Radiografia del discorso di Trump

RADIOGRAFIA DEL DISCORSO DI TRUMP CONTRO IL VENEZUELA IN FLORIDA

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In un evento con la “diaspora venezuelana” riunita in un auditorium dell’Università Internazionale della Florida, il presidente Donald Trump ha rilasciato un discorso che era stato annunciato con alte aspettative.

A pochi giorni dal 23 febbraio, data in cui l’antichavismo e Washington cercano di riprendere l’offensiva utilizzando l’ombrello dell’ “aiuto umanitario”, da Cucuta, e, possibilmente, da altri punti di confine, il pronunciamento di Trump era aspettato per consolidare la retorica bellicosa degli ultimo giorni ed ossigenare gli animi della base oppositrice.

L’intervento del presidente USA è durato circa 30 minuti, l’evento si è svolto sotto le spoglie di un atto di campagna elettorale con l’intenzione di mantenere contenta la sempre più influente massa elettorale venezuelana nello stato della Florida.

Le elezioni presidenziali del 2020 sono dietro l’angolo e la Florida può essere, ancora una volta, il punto di svolta.

Trump ha iniziato il suo discorso salutando i senatori Marco Rubio e Rick Scott, il rappresentante Mario Diaz Balart, l’ambasciatore all’OSA Carlos Trujillo ed il suo consigliere alla Sicurezza Nazionale, John Bolton, ai quali ha affidato il corso della politica estera USA verso il Venezuela sotto un approccio di linea dura.

POLITICA INTERNA, ASSURDI E COMPARAZIONI FORZATE

 

Nel corso delle sue parole, ha dedicato gran parte a criminalizzare il socialismo usandolo come fattore di polarizzazione contro il Partito Democratico.

Anche se ha catalogato la regione latinoamericana come una zona dove il socialismo stava al suo “crepuscolo”, il vero interesse era inviare un messaggio per la politica interna USA: servirsi della figura di Maduro, e del presunto fallimento del modello socialista in Venezuela, per terrorizzare l’elettorato di fronte ad un’eventuale vittoria del Partito Democratico nel 2020.

Nell’assurda logica di Trump, il Partito Democratico è il simile di Nicolás Maduro sul suolo USA, per cui l’uscita forzata del leader venezuelano sarebbe un’estensione dei suoi scontri in politica interna. Un messaggio diretto all’elettorato della “diaspora” cubano-venezuelana, che secondo il suo calcolo voterà in massa per lui in modo che non si ripeta in Florida ciò che accade in Venezuela. Questo ragionamento è compreso solo là.

Nella stessa linea di demonizzazione della leadership del presidente Maduro, ha elevato a livello di slogan che “gli USA mai saranno un paese socialista”. Così, mettendo in uno schema binario lo scontro pre-elettorale in cui è immerso, ha anche portato al massimo le proprie contraddizioni, poiché assumersi difensore del libero marcato, di fronte alle “idee socialiste” della parte contraria, è radicalmente contrario alle sue politiche protezioniste e di guerra commerciale.

Con un discorso che sfiorava il religioso, altamente decontestualizzato, Trump ha augurato che “per la prima volta nella storia si avrà un emisfero libero dal socialismo”, riferendosi direttamente all’America Latina. Il presunto risorgere del continente dopo l’applicazione del metodo del golpe morbido, negli ultimi anni, contro il blocco progressista, contrasta con il ritorno ad un’economia di taglio semi-schiavista in Brasile, la crescita della povertà in Argentina, le carovane di migranti centroamericani e del terrorismo di stato che stride, ogni giorno, in Colombia.

Tutte situazioni che non sono il risultato proprio di politiche di taglio socialista, ma conseguenze di colpi di stato, interventi giudiziari e militari e dell’estremo saccheggio di un sistema capitalista in crisi che esporta le sue contraddizioni alla periferia latinoamericana.

UN DISCORSO FATTO SU MISURA ED ESALTAZIONE DEL TERRORISMO (LA MANO DI BOLTON)

 

Trump ha anche usato frasi fatte e luoghi comuni disegnati, appositamente, per l’audience che aveva di fronte. Espressioni come “Maduro è un burattino di Cuba” sono state utilizzate per sollevare gli animi del fanatizzato pubblico, guadagnandosi qualche applauso (e voti) di più ed ottenere l’ovazione che tanto necessitava per distrarre l’attenzione dal suo più recente fallimento nell’ottenere il finanziamento al Congresso per ampliare il muro con il Messico.

