Marinella Correggia per Sibialiria – Caracas
Il 5 marzo, sesto anniversario della morte di Hugo Chavez e ultimo giorno di Carnevale, le persone in coda nell’area collinare 23 enero per salutare il loro presidente defunto al Cuartel de la Montaña (1) o a passeggiare con bambini mascherati da Carnevale non sembravano pensare nemmeno lontanamente al golpista di ritorno, Juan Guaidò.
Guaidò? Arrivato ma non pervenuto
Se avessero potuto leggere quanto scriveva il Corriere della sera sul ritorno dell’eroe dei due mondi (quello occidentale e quello dei governi satelliti latinoamericani), questi venezuelani avrebbero chiesto al giornalista Rocco Cotroneo, corrispondente da Rio de Jaineiro: «Scusa ma dov’è la feroce dittatura, visto quel che scrivi, e cioè che questo tipo torna qui, incontra i giornalisti, fa comizi in piazza? A proposito ci dici quale piazza che non la vediamo?»
Seduta su un muretto con un gruppo di poeti per diletto vicino a piazza Bolivar, la nutrizionista Chelia (in realtà ha un nome impossibile che perfino suo marito ha faticato a imparare: Greselidas, nome russo, «i miei erano di sinistra») sorride: «L’autoproclamato? Lasciamolo cuocere nella sua salsa», mentre Maria Milagros, padre del Molise, aggiunge: «Devo fare una piccola opera teatrale su questa storia surreale». Poi appunto chiedono: «Vedi che guerra? Vedi come combattiamo fra noi? Vedi come ci opprimono?».
Una guardia bolivariana loquace e informata sul mondo
Dalla piazza vicina, musica, giochi per i bambini, danze, voci, schifezze alimentari (caramelle, zucchero filato coloratissimo) offerte da ambulanti, un signore scrive intento su una grossa agenda, e quasi nessuno fotografa, né meno che mai passa l’indice sullo smartphone.
Dei social, del resto, parlava male Alfonzo, una guardia bolivariana la mattina, sulla stessa piazza, discorrendo del mondo per mezz’ora – con una passante sconosciuta -, con la competenza che molti venezuelani dimostrano: effetto della biblioteca basica tematica inventata da Chavez e ora in tempo di penuria di carta proseguita con i libri usati? Effetto della radio? Di una tivù pubblica che certo trasmette discorsi dei politici ma anche molta informazione?). Diceva la guardia addetta ai monumenti, mentre dava informazioni a questo e quello su come arrivare a omaggiare Chavez: «Internet ha condannato la Libia». Anche per lui, il ritorno di Guaidò non è centrale. Ma non gli farete niente? «Eh, qui abbiamo scarcerato dopo pochi giorni anche i guarimberos che avevano appiccato il fuoco a servizi pubblici, e già si dichiaravano perseguitati…qui si parla di dialogo, paz…» Non condivide questa politica che molti trovano lassista? Non risponde e passa a parlare dei poveri gringos negli Usa che sono «i più malati del mondo, per come mangiano, per i debiti che hanno». Ma ne ha anche per i venezuelani «abituati alla città, il governo dava crediti per lavorare in agricoltura e magari si comprovano la macchina, il petrolio ha deformato l’economia», e soprattutto per i giovani, che vede un po’ persi, anche loro per via di Internet: «Fanno figli a 17 anni, e sono ancora bambini!» Salva invece l’assenza di xenofobia: «Qui accogliamo tutti. Dall’Europa distrutta dalle guerre, o gli armeni vittime degli Ottomani…. E vada a vedere il quartiere dei tedeschi…» Ma questi stranieri, sono pro o contro il governo? «In genere sono per se stessi». Giulio Santosuosso, matematico ed editore italiano, spiega le virtù del meticciato così evidente in Venezuela e che, se non preserva dal razzismo dei bianchi che colpì anche Chavez, relega però la loro posizione fossile a una infima minoranza piuttosto arroccata. «Ma quando iniziai a insegnare qui all’università, venti anni prima di Chavez, i docenti erano tutti bianchi e gli studenti in maggioranza anche.»
