”, componen el acto performativo de un movimiento civil de laboratorio en proceso de formación. Básicamente, para que haga de escudero a un probable movimiento más pesado en cuanto a violencia profesional.
Esto lo confirma el tratamiento simbólico. Varios portales colombianos y venezolanos reseñaron “la protesta” de un grupo reducido de venezolanos cerca del puente Tienditas, quienes levantando pancartas pidiendo “Trump no nos abandones”, complementaban el llamado a movilización social que hacía Lester Toledo más temprano junto al embajador estadounidense.
Continuando con la misma línea de acción que en la preparación del fallido magnicidio del pasado 4 de agosto, Colombia asume un rol de coordinación logística, esta vez con la Unidad Nacional para la Gestión del Riesgo de Desastres (UNGRD), que se hizo cargo de recibir la “ayuda humanitaria” y de ofrecer las condiciones para que Voluntad Popular opere del otro lado de la frontera. La maniobra va tomando la forma de una intervención multinacional.
Así, la sobreexposición informativa del puente Tienditas, entre otros, va configurando el paisaje de la próxima agresión contra Venezuela, la cual probablemente buscará provocar situaciones de violencia que desencadene lo que la Administración Trump desea. Las ventajas de la frontera colombo-venezolana como base de desestabilización, por su fragilidad y dependencia a las economías sumergidas, son las ventajas operacionales del plan de la intervención militar.
De acuerdo al grado de improvisación que delata la estrategia estadounidense, es difícil proyectar el disparador del gran momento “anti-muro de Berlín” en el puente Tienditas, una imagen de ambición civilizatoria en el que los neocons Bolton, Abrams y Brownfield quieren protagonizar el papel Superman. El disenso de la Unión Europea a la política de asfixia financiera y pillaje sobre Venezuela que encabeza Washington podría dar paso a ese hecho de conmoción tan buscado en la frontera.
RACISMO Y HUMILLACIÓN: LA CONSTRUCCIÓN IDEOLÓGICA DE LA “AYUDA HUMANITARIA”
El presidente Nicolás Maduro ha tildado a la “ayuda humanitaria” como un show. Y es que la cartelización y magnificación propagandística, al ser contrastada con las estadísticas que se comienzan a exponer, no se corresponde con las expectativas generadas al principio.
Según la Unidad Nacional de Gestión del Riesgo, el acopio de productos en Cúcuta alcanza para cubrir la alimentación de 5 mil venezolanos por 10 días. Entre otros insumos alimenticios y farmacéuticos aún no especificados ni verificados por ningún ente multilateral de confianza, el rango de atención no supera la cifra anterior de venezolanos, aunque aseguran que las “raciones” serán suficientes para 90 días.
Una rápida comparación con el programa de protección social del gobierno venezolano, el cual atiende a 18 millones de personas mensualmente entre cajas CLAP y bonos del Carnet de la Patria, deja la operación de márketing de la USAID en desventaja en términos de su presentación como “salvadores” ante la opinión pública.
Los productos USAID son ajenos a la gastronomía venezolana
Hace algunos días el infomercenario Casto Ocando le presentaba a Leopoldo Castillo en su programa de televisión en Miami, los productos deshidratados que envía la USAID a zonas en conflicto y que también se trasladarían a Venezuela. La imagen generó el efecto adverso al que perseguía en tanto la solución prometida se ve peor al actual estado de cosas en el país.
Las barras energéticas con bajo contenido nutricional que entrega la USAID
Pero los productos USAID son también el correlato simbólico de la intervención contra Venezuela y de la retórica asesina de los jinetes de Washington. Es el uso del arma de destrucción masiva de las sanciones económicas (que empezaron en 2015) como paso previo para erigir una nación dependiente a la “ayuda humanitaria”. Así remarcan la supuesta superioridad biológica y cultural que le da sustento a la “raza elegida” estadounidense por sobre “razas inferiores” en los países que deciden atacar, donde las raciones de la USAID y la compasión estadounidense se vuelven un mecanismo para consolidar la esclavitud del “Tercer Mundo”.
El paradigma de esta operación en curso contra Venezuela es Irak; 10 años antes de la intervención estadounidense había pasado por el castigo de sanciones económicas que destruyeron su aparato productivo, la moneda y un sistema de seguridad social referencia para los países de Medio Oriente. En Venezuela intentan aplicar este mismo razonamiento, en el que las sanciones, los embargos, el bloqueo a la importación de productos básicos para una subsistencia mínima, provocan casi la misma carga destructiva que una campaña de bombardeos.
