Camilo Rengifo Marín, CLAE – http://aurorasito.altervista.org
Sconcerto, ambivalenza, incapacità, crisi economica e sociale, dilagare di corruzione e assassini di decine di leader sociali segnavano il primo semestre del governo di destra di Ivan Duque in Colombia, in cui i cittadini temono che per sopravvivere si appelli a due guerre simultanee: una interna e l’altra contro il vicino Venezuela.
Il suo permanente e monotono bombardamento verboso contro il governo venezuelano, il movimento delle truppe verso il confine e il finanziamento delle attività (politiche e sovversive) degli oppositori radicali del Paese vicino, culminarono in un’operazione infruttuosa progettata da Washington e affidato al suo governo, introdurre “aiuti umanitari” in Venezuela, mettendo in pericolo la pace nella regione. L’unità mostrata dall’esercito venezuelano generava un “effetto rimbalzo” su quelli colombiani.
La confessione di Duque al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in una conversazione telefonica (rivelata da Nicolás Maduro), secondo cui l’esercito colombiano non sarebbe disposto a essere coinvolto in un conflitto (almeno aperto) col Venezuela, è un grosso ostacolo sul percorso dei falchi a Washington… e, soprattutto, sul futuro della Colombia.
E c’è stata la rottura delle relazioni diplomatiche annunciata dal Presidente Nicolás Maduro. In Venezuela vivono circa cinque milioni di colombiani e vasti settori della popolazione di confine ricevono prodotti (alimentari, benzina tra gli altri) dal Paese vicino, in un confine che fino al 1 marzo era attivo e dal libero transito su ponti, orsi d’acqua e cosiddette “strade verdi”.
A causa delle piogge, uno dei principali fiumi del dipartimento di Chocó straripava colpendo almeno sei comuni, lasciando oltre settemila vittime senza assistenza. Juan Carlos Palacios, direttore della pastorale sociale della diocesi di Istmina, aveva detto alla Semana che il governo non fa assolutamente nulla per affrontare l’emergenza: “Il Chocó è Colombia, Hidrohituango è Colombia, il Venezuela è la Colombia?”
Nel frattempo, la stagnazione nell’attuazione degli accordi di pace con la guerriglia e l’omicidio sistematico dei leader sociali, insieme alla ricomparsa del paramilitarismo, fa temere un rimbalzo armato nel Paese nel 2019, cruciale per la politica, con cambio di governo ed elezioni locali fattori decisivi nelle dinamiche delle violenze in un Paese in cui numerosi leader sociali vengono uccisi ogni giorno.
E gli scandali della corruzione non si fermano, compreso l’assassinio di testimoni delle operazioni fraudolente dei governi di Álvaro Uribe e Juan Manuel Santos, dove sono coinvolti come attori o gregari, non solo grandi aziende e affaristi, politici, funzionari e magistrati, ma anche il procuratore generale. E negli ultimi 48 mesi sono riapparsi a Bogotá, la capitale, attentati con esplosivi (ce ne sono stati 27). Nel 2015, gli attentati furono effettuati con ordigni poco potenti e successivamente esplodevano contro forza pubblica, banche, enti sanitari e luoghi commerciali, compreso l’attentato al quartier generale del Partito Opción Ciudadana a Teusaquillo, e nel centro commerciale Andino dove morirono tre donne. E poche settimane prima, l’autobomba contro la Scuola Generale della Polizia di Santander, che provocò oltre due dozzine di morti e 65 feriti: il governo colse l’opportunità per chiudere i colloqui di pace coll’Esercito di liberazione nazionale (ELN)
Aiuto umanitario e muro di Berlino
Il presidente colombiano fu fortemente criticato nei social network (la stampa egemone si asteneva dal farlo) a causa di un confronto errato. Il 22, quando terminava lo spettacolo Aid Live a Cúcuta, Duque, che era sul palco accanto a Guaidó, posava per le telecamere e un giornalista gli chiese cosa sarebbe successo se ai camion non fosse stato permesso entrare. E il Duuqe rispose: “Penso che sarebbe un crimine contro l’umanità impedire che arrivino gli aiuti umanitari. Dite le cose come stanno: oggi ciò che è quasi l’equivalente a quello che fu il crollo del muro di Berlino, in quel momento era dividere, qui è impedire gli aiuti umanitari, quindi oggi ho l’illusione che il popolo venezuelano convinca le forze militari di quel Paese a collocarsi dalla parte giusta della storia”,
Relazioni difficili
Una serie di eventi si sono verificati tra Colombia e Venezuela culminati, per ora, con la rottura delle relazioni annunciate dal Presidente Maduro, una misura che impedirà la fornitura di benzina e cibo nel nord della Colombia da subito. Non è la prima volta che i tamburi di guerra tra i due vicini sudamericani rullano. Colombiani e venezuelani condividono, oltre a una storia comune, un confine marittimo e terrestre di oltre 2200 chilometri e diversi incidenti negli ultimi 32 anni, oltre a una guerra permanente dei microfoni durante l’amministrazione del presidente colombiano Álvaro Uribe.
Il 19 agosto 1987, la corvetta colombiano Caldas andò nelle acque venezuelane del Golfo del Venezuela, quasi creando una grave crisi. Col fallito colpo di Stato contro Hugo Chávez nel 2002, il dittatore per 47 ore Pedro Carmona fuggì a Bogotá (presumibilmente su un’auto diplomatica colombiana), da dove, insieme ad altri oppositori, lanciava una campagna contro il governo di Chávez. Nel 2004, agenti segreti colombiani rapirono il “cancelliere” delle FARC Rodrigo Granda nel cuore di Caracas, un fatto che Chávez descrisse come violazione della sovranità venezuelana.
Il Venezuela fu un fattore importante nell’accordo di pace tra il governo colombiano e la guerriglia delle FARC, che non fu rispettato da Bogotá.
Dal 2017 non c’è nessun ambasciatore colombiano a Caracas (Juan Manuel Santos lo ritirò e Duque non ha nominato nessuno) e dalla metà del 2018 anche il Venezuela è senza rappresentante diplomatico a Bogotá. Quest’anno i Paesi hanno vissuto un’altra crisi diplomatica a causa della decisione di Maduro di espellere il console colombiano Juan Carlos Pérez, prima dell’espulsione di Carlos Pino, consigliere esterno dell’ambasciata venezuelana. La realtà è che le relazioni sono ridotte a quelle consolari, mentre Duque armava il parapetto con cui gli Stati Uniti volevano introdurre “aiuti umanitari” in Venezuela attraverso la vasta frontiera, offrendo ogni sostegno ai capi dell’opposizione venezuelana, mentre gruppi di paramilitari (di entrambi i Paesi) sono addestrati in territorio colombiano per entrare nel Paese vicino, secondo le denunce di Caracas.
Almeno, Duque ha raggiunto uno dei suoi obiettivi: distogliere l’attenzione dal suo pessimo governo con un conflitto internazionale col Venezuela. Un conflitto che i suoi militari non sono decisi ad assumere, anche se ciò significherebbe continuare a ricevere enormi risorse statunitensi col cosiddetto Plan Colombia. I crescenti tassi di povertà chiariscono che milioni di colombiani hanno davvero bisogno di aiuti umanitari.
*Professore universitario economista e colombiano, analista associato al Centro latinoamericano per l’analisi strategica (CLAE)
Traduzione di Alessandro Lattanzio