Un pubblico che ha come leader organici portavoce estremisti come Luis Almagro o María Corina Machado, ha accolto con piacere questi cliché demagogici. Ed è che in quella stessa linea di contatto ha anche qualificato come eroe l’ex CICPC Oscar Perez, che è stato dimesso l’anno scorso dopo la formazione di una cellula di tipo paramilitare che ha attaccato edifici istituzionali di Caracas con spari e granate, mettendo a rischio la vita di lavoratori e bambini di un asilo nella sede capitolina del Tribunale Supremo di Giustizia.

La sua breve carriera come “Rambo criollo”, camuffato in una postura evangelica mescolata con discorso di auto-aiuto, ha avuto la sua ultima azione con un attacco terroristico ad una caserma militare a Los Teques, Miranda, dove ha assoggettato membri della Guardia Nazionale Bolivariana e si appropriò di diverse armi.

La menzione di Perez nel mezzo del discorso di Trump, che ha anche concesso un breve diritto di parola a sua madre, sembra avere il copyright di John Bolton. Un messaggio che, allo stesso tempo, mentre legittima il terrorismo e la guerra irregolare come risorse valide per affrontare il governo venezuelano, anche innalza il ruolo della Florida come base logistica del fallito assassinio dello scorso 4 agosto, della preparazione del golpe dell’ex colonnello Oswaldo García Palomo e del finanziamento di agende terroristiche.

Proprio dalla Florida si sono gestite risorse e supporti di tutti i tipi affinché l’agenda mercenaria s’imponga come punto di svolta del conflitto venezuelano, per questo motivo la menzione di Oscar Perez nell’auditorium non solo è stata una pensata per un pubblico specifico, ricettivo a questo tipo di messaggi, ma anche per rimarcare che la carta della violenza professionale e mercenaria è attiva per essere utilizzata.

Il metamessaggio è il seguente: stimolare l’emergere di un’altra figura come Óscar Pérez avrà il sostegno e la legittimazione degli USA.

Ricordiamo che un paio di mesi fa, il presidente Nicolas Maduro ha denunciato che John Bolton sarebbe dietro ad un piano per assassinarlo e nella creazione di un falso positivo con mercenari assoldati per consentire un intervento, posteriore alla simulazione di un colpo di stato.

APPELLO AD UN GOLPE MILITARE, “AIUTO UMANITARIO” ED ALTRI PARADOSSI

 

Come è di abitudine, Trump ha affermato che tutte le “opzioni sono sul tavolo”, riferendosi indirettamente all’uso dell’intervento militare per forzare un cambio di governo in Venezuela. Ha chiamato i militari a ritirare il sostegno a Maduro, permettere l’ingresso di “aiuti umanitari“, rischio “di perdere tutto quello che hanno”, se non accettano l’amnistia proposta dal governo artificiale di Juan Guaidó.

Il suo appello all’insurrezione militare è stata accompagnata con un discorso di terrorizzazione della FANB, indicando che “non avranno scampo” se continuano a sostenere Maduro, come se si trattasse di una decisione privata e non un mandato della Costituzione venezuelana dopo le elezioni del 20 maggio, dove Nicolás Maduro è stato rieletto come Presidente e Comandante della FANB.

Paradossalmente, dopo aver cercato di intimidire l’alto comando militare venezuelano, ha riconosciuto la sua importanza per “ripristinare la democrazia” e come fattore strategico affinché il cambio di regime avanzi.

In breve, Trump assume che la FANB mantiene la sua attuale catena di comando e che senza la sua rottura, tanto promossa dal suo gabinetto di guerra contro il Venezuela, Juan Guaidó ha poche possibilità di esercitare un potere pratico che renda praticabile l’uscita extra-costituzionale di Nicolas Maduro dal potere.

Così ha riconosciuto che l’effettività del sostegno USA al “governo parallelo” di Guaidó, le crude sanzioni economiche e finanziarie contro il paese e la strategia di provocare uno scontro militare impiegando la copertura dell’ “aiuto umanitario” in ultima istanza dipendono da una variabile che sfugge al suo controllo: la FANB.

STRATEGIA DI SICUREZZA NAZIONALE E LA ROTTURA DELL’ASSE ALBA

 

Il discorso di Trump è stato un adattamento della Strategia di Sicurezza Nazionale per il consumo della Florida. Questo documento che regola la politica estera USA sottolinea che, in un mondo iper-competitivo, dove vede sfidata la sua egemonia da Cina e Russia, gli USA sono abilitati ad utilizzare tutte le proprie risorse politiche, economiche, finanziarie e militari per mantenere la supremazia geopolitica e difendere lo stile di vita USA.

