Gli USA stringono nuovi affondi contro il Venezuela

Álvaro Verzi Rangel, CLAE, – http://aurorasito.altervista.org

Per il governo di Caracas, la prossima settimana sarà difficile, prima dell’annuncio nordamericano che cercherà di far entrare “aiuti umanitari” nel territorio venezuelano con la forza, per via aerea, marittima e terrestre, una decisione già presa da Washington, come precauzione chiedeva l’evacuazione di tutti i cittadini dal territorio venezuelano.

Nel frattempo, continua la guerra irregolare, ibrida, molteplice degli Stati Uniti al Venezuela: l’incendio che colpiva tre serbatoi di petrolio in una struttura della PDVSA nella Cintura dell’Orinoco fu attribuito dal governo a una “azione terroristica” di Washington, così come l’attacco cibernetico contro la diga di El Guri, che causava un blackout di diversi giorni nel Paese. Il Ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza affermava alla Commissione Narcotici delle Nazioni Unite di Vienna che il modello multilaterale è a rischio a causa delle misure coercitive unilaterali imposte alle nazioni sovrane, col sostegno di “governi satellite” che contraddicono il senso del dialogo internazionale. La Banca interamericana di sviluppo (IDB, presieduta dal colombiano Luis Alberto Moreno), seguendo le istruzioni di Washington, espulse il rappresentante del governo costituzionale venezuelano e votò affinché Ricarado Haussman, l’inviato di Guaidó, occupasse la posizione nell’organizzazione. Moreno “dimentica” che un’organizzazione multilaterale non può decidere sulla legalità di un governo. Pertanto, l’IDB non può agire senza l’autorizzazione del Ministro delle Finanze o dell’Economia venezuelano. A Caracas, più di 30 organizzazioni per i diritti umani hanno chiesto alla missione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite (Michel Bachelet) di pronunciarsi contro il blocco economico che grava sul Venezuela e di non invocare l’interferenza straniera nel Paese. Il segretario di Stato nordamericano Mike Pompeo aveva detto che il suo governo è “determinato” a far entrare aiuti umanitari in Venezuela, nonostante quello che era successo il 23 febbraio, e promise di continuare a lavorare con Brasile e Colombia per far riportare la “democrazia”.
Guaidó giurò da presidente ad interim del Venezuela il 23 gennaio “I morti sono un investimento per il futuro”, dichiarò l’autoproclamato Juan Guaidó quando gli fu chiesto delle vittime dell’intervento militare in Venezuela. La frase è coerente con la redditività con cui Stati Uniti e loro cartello (alleati, complici) concepiscono gli “aiuti umanitari” che impongono a qualsiasi Paese del mondo la cui economia soffocano e distruggono, ricorda il Professor Earle Hrrera. Haiti è un esempio. Quando gli Stati Uniti formarono la “coalizione” per la seconda Guerra del Golfo Persico, George W. Bush avvertì che chi si rifiutava non avrebbe partecipato alla ricostruzione dell’Iraq, “un business capace di generare miliardi ogni anno per molti anni”. Sono le stesse fonti dell’USAID, la facciata imperiale che cercava d’introdurre “aiuti umanitari” in Venezuela ingloriosamente a fin febbraio. Bush promise di riportare l’Iraq all’età della pietra, con la menzogna che avesse armi di distruzione di massa. E non era una metafora. Irresponsabilmente, Guaidó continuava col suo terrorismo su twitter: “Non puoi difendere la violazione della proprietà privata, ma non puoi ignorare la disperazione delle comunità che sono senza elettricità e acqua per giorni e non possono acquistare ciò di cui hanno urgentemente bisogno”. “Senza luce, acqua o cibo, la disperazione può portare il nostro popolo al limite per ottenere sostentamento. Questi rapporti sul saccheggio provenienti da diverse città sono il risultato del regime usurpatore che continua ad impedire la soluzione a questa crisi”, aggiungeva, ignorando le violenze.