Discorrendo di nutrizione alternativa, indipendenza alimentare e Fidel/Chavez
Passa un cane di quartiere, razza mista standard, beige scuro pelo raso: non ne abbiamo visti di mal messi come in Italia, come è possibile? E Chelia spiega: «Sono nutrizionista e per indicare lo stato alimentare di un luogo si usa l’indice perro: quando i cani di strada sono malconci, è indicativo…» Nutrizionista? Benissimo! Risponde alla domanda su dove si trovano orti urbani e su perché certi non funzionano, storie di piccoli poteri e negligenze. Inizia uno scambio di buone pratiche collettive e individuali di indipendenza alimentare (essiccazione e orto sul lavello – i germogli – compresi): una condicio sine qua non di resilienza e resistenza che qui a causa della monocoltura petrolifera è stata abbandonata. In pochi – malgrado perfino la tivù ne parli (il Canal 8 dicono), per ora usano prodotti naturali ed economici come la moringa, che Fidel usava e Chavez no («non si curava, non riposava, era stressato, mangiava solo dolci», noto comfort food). Maximo dice: «Ho riassunto un testo interessante di Dipak Chopra, Cuerpo sin edad y mente sin tiempo, ve lo posso mandare» (non ha internet a casa, il suo sito utopiahora.gimdo.com non è aggiornato da mesi…).
La moringa cresce bene qui, «è molto nutriente, utile per varie patologie, solo che non la trasformiamo, manca questo passaggio». Ma l’ipeinflazione ha indotto cambiamenti? «Un po’ sì, c’è chi si ingegna a far da sé in casa a partire dalle materie prime.» Il punto debole è che l’ortofrutta, alimento importante, costa… «Dovremmo produrne di più, con il petrolio hanno abbandonato le campagne malgrado gli incentivi degli ultimi due decenni» dice Maximo. Maria Milagro dice: «C’era l’abitudine di comprare nei porti» (un’espressione per dire che si importava tutto), «mangiavamo mele…con tutti gli alimenti che qui crescono benissimo, mio papà quando mangiò avocado, il burro verde, per la prima volta non riusciva a smettere!» Viene in mente Thomas Sankara in Burkina Faso, e il suo motto sul produrre quel che si consuma e viceversa: «Non abbiamo bisogno delle vostre mele, mangeremo i nostri manghi!» Chelia dice anche che l’obesità è un po’ diminuita. Virtù della penuria, nella quale un lecca lecca venduto da un ambulante costa quanto un’intera cassa di prodotti sovvenzionati distribuita mensilmente a sei milioni di famiglie!
Ligia dice che però il razionamento dell’acqua le pesa, Maria Milagro osserva: «in Italia siete abituati a risparmiare risorse» (beh, non ci conosce!), «qui si consuma così tanta acqua che non si fa in tempo a depurarla, non devi bere quella del rubinetto senza farla bollire!». Troppo comodo però aprire il grifo e riempire la borraccia! La nutrizionista poi consiglia: «Se vai a Barquisimeto, chiedi della pietra tinajero, gli indigeni la usavano per depurare l’acqua! E’ una pietra porosa tipo la pomice con la quale è fatto il mio filtro di casa».
E la spazzatura prodotta, è diminuita? Avevo sentito del 40%… Però tutti questi sacchetti sottili sottili di plastica… Con tante soluzioni durevoli… «Hai ragione, cerchiamo di diffondere anche queste. Vieni il 9 marzo, abbiamo il Bazar poetico con oggetti di riciclaggio e per non far rifiuti all’Eje del Buen vivir». Un parco bellissimo, dove a caro prezzo (per gli stipendi venezuelani decurtati dall’inflazione) c’è chi beve succhi di frutta e chi una birra.
In un paese desertico ben diverso da questo rigoglioso, la rivoluzione troppo breve degli anni 1980 in Burkina Faso assumeva questa regola: «Il miglio deve servire prima all’alimentazione che alla birra, perché tutti devono mangiare tutti i giorni. Se proprio avanza, si farà la birra, con il miglio locale però». Il sorriso di Sankara è rimasto, da uno dei poster che campeggiano nel parco, a ricordare la recente Assemblea dei popoli tenutasi a Caracas alla fine di febbraio.
(1) E’ stato impossibile entrare al Cuartel, malgrado la coda, con la signora Amelia la quale diceva: «Per quella morte ho pianto giorni. Il giorno prima lui si congedò da mia sorella…». Ah, lo conosceva? «Non direttamente: lo sognò». Sono riusciti a entrare perché registratisi per tempo un gruppo di militanti della comune de Sucre, come Noris Herrera, che si occupa di produzione tessile. Da visitare.