In questa strategia, presentata nel 2018, che rompe con le precedenti di Bush ed Obama per ritornare ad un linguaggio da Guerra Fredda con idee protezionistiche, disegna un mondo in cui gli USA hanno come obiettivo strategico ridurre la presenza di Cina e Russia in aree di interessi geostrategici per estendere il tempo di vita della sua egemonia. Una di quelle zone è, logicamente, il Venezuela, che negli ultimi anni ha ampliato le sue relazioni con le due potenze eurasiatiche in settori che vanno dal finanziario al militare.

Per lo stesso motivo, ed utilizzando la narrazione della “troika della tirannia” di John Bolton, Trump ha affermato che il rovesciamento del governo costituzionale del Venezuela è anche un innesco per elevazione a Cuba e Nicaragua, essendo questi tre paesi quelli che compongono il centro di gravità dell’asse ALBA come figura di contrappeso all’egemonia USA nella regione. Il golpe è a tre vie.

Nella Strategia di Sicurezza Nazionale di Trump, l’America Latina è una regione che si proietta come esclusiva, dove gli USA cercano di promuovere riforme di Stato, giudiziali ed economiche che blocchino la presenza di Cina e Russia ed orientino i flussi di materie prime per promuovere il programma “America First”.

La strategia di golpe morbido alla classe politica latinoamericana, giustificata sotto la copertura della “lotta anticorruzione” negli ultimi anni, modella l’applicazione pratica di ciò al raggiungere un riallineamento dei paesi precedentemente governati dal progressismo ed il centro politico verso gli USA. Il risultato è stato un indebolimento del potere degli stati-nazione del continente, sotto il quale cercano di ostacolare l’ascesa di Cina e Russia come partner strategici.

Tuttavia, la Strategia di Sicurezza Nazionale come paradigma si alimentata, a sua volta, dalla dottrina di dominio dello spettro completo e delle circolari di addestramento del Pentagono sulla guerra non convenzionale. Configura un concetto di politica estera aggressiva, di natura militare, in cui le sanzioni economiche, l’espansione delle basi militari, la persecuzione giudiziaria selettiva, l’indebolimento del potere economico degli Stati e l’uso di mercenari per “combattere contro la criminalità organizzata”, sono meccanismi per controllare geopoliticamente la regione.

Sebbene Trump abbia omesso di fare riferimenti diretti a Cina e Russia, il discorso è stato un’esposizione delle linee maestre della Strategia di Sicurezza Nazionale che giustifica l’azione eccezionale ed unipolare degli USA in aree dove ci sono risorse strategiche per la sua ricomposizione.

UN DISCORSO SGONFIATO PER IL 23F

 

Mentre Marco Rubio e altri membri del Congresso si trovano a Cúcuta per gestire l’entrata di “aiuti umanitari” il 23 febbraio, il discorso di Trump sembra non aver soddisfatto le aspettative annunciate dall’inizio.

Nelle sue parole finali, al di là dell’esplosione di emotività, si è notato un certo disincanto rispetto alle capacità stesse che hanno gli USA di cristallizzare un cambio di governo in Venezuela a breve termine. Trump ha fatto riferimento a che “un giorno” la libertà ritornerà in Venezuela, riducendo l’animo dell’opposizione sull’imminente uscita di Maduro.

A pochi giorni dal 23 febbraio, Washington non è riuscita a fabbricare le due precondizioni necessarie per attuare il cambio di regime: la frattura militare od uno scenario di guerra civile che inneschi l’ “intervento umanitario”. Per questo motivo, i luoghi comuni di Trump sono stati un meccanismo di compensazione per cercare di dissimulare le complicazioni al fine di rimuovere il chavismo dal potere con i minimi costi politici possibili. La figura di Guaidó, tuttavia, col passare del tempo, rivela l’incapacità di esercitare un reale potere nel territorio e nello stato venezuelano.

Trump mantiene “l’opzione militare” sul tavolo senza un percorso chiaro ed efficace che lo renda praticabile.

In questo senso, il 23 febbraio si cerca di disegnarlo come una svolta, dove il discorso di Trump, la campagna elettorale di Marco Rubio a Cúcuta ed il lavoro coordinato tra USAID e Comando Sud costituiscono una manovra provocatoria per incoraggiare uno scontro militare contro il Venezuela.

