Juan Guaidó: da autoproclamato presidente…

ad agnello che l’impero potrebbe sacrificare

 

L’ “autoproclamato” presidente del Venezuela, Juan Gerardo Antonio Guaidó Márquez, sa che la condizione di deputato non gli concede l’impunità, solo l’immunità

Raúl Antonio Capote www.granma.cu

La storia è piena di re, presidenti e governanti autoproclamati; se guardiamo in letteratura troveremo anche molti esempi, alcuni di quei personaggi reali o letterari hanno segnato un’epoca, altri erano protagonisti di alcuni esilaranti aneddoti, di qualche scherzo del dopo cena.

La Bibbia racconta che, Adonia, figlio di Agghìt, cospirò con Joab, figlio di Tseruiah, e con Abiatar, il sacerdote, riunì i suoi seguaci e parenti vicino alla roccia di Zoelet, in En Rogel, e si proclamò re di Giuda, alle spalle di David.

Don Fernando de Guzman si autoproclamò “per grazia di Dio, principe di Tierra Firme e Perù”, ignorando l’obbedienza al re Filippo di Spagna. Guzman non era disposto a condividere le ricchezze del mitico Dorado con nessun re d’oltre Atlantico.

L’Inghilterra della seconda metà del XV secolo era un paese immerso in un caos di intrighi e mutevoli alleanze. Due parti inconciliabili, gli Yorks ed i Lancaster, combatterono una lotta mortale per il trono. I re autoproclamati si moltiplicavano; uomini e donne ambiziosi lottarono, duramente, per la corona.

Nel suo libro ‘Il male minore’, Marwan Antaki Soto ci racconta la storia di Joshua Abraham Norton I, che si auto-titolò imperatore degli USA e poi protettore del Messico alla fine del XIX secolo.

Secondo quanto informa Mision Verdad, una cronaca pubblicata da Orlando Avendaño, nel reazionario PanAm Post, afferma che “la figura di presidenza ad interim di Juan Guaidó è sorta in una riunione presso la sede dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA)”. Secondo Avendano in quella riunione del 14 dicembre, il Segretario Generale, Luis Almagro, Julio Borges, Leopoldo Lopez, Maria Corina Machado ed Antonio Ledezma concepirono che il colpo maestro dell’opposizione antichavista sarebbe stato promuovere un “governo di transizione”.

QUANDO DI TRANSIZIONE ALLA MORTE SI TRATTA

 

Quando si è messa in moto la farsa che ebbe come conclusione l’aggressione alla Libia e l’assassinio di Muammar Gheddafi, un professore universitario, poco conosciuto nei circoli accademici, iniziò a denunciare nelle reti sociali la “situazione caotica in cui si trovava il suo paese”; quando la guerra mediatica era al suo apogeo, il professore, questa volta davanti alle telecamere delle principali reti televisive, richiese, in posa drammatica, l’intervento in Libia delle forze NATO, giorni dopo morì «per mano delle forze di Gheddafi», dissero i media, «vittima della repressione del tiranno».

Contro Cuba nel 2006, si cercò di costruire uno scenario simile; per il 13 agosto di quell’anno un controrivoluzionario poco noto avrebbe organizzato una “rivolta popolare” nel Centro Habana; non pochi conoscitori del piano sospettarono, anche per il linguaggio usato dai media USA, in particolare della città di Miami, che il presunto attivista potesse morire il giorno dell’azione “un attivista difensore dei diritti umani è disposto ad immolarsi per la democrazia”, ripetevano le reti televisive.

Il giorno previsto per la provocazione, ecco cos’era, perché gli organizzatori, funzionari della Sezione di Interessi USA a L’Avana de ufficiali della CIA, avevano ben chiaro che non sarebbe avvenuta alcuna rivolta popolare, si scatenò un’intensa campagna nelle reti sociali e nei media per generare la corrente di opinione che si era creata, a Cuba, una condizione di ingovernabilità e caos con la malattia del Comandante in Capo Fidel Castro e la nomina del Generale dell’Esercito Raúl Castro a capo del governo. Quando quella matrice fosse ben piantata e probabilmente morto l’attivista per mano delle “forze di sicurezza”, un agente della CIA, cubano, un professore universitario, avrebbe richiesto l’aiuto del governo USA, assistenza che si sarebbe materializzata con l’intervento militare nell’Isola. Quell’uomo, addestrato dalla CIA, un dirigente fabbricato da lei, sarebbe un autoproclamato “presidente della transizione”.

Davanti alla domanda dell’ “autoproclamato”, come Guaidó, abusivamente dagli USA, su chi garantiva la sua sicurezza, gli hanno detto con fredda logica, “la cosa migliore che possa succedere è che cerchino di fare qualcosa contro di te”.

