Whitney Webb, Mint Press –http://aurorasito.altervista.org
Anche se il governo venezuelano ha accusato la recente interruzione di corrente il “sabotaggio” degli Stati Uniti, gli USA hanno da tempo un piano per colpire la rete elettrica dei Paesi avversari.
Per quasi quattro giorni, gran parte del Venezuela è rimasto senza luce, portando la crisi economica del Paese a un punto morto. Anche se torna, l’interruzione ha visto funzionari e politici statunitensi accusare il governo venezuelano della crisi mentre Caracas accusava gli Stati Uniti di aver condotto “sabotaggi” ed attacchi informatici contro la rete elettrica del Venezuela. Sebbene molti media mainstream abbiano fatto eco alla risposta ufficiale del governo degli Stati Uniti, alcuni giornalisti se ne sono allontanati. Un esempio degno di nota è Kalev Leetaru, che scrisse a Forbes “che gli Stati Uniti interferiscano nella rete elettrica del Venezuela in realtà è piuttosto realistico”.
Leetaru ha anche osservato che “il momento in cui tale interruzione si verifica in un momento di sconvolgimento sociale in un modo che delegittima l’attuale governo, esattamente come un governo in attesa si è presentato come un’alternativa pronta, è in realtà una delle tattiche” aveva già esplorato in un articolo del 2015 le tattiche di guerra ibrida del governo degli Stati Uniti “per indebolire un avversario prima dell’invasione convenzionale o per forzare e indebolire la transizione in un governo straniero”. Oltre alle affermazioni di Leetaru, altri hanno affermato il coinvolgimento del governo degli Stati Uniti dopo che il senatore statunitense Marco Rubio (R-FL), profondamente coinvolto nella politica sul Venezuela di Trump, sembrava sapere in anticipo che i blackout si sarebbero verificati quando ne twittò solo tre minuti dopo che iniziarono.
Mentre diversi giornalisti notavano che la probabilità che l’amministrazione Trump fosse responsabile del blackout era alta, pochi se non nessuno notavano che gli Stati Uniti da tempo pianificano piani sofisticati che prevedono l’uso di attacchi cibernetici all’infrastruttura della rete elettrica dei Paesi presi di mira dal un cambio di regime di Washington.In effetti, il piano più noto di questo tipo, conosciuto col nome in codice “Nitro Zeus”, fu originariamente creato dall’amministrazione di George W. Bush e diretto contro l’Iran. Con così tanti ex-funzionari di Bush che ora guidano l’amministrazione Trump, in particolare la politica sul Venezuela, il potenziale ritorno del virus “Nitro Zeus”, questa volta su misura per il Venezuela, sembra sempre più probabile.
Un piccolo martello da usare quando i grandi martelli sono abbandonati
Il piano “Nitro Zeus” venne alla luce per la prima volta in un articolo pubblicato nel New York Times del novembre 2016, che lo descriveva come “piano elaborato” contro l’Iran per far fallire i negoziati sul programma nucleare. Quel programma aveva come obiettivo “le difese aeree dell’Iran, i sistemi di comunicazione e le parti cruciali della sua rete elettrica”. Al suo apice “coinvolse migliaia di militari e personale di intelligence statunitensi” e si ritiene che costasse decine di milioni di dollari. Il programma coinvolgeva intimamente sia l’unità Tailored Access Operations della National Security Agency che il Cyber Command statunitense. Il programma fu archiviato quando fu istituito il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), anche se la decisione dell’amministrazione Trump di ritirarsi unilateralmente dall’accordo portava alcuni a chiedere se l’amministrazione Trump considerasse la possibilità di rilanciare il programma. Mentre potrebbero non averlo rianimato contro l’Iran, potrebbero invece averlo fatto col Venezuela, se si dovesse credere alle asserzioni del governo venezuelano secondo cui un attacco informatico degli Stati Uniti è la causa della maggior parte degli ultimi blackout del Paese. Infatti, Leetaru osservava nel suo articolo di Forbes che “data la lunga preoccupazione del governo degli Stati Uniti col governo venezuelano, è probabile che gli Stati Uniti mantengano già una presenza profonda nella rete nazionale infrastrutturale”, come fatto coll’Iran in connessione col programma Nitro Zeus prima della sua rivelazione tre anni prima. Il programma Nitro Zeus non è così conosciuto come il suo parente, il virus Stuxnet, co-sviluppato da Stati Uniti ed Israele ed utilizzato per attaccare il software iraniano che controllava i centri di arricchimento dell’uranio. Eppure Nitro Zeus, nonostante la relativa mancanza d’infamia, è notevole per diverse ragioni. In primo luogo, “portava la guerra informatica statunitense ad un nuovo livello”, secondo un ex-funzionario coinvolto nel programma citato dal Times. Questo perché, prima di Nitro Zeus, “gli Stati Uniti non avevano mai assemblato un piano combinato di cyberattacchi ed attacchi cinetici su questa scala”, e anche perché l’esecuzione del programma avrebbe “effetti significativi sui civili, in particolare se gli Stati Uniti dovessero spegnere vaste parto della rete elettrica e delle reti di comunicazione del Paese”. Un altro motivo per cui Nitro Zeus è notevole, in particolare alla luce degli sforzi statunitensi d’intromettersi in Venezuela, è il motivo della sua creazione. Infatti, sebbene Nitro Zeus sia diventato l’”enormemente complesso” programma descritto dal Times durante l’amministrazione Obama, i suoi lavori erano effettivamente iniziati durante l’amministrazione di George W. Bush. Secondo un rapporto del Daily Beast, Bush aveva considerato Nitro Zeus “necessaria alternativa tattica dopo che la guerra in Iraq aveva sabotato le sue possibilità d’iniziare un’altra invasione in Medio Oriente”. In altre parole, dopo la debacle della guerra in Iraq fu più difficile per gli Stati Uniti lanciare interventi militari unilaterali, e l’amministrazione Bush optò per sviluppare strumenti militari “non cinetici” che evitassero d’irritare il pubblico e gli alleati all’estero degli Stati Uniti. Inoltre, come scriveva Tyler Rogoway su Foxtrot Alpha: “[Programmi come Nitro Zeus] possono essere abbinati per sinergia, lasciando ciechi e sordi i Paesi bersaglio e la loro popolazione soffrire. E tutto questo senza mai lanciare una bomba, nemmeno sotto il velo della plausibile negazione”. Questo, secondo Rogoway, portava tali programmi a diventare “sempre più un’alternativa praticabile alle forme tradizionali d’attacco”, dato che gli Stati Uniti possono negare il proprio coinvolgimento, evitando potenziali contraccolpi diplomatici, e perché possono devastare non solo l’esercito del Paese ma la sua popolazione.