Ma proprio il discorso di Trump, riempito di luoghi comuni e frasi fatte, mette in evidenza l’urgenza di riprendere l’offensiva, l’incapacità di convincere Maduro ad arrendersi, il poco consenso su cui conta l’intervento militare e la ri-articolazione del chavismo come blocco politico e fattore di ordine e pace all’interno della società venezuelana.


RADIOGRAFÍA DEL DISCURSO DE TRUMP CONTRA VENEZUELA EN FLORIDA

 

En un evento con la “diáspora venezolana” congregada en un auditorio de la Universidad Internacional de Florida, el presidente Donald Trump emitió un discurso que había sido anunciado con altas expectativas.

A pocos días del 23 de febrero, fecha en que el antichavismo y Washington buscan retomar la ofensiva utilizando el paraguas de la “ayuda humanitaria” desde Cúcuta y posiblemente otros puntos fronterizos, el pronunciamiento de Trump era esperado para consolidar la retórica belicosa de los últimos días y oxigenar los ánimos de la base opositora.

La intervención del presidente estadounidense duró cerca de 30 minutos, el evento se desarrolló bajo la apariencia de un acto de campaña electoral con la intención de mantener contenta a la cada vez más influyente masa electoral venezolana en el estado de Florida.

Las elecciones presidenciales de 2020 están a la vuelta de la esquina y la Florida puede ser nuevamente el punto de inflexión.

Trump comenzó su alocución saludando a los senadores Marco Rubio y Rick Scott, al representante Mario Díaz-Balart, al Embajador en la OEA Carlos Trujillo y su asesor de Seguridad Nacional John Bolton, en quienes ha confiado el curso de la política exterior estadounidense hacia Venezuela bajo un enfoque de línea dura.

POLÍTICA INTERNA, ABSURDOS Y COMPARACIONES FORZADAS

En el transcurso de sus palabras, dedicó buena parte a criminalizar al socialismo utilizándolo como un factor de polarización contra el Partido Demócrata.

Aunque catalogó la región latinoamericana como una zona donde el socialismo estaba en su “crepúsculo”, el interés verdadero estaba en enviar un mensaje para la política interna estadounidense: servirse de la figura de Maduro, y el supuesto fracaso del modelo socialista en Venezuela, para aterrorizar al electorado ante una eventual victoria del Partido Demócrata en 2020.

En la lógica absurda de Trump, el Partido Demócrata es el símil de Nicolás Maduro en suelo estadounidense, por lo que la salida forzada del mandatario venezolano sería una extensión de sus choques en política interna. Un mensaje directo al electorado de la “diáspora” cubano-venezolana, que según su cálculo votará en masa por él para que no se repita en Florida lo que ocurre en Venezuela. Este razonamiento sólo se entiende allá.

En la misma línea de demonización del liderazgo del presidente Maduro, elevó a nivel de consigna que “Estados Unidos nunca será un país socialista”. Así, colocando en un esquema binario la confrontación preelectoral en la que está sumergido, también llevó al máximo sus propias contradicciones, pues asumirse defensor del libre mercado frente a la “ideas socialistas” del bando contrario es radicalmente opuesto a sus políticas proteccionistas y de guerra comercial.

Con un discurso que rozaba lo religioso, altamente descontextualizado, Trump auguró que “por primera vez en la historia habrá un hemisferio libre de socialismo”, refiriéndose directamente a Latinoamérica. El supuesto resurgir del continente tras la aplicación del método de golpe blando en los últimos años contra el bloque progresista, contrasta con el retorno a una economía de corte semiesclavista en Brasil, el crecimiento de la pobreza en Argentina, las caravanas de migrantes centroamericanos y del terrorismo de Estado que cruje diariamente en Colombia.

Todas situaciones que no son el resultado precisamente de políticas de corte socialista, sino consecuencias de golpes de Estado, intervenciones judiciales y militares y de la expoliación extrema de un sistema capitalista en crisis que exporta sus contradicciones a la periferia latinoamericana.

UN DISCURSO HECHO A LA MEDIDA Y EXALTACIÓN DEL TERRORISMO (LA MANO DE BOLTON)

Trump también utilizó frases hechas y lugares comunes diseñados específicamente para la audiencia que tenía enfrente. Expresiones como “Maduro es un títere cubano” fueron utilizadas para elevar los ánimos de la fanaticada en el auditorio, ganarse algunos aplausos (y votos) más y lograr la ovación que tanto necesitaba para distraer la atención sobre su más reciente fracaso en lograr el financiamiento en el Congreso para ampliar el muro con México.