La fabbrica di dirigenti della destra latinoamericana iniziò a funzionare, a piena capacità, da prima dei cosiddetti processi di transizione alla democrazia che posero fine alle dittature nel continente. Gli USA avevano bisogno di dirigenti di nuovo tipo che garantissero il potere delle multinazionali, le fonti di materie prime e lo spazio vitale dell’impero nel suo “cortile”.

Alla fine degli anni ’80, la reale possibilità che gli autentici movimenti popolari progressisti trionfassero in America Latina era più di una previsione studiata dai laboratori e dai servizi d’intelligence USA; una nuova ondata progressista poteva iniziare a spazzare via gli interessi imperiali, e le dittature non svolgevano il loro ruolo di muro di contenzione, bisognava cercare una variante.

Un ruolo fondamentale nella preservazione del dominio yankee nella regione lo avrebbero svolto i dirigenti formati da loro, così lo hanno fatto: progetti di scambio accademico, borse di studio, corsi di leadership, dove si formarono la quasi assoluta maggioranza di coloro che ora occupano importanti posti nell’economia, società e nella politica dell’altra lato del Rio Bravo.

IL PIANO DI GUAIDÓ

 

Il 22 febbraio, nonostante l’ordine del tribunale che espressamente gli impediva di lasciare il paese senza autorizzazione, Guaidó si è presentato a Cucuta nel quadro del concerto che è servito come facciata alla pretesa violazione della sovranità nazionale, che aveva annunciato avrebbe avuto luogo il 23 febbraio. Da allora, ha intrapreso un tour in America Latina in cui ha annunciato che sarebbe ritornato a Caracas, e così ha fatto.

L’ “autoproclamato” presidente del Venezuela, Juan Gerardo Antonio Guaidó Márquez, sa che la condizione di deputato non gli concede l’impunità, solo l’immunità. Guaidó è un cittadino che affronta un procedimento penale, che ha ricevuto un chiaro ed esplicito ordine, che ha ignorato; quando un cittadino ha violato una misura di divieto del paese, ciò che corrisponde al Pubblico Ministero è richiedere all’autorità giudiziaria che revochi la misura cautelare per inadempimento, o che l’autorità giudiziaria proceda a farlo d’ufficio, tendendo, logicamente, ad utilizzare una misura di maggior peso contro il cittadino che non rispettò l’ordine ricevuto.

La decisione delle autorità deve essere prevista ed evitare di costruire uno scenario senza avere gli elementi necessari, “perché ciò che ci si aspetta è una decisione di giustizia, ragionata e ponderata in conformità con la legge”.

Il caso Guaidó riunisce tutte le caratteristiche, ha tutte le componenti del tipo di operazione preparata dalla CIA per rovesciare i governi che non sono le sono affini, non per caso nella foto divulgata da Marco Rubio sul Twitter appare il volto insanguinato di Gheddafi. Minaccia o lapsus?

Ora, come parte del lavoro, un sabotaggio elettrico lascia senza elettricità diverse regioni del Venezuela e, senza esser passati cinque minuti, Marco Rubio viene alla ribalta per parlare di caos, di ingovernabilità in Venezuela, sforzo in cui è assecondato da Mike Pompeo ed Elliot Abrams.

DALLA TRAGEDIA ALLA COMMEDIA SOLO C’E’ UN PASSO E VICEVERSA

 

Non sono mancate le battute. Un tal Anacleto Panceto ha annunciato su Twitter: “Io, Anacleto Panceto, mi autoproclamato Capo dello Stato spagnolo. Avvisare Rivera, Casado e Abascal in modo che possano supportarmi”. Débora lo ha seguito a rima: “Se dico che mi autoproclamo presidente dell’Argentina, chi mi segue?

Jaos Now, dal suo profilo Twitter, si è autoproclamato “arciduca dell’Impero austro-ungarico e Prussia, che mi hanno detto che Trump riconosce i leader mondiali come un matto”. Inna Afinogenova si è auto nominata imperatrice di Russia. Luis Monta si è autoproclamato “presidente ad interim” dell’Ecuador; Monta si è unito così al colombiano Alejandro Muñoz ed al brasiliano José de Abreu, che si sono dichiarati presidenti dei loro rispettivi paesi in tono umoristico. Monta ha proposto un programma di vaccinazione contro il tradimento: “Tutti i neonati, bambini, giovani, dovranno vaccinarsi per ottenere un paese libero da traditori”.

È lo stesso copione della Libia, lo stesso che pretendevano sviluppare contro Cuba. Il ritorno di Guaidó è un atto di provocazione. Il nuovo burattino imperiale adempie un ordine USA: quello di provocare le autorità venezuelane per provocare la sua incarcerazione. La sua stessa integrità fisica è in gioco, “le autorità venezuelane, tra cui il presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, Diosdado Cabello, hanno avvertito che la vita di Guaidó corre pericolo come galoppino per mano dei suoi padroni, che potrebbero sacrificarlo per considerarlo più utile morto che vivo».