La logica dietro la probabilità del cyber-sabotaggio statunitense
Mentre “Nitro Zeus” non fu mai scatenato contro l’Iran, è probabile che il programma abbia generato piani di attacco simili alle reti elettriche di altre nazioni avversarie, visto il precedente. Come ha notato dal Times nell’esposizione di Nitro Zeus: “L’esercito degli Stati Uniti sviluppa piani di emergenza per ogni tipo di possibile conflitte, come un attacco della Corea democratica al Sud, armi nucleari disperse nell’Asia meridionale o insurrezioni in Africa o America Latina. La maggior parte sta sugli scaffale e vengono aggiornati ogni pochi anni”. Questo punto fu approfondito da Rogoway, che osservava: “Nitro Zeus è probabilmente uno dei piani per attaccare potenziali nemici tramite armi cibernetiche. I piani sicuramente esistono per ogni potenziale avversario degli USA, e alcuni sono probabilmente molto più elaborati e mortali di qualsiasi cosa sia stata rivelata fino ad oggi”. Ci sono più indicazioni che molti “piani di emergenza” più aggressivi siano passati in alto nella cassetta degli attrezzi dell’amministrazione Trump. Per esempio, i principali ex-funzionari di Bush ora nell’amministrazione Trump, in particolare John Bolton ed Elliot Abrams, sono noti per le loro posizioni aggressive e la volontà di promuovere politiche estreme contro gli avversari, anche danneggiando o uccidendo decine di civili inermi. Così, voci come quelle del dipartimento di Stato di Obama e del Consiglio di sicurezza nazionale, che avevano avvertito dei potenziali effetti negativi sui civili che un blackout di Nitro Zeus potrebbe causare, difficilmente influenzeranno gente come Bolton e Abrams, che hanno un ruolo smisurato nella politica venezuelana dell’amministrazione. Inoltre, tale piano sarebbe considerato prezioso da Bolton e Abrams come Bush considerava Nitro Zeus dopo che le sue “mani erano legate” dal disastro della guerra in Iraq.
Sul Venezuela, anche Bolton e Abrams hanno le mani legate quando si tratta di azione militare, dato che l’intervento militare di qualsiasi tipo veniva clamorosamente respinto dagli alleati degli Stati Uniti in America Latina e altrove. Non solo, ma anche la tattica preferita di Abrams d’inviare armi travestite da “aiuti umanitari” agli insorti falliva, limitando le azioni aggressive che possono essere intraprese dall’amministrazione. Incapace di lanciare un intervento militare, apertamente o clandestinamente, l’attacco informatico di Nitro Zeus sarebbe probabilmente il miglior prossimo passo dopo il fallito “aiuto umanitario” e il rifiuto di qualsiasi intervento militare da parte degli “alleati in America Latina” degli Stati Uniti. Inoltre, molti responsabili della creazione del programma Nitro Zeus hanno legami coi neoconservatori influenti nell’amministrazione Trump. Ad esempio, Keith Alexander, direttore dell’NSA all’epoca in cui iniziò il programma Nitro Zeus e per gran parte del suo sviluppo, è ora il CEO della nuova società di consulenza sulla sicurezza informatica IronNet Cybersecurity. Seduto al consiglio di amministrazione di IronNet al fianco di Alexander c’è Jack Keane, generale in pensione zelantemente belluino che Trump voleva come segretario alla Difesa, un’offerta che Keane rifiutò. Keane è uno stretto collaboratore della famiglia neoconservatrice Kagan ed è attualmente presidente dell’Istituto per lo studio della guerra, fondato da Kimberly Kagan e finanziato dalle maggiori aziende belliche statunitensi.
Coi guerrafondai dell’era Bush che dominano la politica del Venezuela di Trump, sembra sempre più probabile che gli sforzi per rilanciare il programma Nitro Zeus dell’era Bush/Obama abbiano avuto luogo. In effetti, con un programma così vasto e complesso già pronto e la probabile esistenza di programmi spin-off sviluppati nell’ultimo decennio, era probabilmente la via più facile per un’altra misura “aggressiva” degli Stati Uniti contro il governo venezuelano. Tuttavia, se gli Stati Uniti conducessero un attacco informatico alla rete elettrica del Venezuela, non sarebbero i potenti neoconservatori dell’amministrazione che alla fine sarebbero da biasimare, poiché solo il presidente degli Stati Uniti può autorizzare un attacco informatico. Quindi, se qualsiasi blackout venezuelano sia sabotaggio diretto dagli Stati Uniti, è stato il presidente Donald Trump ad aver ordinato di attaccare le infrastrutture civili venezuelane, cosa strana per chi si professa molto attento col popolo venezuelano.
Traduzione di Alessandro Lattanzio