Un público que tiene como líderes orgánicos a voceros extremistas como Luis Almagro o María Corina Machado, recibió con gusto estos clichés demagógicos. Y es que en esa misma línea de contacto también calificó como héroe al ex CICPC Óscar Pérez, que fue dado de baja el año pasado tras conformar una célula de tipo paramilitar que atacó edificios institucionales de Caracas con disparos y granadas, colocando en riesgo la vida de trabajadores y niños de un preescolar en la sede capitalina del Tribunal Supremo de Justicia.

Su corta carrera como “Rambo criollo”, camuflado en una postura evangélica mezclada con discurso de autoayuda, tuvo su última acción con un ataque terrorista a un cuartel militar en Los Teques, Miranda, donde sometió a efectivos de la Guardia Nacional Bolivariana y se apropió de varias armas.

La mención de Pérez en medio del discurso de Trump, quien además otorgó un breve derecho de palabra a su madre, parece tener el copyright de John Bolton. Un mensaje que, al mismo tiempo que legitima el terrorismo y la guerra irregular como recursos válidos para confrontar al gobierno venezolano, también enaltece el papel de la Florida como base logística del fallido magnicidio del pasado 4 de agosto, de la preparación del golpe del ex coronel Oswaldo García Palomo y de la financiación de agendas terroristas.

Desde Florida justamente se han gestionado recursos y apoyos de todo tipo para que la agenda mercenaria se imponga como punto de quiebre del conflicto venezolano, por tal motivo la mención a Óscar Pérez en el auditorio no fue sólo pensada para una audiencia específica, receptiva de este tipo de mensajes, sino también para remarcar que la carta de la violencia profesional y mercenaria está activa para usarse.

El metamensaje es el siguiente: estimular la emergencia de otra figura como Óscar Pérez contará con el respaldo y la legitimación de Estados Unidos.

Recordemos que hace un par de meses, el presidente Nicolás Maduro denunció que John Bolton estaría detrás de un plan para asesinarlo y en la creación de un falso positivo con mercenarios contratados para posibilitar una intervención, posterior a la simulación de un golpe de Estado.

LLAMADOS A UN GOLPE MILITAR, “AYUDA HUMANITARIA” Y OTRAS PARADOJAS

Como es de costumbre, Trump afirmó que todas las “opciones están sobre la mesa”, refiriéndose indirectamente al uso de la intervención militar para forzar un cambio de gobierno en Venezuela. Llamó a los militares a retirar su apoyo a Maduro, permitir la entrada de “ayuda humanitaria”, a riesgo de “perder todo lo que tienen” si no aceptan la amnistía propuesta por el gobierno artificial de Juan Guaidó.

Su convocatoria a la insurrección militar fue acompañada con un discurso de atemorización a la FANB, indicándole que “no tendrían escapatoria” si continúan apoyando a Maduro, como si se tratara de una decisión particular y no un mandato de la Constitución venezolana luego de las elecciones del 20 de mayo, donde Nicolás Maduro resultó reelecto como Presidente y Comandante de la FANB.

Paradójicamente, luego de intentar amilanar al alto mando militar venezolano, reconoció que su importancia para “restaurar la democracia” y como factor estratégico para que el cambio de régimen avance.

En resumen, Trump asumió que la FANB mantiene su cadena de mando actual y que sin su quiebre, tan promovido por su gabinete de la guerra contra Venezuela, Juan Guaidó tiene pocas posibilidades de ejercer un poder práctico que haga viable la salida extraconstitucional de Nicolás Maduro del poder.

Así, reconoció que la efectividad del apoyo de Estados Unidos al “gobierno paralelo” de Guaidó, las crudas sanciones económicas y financieras contra el país y la estrategia de provocar un enfrentamiento militar empleando la cobertura de la “ayuda humanitaria”, en última instancia dependen de una variable que escapa de su control: la FANB.

ESTRATEGIA DE SEGURIDAD NACIONAL Y LA RUPTURA DEL EJE ALBA

El discurso de Trump fue una adaptación de la Estrategia de Seguridad Nacional para consumo de la Florida. Este documento que rige la política exterior estadounidense destaca que, en un mundo hipercompetitivo, donde ve desafiada su hegemonía por China y Rusia, Estados Unidos está habilitado a utilizar todos sus recursos políticos, económicos, financieros y militares para mantener la supremacía geopolítica y defender el estilo de vida estadounidense.