Juan Guaidó: de autoproclamado presidente a cordero que pudiera sacrificar el imperio

El «autoproclamado» presidente de Venezuela, Juan Gerardo Antonio Guaidó Márquez, sabe que la condición de diputado no le otorga impunidad, tan solo inmunidad

Autor: Raúl Antonio Capote

La historia está llena de reyes, presidentes y gobernadores autoproclamados; si buscamos en la literatura también encontraremos muchos ejemplos, algunos de esos personajes reales o literarios marcaron época, otros quedaron como protagonistas de alguna anécdota hilarante, de algún chiste de sobremesa.

Cuenta la Biblia que, Adonías, hijo de Jaguit, se confabuló con Joab hijo de Sarvia y con el sacerdote Abiatar, reunió a sus seguidores y parientes junto a la peña de Zojélet en Enroguel y se proclamó rey de Judá a espaldas de David.

Don Fernando de Guzmán se autoproclamó, «por la gracia de Dios, Príncipe de Tierra Firme y Perú», ignorando la obediencia al Rey Felipe de España. Guzmán no estaba dispuesto a compartir las riquezas del mítico Dorado con ningún rey de allende el Atlántico.

La Inglaterra de la segunda mitad del siglo XV era un país sumido en un caos de intrigas y alianzas cambiantes. Dos bandos irreconciliables, los York y los Lancaster, libraban una lucha a muerte por el trono. Los reyes autoproclamados se multiplicaban; hombres y mujeres ambiciosos pujaron duramente por la corona.

En su obra El mal menor, Maruan Soto Antaki nos cuenta la historia de Joshua Abraham Norton I, quien se autotituló Emperador de los Estados Unidos y, luego, protector de México, a finales del siglo XIX.

Según reseña Misión Verdad, una crónica publicada por Orlando Avendaño en el reaccionario PanAm Post afirma que «la figura de presidencia interina de Juan Guaidó surgió en una reunión en la sede de la Organización de Estados Americanos (OEA)». Según Avendaño, en ese encuentro del 14 de diciembre, el secretario general, Luis Almagro, Julio Borges, Leopoldo López, María Corina Machado y Antonio Ledezma concibieron que la jugada maestra de la oposición antichavista sería impulsar un «gobierno de transición».

CUANDO DE TRANSICIÓN A LA MUERTE SE TRATA

Cuando se puso en marcha la farsa que tuvo como colofón la agresión a Libia y el asesinato de Muamar el Gadafi, un profesor universitario, poco conocido en los medios académicos, comenzó a denunciar en las redes sociales la «situación caótica en que se encontraba su país», cuando la guerra mediática estaba en su apogeo, el profesor, esta vez frente a las cámaras de las grandes cadenas de televisión, solicitó en pose dramática la intervención en Libia de las fuerzas de la OTAN, días después murió «a manos de las fuerzas de Gadafi», dijeron los medios, «víctima de la represión del tirano».

Contra Cuba en el año 2006 se intentó construir un escenario similar; para el 13 de agosto de ese año un contrarrevolucionario poco conocido organizaría un «levantamiento popular» en Centro Habana; no pocos conocedores del plan sospecharon, incluso, por el lenguaje usado por los medios estadounidenses, sobre todo de la ciudad de Miami, que el supuesto activista podría morir el día de la acción, «un activista defensor de los derechos humanos está dispuesto a inmolarse por la democracia», repetían las cadenas de televisión.

El día previsto para la provocación, que de eso se trataba, porque los organizadores, funcionarios de la Sección de Intereses de EE. UU. en La Habana y oficiales de la CIA, tenían bien claro que no ocurriría ningún levantamiento popular, se desataría una intensa campaña en las redes sociales y en los medios para generar la matriz de opinión de que se había creado en Cuba un estado de ingobernabilidad y caos con la enfermedad del Comandante en Jefe Fidel Castro y el nombramiento del General de Ejército Raúl Castro al frente del gobierno. Cuando estuviera bien sembrada esa matriz y posiblemente muerto el activista a manos de las «fuerzas de seguridad», un agente de la CIA, cubano, profesor universitario, solicitaría la ayuda del Gobierno de EE. UU., asistencia que se materializaría con la intervención militar en la Isla. Ese hombre entrenado por la CIA, un líder fabricado por ellos, sería un autoproclamado «presidente de la transición».

Ante la interrogante del «autoproclamado», como Guaidó, a dedo desde USA, sobre quién garantizaba su seguridad, le dijeron con fría lógica, «lo mejor que puede ocurrir es que intenten algo contra ti».

