Fabrizio Casari www.altrenotizie.org
Dando concreto esempio di cosa intende la Casa Bianca quando parla di “aiuti umanitari”, il Venezuela ha subito una serie di attacchi informatici voluti, organizzati e successivamente rivendicati dal governo degli Stati Uniti. E’ stato colpito il sistema automatizzato di El Guri, da cui dipende la distribuzione nell’80% del territorio nazionale dell’elettricità venezuelana.
Come succederebbe in qualunque paese del mondo che si trovasse improvvisamente privo della sue rete elettrica e, per conseguenza, informatica, il blocco dell’erogazione di elettricità ha mandato in tilt tutti i sistemi che poggiano sulla rete elettrica: dal sistema viario a quello informatico, dall’illuminazione delle strade, alle case private e agli edifici pubblici.
Il Segretario di Stato Usa, il nazi-evangelista Mike Pompeo, ha rivendicato tronfio l’attentato. A lui si è associato il deputato USA Marco Rubio, rappresentante della mafia cubano americana della Florida, che nemmeno un minuto dopo il blocco già esultava su Twitter indicando dettagli che potevano essere a conoscenza solo degli autori del sabotaggio. Dunque esponenti di primissimo piano dell’amministrazione Trump sono colpevoli diretti di un atto definito da ogni codice penale come terroristico e ciò definisce in modo inconfutabile il profilo del gabinetto del presidente.
Con il sabotaggio della rete elettrica gli Stati Uniti hanno dato il via alla nuova fase dell’aggressione al Venezuela. La sconfitta dell’operazione golpista ha infatti obbligato la Casa Bianca a rivedere i suoi piani per impadronirsi del paese sudamericano. Guaidò è ormai bollito e ci mette del suo nel trasformare un golpe in una farsa. Riconosciuto solo nei corridoi dove si riunisce il gruppo di Lima ma ignorato da quasi il 90% della comunità internazionale, nemmeno in Venezuela gode di grande sostegno: le manifestazioni in suo favore sono di dimensioni decisamente contenute, diversamente da quelle che sostengono il legittimo governo di Nicolas Maduro.
L’assenza di credibilità per lo scolaro della CIA autonominatosi presidente è uno dei maggiori problemi per Trump. Per valorizzarlo si valuta anche la resa post-mortem, ovvero eliminarlo incolpando il governo; ma una credibilità già fortemente scossa non ne aiuta affatto la realizzazione, considerando che Maduro non lo nomina nemmeno perché nessuno in Venezuela lo considera qualcuno, meno che mai un obiettivo.
Ma eliminare Guaidò per trasformarlo in una vittima è una opzione presente nei piani della conventicola nazi-evangelica cui Trump ha delegato la politica di riconquista dell’America Latina. Un quintetto squinternato e criminale che lo aveva convinto di come il cambio di regime in Venezuela sarebbe stato rapido e sostanzialmente indolore. E’ stato, invece, un fiasco totale e questo comincia a porre interrogativi anche nell’establishment statunitense.
Al momento, infatti, il bilancio dell’operazione vede l’autorevolezza internazionale ridotta al minimo e il 23% del suo fabbisogno petrolifero prima acquistato da Caracas che dovrà ora essere coperto dal Golfo Persico con un costo ben più alto. Il Congresso ha già votato una mozione che inibisce Trump all’uso dei militari e una parte della stessa stampa statunitense comincia a denunciare le manipolazioni dell’amministrazione Trump. Ultimo in ordine di tempo (ma non certo d’importanza) è stato il New York Times, che ha smentito siano state le forze di sicurezza venezuelane a bruciare i camion con gli “aiuti umanitari” a Cucùta ed ha riconosciuto che le informazioni somministrate dalla Casa Bianca, che hanno costituito il pretesto utilizzato dagli USA per rinforzare le sanzioni, sono frutto di una fragorosa menzogna.
L’autorevolezza internazionale degli Stati Uniti è stata scossa. Gli organismi multeraterali, che nel progetto golpista avrebbero dovuto fornire la cornice giuridico-politica per l’uso della forza, da dispiegarsi sotto l’egida di una improvvisata coalizione ad hoc, hanno rifiutato qualunque appoggio al cosiddetto “presidente interino” che non dirige niente e nessuno in Venezuela, nemmeno la destra, che lo giudica un usurpatore nel ruolo di antagonista di Maduro a nome dell’opposizione.