En esta estrategia, presentada en 2018, la cual rompe con las anteriores de Bush y Obama por retornar a un lenguaje de Guerra Fría con ideas proteccionistas, dibuja un mundo en el que Estados Unidos tiene como objetivo estratégico reducir la presencia de China y Rusia en áreas de intereses geoestratégicos para extender el tiempo de vida de su hegemonía. Una de esas zonas es, lógicamente, Venezuela, que durante los últimos años ha ampliado sus relaciones con las dos potencias euroasiáticas en ámbitos que van desde lo financiero a lo militar.

Por esa misma razón, y utilizando la narrativa de la “troika de la tiranía” de John Bolton, Trump afirmó que el derrocamiento del gobierno constitucional de Venezuela también es un disparo por elevación a Cuba y Nicaragua, siendo estos tres países los que componen el centro de gravedad del eje ALBA como figura de contrapeso a la hegemonía estadounidense en la región. El golpe es a tres bandas.

En la Estrategia de Seguridad Nacional de Trump, Latinoamérica es una zona que se proyecta como exclusiva, donde Estados Unidos intenta impulsar reformas de Estado, judiciales y económicas que bloqueen la presencia de China y Rusia y orienten los flujos de materias primas para impulsar el programa “America First”.

La estrategia de golpes blandos a la clase política latinoamericana, justificada bajo la cobertura de la “lucha anticorrupción” en los últimos años, conforma la aplicación práctica de ésta al lograr un realineamiento de los países antes gobernados por el progresismo y el centro político hacia Estados Unidos. El resultado ha sido un socavamiento del poder de los Estados-nación del continente, bajo el cual intentan dificultar el ascenso de China y Rusia como socios estratégicos.

Sin embargo, la Estrategia de Seguridad Nacional como paradigma se alimenta a su vez de la doctrina de dominación de espectro completo y de las circulares de entrenamiento del Pentágono sobre guerra no convencional. Configura un concepto de política exterior agresiva, de corte militar, donde las sanciones económicas, la expansión de bases militares, la persecución judicial selectiva, el socavamiento del poder económico de los Estados y el uso de mercenarios para “luchar contra el crimen organizado”, son mecanismos para controlar geopolíticamente a la región.

Aunque Trump omitió hacer referencias directas a China y Rusia, el discurso fue una exposición de las líneas maestras de la Estrategia de Seguridad Nacional que justifica la actuación excepcional y unipolar de Estados Unidos en zonas donde existan recursos estratégicos para su recomposición.

UN DISCURSO DESINFLADO PARA EL 23F

Mientras Marco Rubio y otros congresistas se encuentran en Cúcuta para gestionar la entrada de “ayuda humanitaria” el 23 de febrero, el discurso de Trump parece no haber alcanzado las expectativas anunciadas desde el principio.

En sus palabras finales, más allá de la explosión de emotividad, se notó cierto desencanto con respecto a las capacidades propias que tiene Estados Unidos para cristalizar un cambio de gobierno en Venezuela en el corto plazo. Trump hizo referencia a que “algún día” la libertad volverá a Venezuela, reduciendo el ánimo opositor sobre la inminente salida de Maduro.

A pocos días del 23 de febrero, Washington no ha logrado fabricar las dos pre-condiciones necesarias para ejecutar el cambio de régimen: la fractura militar o un escenario de guerra civil que desencadene la “intervención humanitaria”. Por esa razón, los lugares comunes de Trump fueron un mecanismo de compensación para intentar disimular las complicaciones para sacar al chavismo del poder con los menores costos políticos posibles. La figura de Guaidó, en cambio, a medida que avanza el tiempo, deja ver la incapacidad que tiene para ejercer un poder real en el territorio y el Estado venezolanos.

Trump mantiene sobre la mesa la “opción militar” sin una ruta clara y efectiva que la haga viable.

En tal sentido, el 23 de febrero se intenta dibujar como un punto de inflexión, donde el discurso de Trump, la campaña electoral de Marco Rubio en Cúcuta y el trabajo coordinado entre la USAID y el Comando Sur, configuran una maniobra de provocación para alentar un enfrentamiento militar contra Venezuela.

Pero justamente el discurso de Trump, rellenado por clichés y frases hechas, pone de manifiesto la urgencia por recuperar la ofensiva, la incapacidad para convencer a Maduro de que se rinda, el poco consenso con el que cuenta la intervención militar y la rearticulación del chavismo como bloque político y factor de orden y paz a lo interno de la sociedad venezolana.

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