La fábrica de líderes de la derecha ­latinoamericana comenzó a funcionar, a toda capacidad, desde antes de los llamados procesos de transición a la democracia que pusieron fin a las dictaduras en el continente. Estados Unidos necesitaba líderes de nuevo tipo que garantizaran el poder de las transnacionales, las fuentes de materia prima y el espacio vital del imperio en su «patio trasero».

En los finales de los 80, la posibilidad real de que auténticos movimientos populares progresistas triunfaran en América Latina era más que una previsión estudiada por los laboratorios y los servicios de la inteligencia estadounidense, una nueva ola progresista podía comenzar a barrer con los intereses imperiales, ya las dictaduras no desempeñaban su papel de muro de contención, había que buscar una variante.

Un rol fundamental en la preservación del dominio yanqui en la región lo jugarían los dirigentes formados por ellos, así lo hicieron: proyectos de intercambio académico, becas de estudio, cursos de liderazgo, donde se formaron la casi absoluta mayoría de quienes hoy ocupan importantes puestos en la economía, la sociedad y la política del otro lado del Río Bravo.

EL PLAN GUAIDÓ

El 22 de febrero, pese a la orden judicial que expresamente le impedía salir del país sin autorización, Guaidó se presentó en Cúcuta en el marco del concierto que sirvió de fachada a la pretendida violación de la soberanía nacional que habían anunciado ocurriría el 23 de febrero. Desde entonces, emprendió una gira latinoamericana en la cual anunció que regresaría a Caracas, y así lo hizo.

El «autoproclamado» presidente de Venezuela, Juan Gerardo Antonio Guaidó Márquez, sabe que la condición de diputado no le otorga impunidad, tan solo inmunidad. Guaidó es un ciudadano que enfrenta un procedimiento penal, que recibió una orden clara y expresa, la cual desconoció, cuando un ciudadano ha incumplido una medida de prohibición del país, lo que corresponde al Ministerio Público es solicitar a la autoridad judicial que revoque la medida cautelar por incumplimiento, o que la autoridad judicial proceda a hacerlo de oficio, tendiendo, lógicamente, a utilizar una medida de mayor peso en contra del ciudadano que desconoció la orden recibida.

Debe esperarse el pronunciamiento de las autoridades y evitar construir un escenario sin contar con los elementos necesarios, «porque lo que se espera es una decisión de justicia, razonada y ponderada de conformidad con la ley».

El caso Guaidó reúne todas las características, tiene todos los componentes del tipo de operación preparada por la CIA para derrocar a gobiernos que no le son afines, no por gusto en la foto divulgada por Marco Rubio en Twitter aparece el rostro ensangrentado de Gadafi. ¿Amenaza o lapsus?

Ahora, como parte de la obra, un sabotaje eléctrico deja sin electricidad varias regiones de Venezuela y, sin haber pasado cinco minutos, Marco Rubio sale a la palestra a hablar de caos, de ingobernabilidad en Venezuela, esfuerzo en el que es secundado por Mike Pompeo y Elliot Abrams.

DE LA TRAGEDIA A LA COMEDIA SOLO HAY UN PASO Y VICEVERSA

No han faltado las bromas. Un tal Anacleto Panceto anunció en Twitter: «Yo, Anacleto Panceto, me autoproclamo Jefe de Estado Español. Avisad a Rivera, Casado y Abascal para que me apoyen». Débora le siguió la rima: «Si digo que me autoproclamo presidenta de Argentina, ¿quién me sigue?

Jaos Now, desde su perfil en Twitter se autoproclamó «archiduque del imperio austrohúngaro y Prusia, que me han dicho que Trump está reconociendo líderes mundiales así a lo loco». Inna Afinogenova se autonombró emperatriz de Rusia. Luis Monta se autoproclamó «presidente interino» de Ecuador; Monta se une así al colombiano Alejandro Muñoz y al brasileño José de Abreu, quienes se han declarado mandatarios de sus respectivos países en tono humorístico. Monta propuso un programa de vacunación contra la traición: «Todos los recién nacidos, niños, niñas, jóvenes, tendrán que vacunarse para conseguir un país libre de traidores».

Es el mismo guion de Libia, el mismo que pretendían desarrollar contra Cuba.El regreso de Guaidó es un acto de provocación. El nuevo títere imperial cumple una orden estadounidense: la de provocar a las autoridades venezolanas para procurar su encarcelamiento. Su propia integridad física está en juego, «las autoridades venezolanas, incluyendo el presidente de la Asamblea Nacional Constituyente, Diosdado Cabello, han advertido que la vida de Guaidó corre peligro como mandadero a manos de sus amos, quienes podrían sacrificarlo por considerarlo más útil muerto que vivo».

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