Persino gli alleati del Gruppo di Lima non vogliono sentir parlare di uso della forza e la stessa Unione Europea, alla vigilia delle elezioni europee, non ha nessuna intenzione di continuare a inviare i suoi ridicoli ultimatum che le hanno fatto solo cumulare figuracce. Sanchez è uscito di scena, Macron è alle prese con le proteste sociali, la May con una Brexit dolorosa e la Merkel in crisi di consensi: di tutto hanno bisogno tranne che d’impantanarsi in Venezuela.
I due pilastri politico-militari sui quali si reggeva l’ipotesi di aggressione al Venezuela sono anch’essi traballanti. In Colombia una crisi economica e sociale acuta rende difficile proporsi per una avventura militare e ancor meno probabile è il coinvolgimento del Brasile. Qui i militari hanno già platealmente stroncato le velleità interventiste di Bolsonaro, dimostrate con la messa sotto tutela del Ministro degli Esteri Ernesto Arajuo e con la sostituzione dello stesso Bolsonaro con il Generale Hamilton Mourau alla riunione del Gruppo di Lima. Proprio in quella sede è stato chiarito a Mike Pompeo che il Brasile non parteciperà in nessun modo ad un attacco contro il Venezuela e che il governo Bolsonaro, dopo solo 60 giorni, si trova già coinvolto in numerosi atti di corruzione che non ne diagnosticano un futuro luminoso per quello che si era definito il paladino dell’anticorruzione.
I militari presenti nella giunta di governo vedono Bolsonaro come un loro sottoposto da un punto di vista castrense e non lo considerano nemmeno da quello civico. Stando a quanto riportato dalla stampa brasiliana nei giorni scorsi, i militari, che stanno già pensando a come rendere il neopresidente un puro elemento decorativo e silente, hanno chiarito come il Brasile non ha motivi di conflitto con il Venezuela, con la quale semmai ha in corso una proficua collaborazione militare e d’intelligence a cui l’esercito non ha nessuna intenzione di rinunciare. Inoltre, Brasilia vende alla Cina il 27% delle sue esportazioni (negli USA solo l’11,9) e Pechino ha già chiarito che una eventuale missione militare contro Caracas azzererebbe ogni rapporto. Già spostare a Gerusalemme l’ambasciata brasiliana in Israele ha comportato il blocco delle importazioni nei paesi arabi, circa l’11% del totale. Da ultimo, ma non per ultimo, i militari brasiliani ritengono “il peccato dei peccati” la presenza di truppe statunitensi in America Latina e credono che se la Colombia vuole divenire la suola degli USA, sostituendo il Cile nel suo ruolo storico, è affare solo di Duque.
Un simile quadro rende estremamente complesso un attacco frontale per procura. L’opzione rimasta alla Casa Bianca per la destabilizzazione del Venezuela è dunque quella fondata da un lato su un ulteriore inasprimento delle sanzioni (ma che rischia di divenire parzialmente inefficace di fronte agli scambi con Russia, Cina, India, Sudafrica, Iran e Turchia) e dall’altro dall’innesco di una guerriglia di tipo terroristico sull’esempio dei Contras in Nicaragua, fatta di stragi, attentati e provocazioni con lo scopo di alzare la tensione alle stelle e determinare una situazione di caos che, secondo loro, dovrebbe portare alla paralisi interna.
L’attacco cibernetico ricorda quanto avvenne in Nicaragua a Puerto Corinto, dove sabotatori della CIA incendiarono la raffineria nicaraguense e minarono i porti dell’intero paese e sembra riverberarsi lo stesso copione solo tecnologicamente aggiornato. Ma proprio l’esempio cubano e quello nicaraguense, che di blocchi economici e guerra mercenaria ne sanno molto, dimostrano che quella terroristica è sì una strategia che porta dolore e lutti ma non necessariamente conduce alla vittoria. E l’anno e mezzo o poco più rimanente a questa amministrazione non è sufficiente. Il generale Tempo è alleato leale dei figli di Hugo Chavez.