Asciende a 23 mil millones de dólares el robo a los activos petroleros de la nación y el bloqueo a las cuentas en el extranjero para adquirir medicinas y alimentos por parte del gobierno venezolano, colocando en peligro miles de vidas y augudizando la descomposición de un sistema de abastecimiento local que sólo funciona bajo el esquema Cadivi de dólares subsidiados.
En tal sentido, la “ayuda humanitaria” es, al mismo tiempo, la culminación de un proceso de destrucción sistemática de la economía venezolana y un premio de consolación que sólo reafirma la dependencia como economía periférica de Estados Unidos. Una mirada de sus productos, especificados en su página web, da cuenta de que la política de ocupación estadounidense persigue la consolidación de patrones de consumo dependientes del agronegocio gringo, como también un cambio en el imaginario colectivo donde el acto de comer implique competir por raciones.
El paisaje de estos productos va desde barras energéticas, latas de aceite vegetal, sacos de papas deshidratadas y habas de soya, entre otros productos ajenos a la mesa del venezolano, que simulan la dieta de un campo de concentración alimentado por Monsanto.
Las latas de aceite vegetal de la USAID
Igualmente, cada producto reúne aspectos simbólicos que dibujan la “ayuda humanitaria” como un práctica racista. No sólo porque son niños africanos quienes componen todo márketing publicitario de la USAID, sino porque en la propia presentación de los productos está presente la animalización cultural del consumo de alimentos. La forma en la que están dibujados es suficiente evidencia para examinar cómo Occidente tira sus sobras en los países periféricos que han sido asfixiados por el neoliberalismo, define su línea de vida en meses mientras exista la “ayuda” y construye una sociedad basada en la dependencia, despojándola de los medios propios para garantizar su existencia.
La construcción ideológica de la “República Bananera” retorna en el siglo XXI para reeditar una estratificación de la sociedad latinoamericana basada en el prejucio de que hay países inviables que deben ser tutelados en todos los ámbitos.
Haití, Somalia e Irak son casos testigos de cómo la “ayuda humanitaria” se potencia el canibalismo social, refuerza la dependencia, incentiva el saqueo y pone a funcionar a la sociedad en una lógica de sálvese quien pueda. Por esa razón, mantener al Estado en debilidad mediante sanciones y conflictos armados importados es un maniobra consciente para gerenciar, con el instrumento de la “ayuda humanitaria”, el saqueo de los recursos y el control cultural, alimentario y económico de sus poblaciones. Imponer el neoliberalismo y el individualismo como única relación social ante la destrucción de la soberanía y de la condición de ciudadanía. Lo que justifica el supremacismo estadounidense es justamente ese poder destructivo que entrelaza la destrucción de la guerra con la humillación del humanitarismo.
Esa es la doctrina que se aplica contra Venezuela empleando un severo bloqueo financiero que desarticula la vida económica en su totalidad, y al mismo tiempo, buscando la administración directa de todos los asuntos de la sociedad venezolana con un gobierno paralelo artificial. Desde ahí, el metamensaje de la “ayuda humanitaria” radica en que la decisión de qué come la población y cuántos recursos petroleros puede administrar Venezuela autónomamente, lo decide Estados Unidos.
Pero esta lógica racista choca con sectores de la clase media venezolana que, al pedir intervención desde las redes sociales y acompañar a Juan Guaidó, creen estar un escalón por encima del chavismo. Y justamente es lo contrario: mientras piensan que la intervención es el paso previo para convertirnos en la segunda Panamá del continente, Estados Unidos promete, en realidad, unas cuantas galletas, latas de aceite y sacos de soya como contrapartida a la entrega de los recursos naturales de la nación.
Para Trump y la doctrina de la “ayuda humanitaria”, los sectores acomodados venezolanos merecen el mismo trato racista y humillante que dan en África y regiones precarizadas de Latinoamérica. Y está decidido a construir un muro para hacer física esa diferencia entre “ganadores” y “perdedores”, entre “una raza superior” y otras “inferiores”.
El supremacismo estadounidense, que cada cuanto debe sacar el extremismo de su país, opera contra Venezuela bajo la creencia de que el chavismo debe ser exterminado física y políticamente. Una lata de aceite o una galleta es el correlato cultural del modelo de país que buscan imponer a los tiros.