Si cercano mercenari
Un articolo sul quotidiano Últimas Noticias, basato su fonti del Congresso degli Stati Uniti e del governo colombiano, sottolinea che i gruppi paramilitari sul confine colombiano-venezuelana pagano 1500 dollari giovani di entrambi i paesi per formarne i ranghi, in vista di un’incursione armata in Venezuela. Aggiungeva che, poiché la comunità internazionale si rifiuta di approvare l’azione militare in Venezuela, Washington fa appello al modello usato in Siria: preparare e assemblare le forze d’attacco paramilitari per generare un conflitto civile, dopo di che anche la maggioranza dei governi del Gruppo Lima optava per la soluzione pacifica della crisi e “nelle cancellerie europee c’è sfiducia sulla politica della Casa Bianca nei confronti del Venezuela”, come riportava l’agenzia Bloomberg. I gruppi irregolari si rivolgono ai giovani, tra i 18 ei 25 anni, disoccupati e insoddisfatti dal governo. “In Colombia si parla di paghe per 1500 dollari e in Venezuela di 200 – 250 dollari, incluso cibo e trasporti oltre il confine venezuelano”, avevano detto gli informatori.

L’opposizione nel suo labirinto
L’opposizione interna, per poter aspirare a un cambiamento, deve elevare l’organizzazione e preparazione la base sociale al fine di avere un rapporto di forze sul terreno concreto della disputa, in modo che possano portare il piano al livello di conflitto. In caso di mancato raggiungimento della frattura istituzionale, che appare improbabile. Ma ha un grosso deficit: la crisi delle aspettative dopo tanti fallimenti e promesse non mantenute e la divisione. Senza una grande pressione sulle piazze, senza forze di assalto organizzate (recluta bande per il terrorismo interno), non potrà configurare uno scenario insurrezionale che possa implicare la caduta del governo o una violenza tale da giustificare l’intervento straniero, e perciò è costretta a concentrare gli sforzi sulle dispute territoriali. La realtà indica che la crisi economica continuerà ad aumentare, con sanzioni, blocchi (soprattutto petrolio) e pirateria (di fondi e risorse) di Stati Uniti e complici, e anche l’inettitudine del governo a generare soluzioni. Il blackout significava un duro colpo, superato, ma ciò colpiva l’apparato produttivo già deteriorato. Gli strateghi dell’opposizione (o loro elettori a Washington) affermano che il picco della crisi sarà raggiunto prima della metà dell’anno. Il partito al governo è anche preoccupato per la disputa territoriale, ma continua a mostrare debolezze a livello organizzativo e in particolare nelle comunicazione, mentre le milizie bolivariane e le Brigate di difesa popolare, le organizzazioni di base e le organizzazioni comunali sono riorganizzate. “Indiremo un referendum consultivo anticipato per risolvere le tensioni sociali e politiche del Paese” (…) “Chiediamo le dimissioni immediate del ministro Motta Domínguez a causa della grave situazione del Paese”, afferma l’Alleanza per il referendum consultivo, che addirittura integra ex-chavisti, cercando di pescare nel fiume delle difficoltà.

Consegna di petrolio
L’agenzia Reuters pubblicava un documento stilato dal team di Juan Guaidó, che cercherebbe di invertire la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, consentendo alle compagnie petrolifere private di svolgere un ruolo chiave nei campi del Venezuela e ridurre la statale PDVSA. La proposta mira a ottenere sostegno per Guaidó da società straniere (in particolare compagnie petrolifere) che potrebbero finanziare una ricostruzione, dopo che la produzione di petrolio è scesa al minimo in 70 anni. Pertanto, “le società private potrebbero scegliere di gestire le operazioni di routine nei giacimenti petroliferi venezuelani, un forte cambiamento dall’era di Chavez che limitava le imprese straniere a membri di minoranza senza controllo operativo (…) “Alcuni beni sarebbero trasferiti e messi all’asta da un nuovo regolatore indipendente simile a quello che attuò la profonda riforma energetica del Messico, che mise fine a 75 anni di monopolio”. A Houston e Washington, il team di Guaidó propone una vasta gamma di contratti di esplorazione e produzione che consentirebbero alle compagnie private di operare in Venezuela campi, raffinerie e strutture di distribuzione del carburante del Paese, secondo il progetto proposto. Daniel Kiener, ambasciatore tedesco a Caracas, veniva espulso dopo aver ricevuto Juan Guaidó all’aeroporto di Maiquetía. “Questa è una decisione incomprensibile che aggrava la situazione e non aiuta a ridurre le tensioni”, aveva detto Heiko Maas, ministro degli esteri tedesco. Incomprensibile? Cosa cercava Kiener presentandosi? Ciò che è veramente incomprensibile è che, quando i limiti geologici e finanziari dello sfruttamento di gas e petrolio non convenzionali vengono rilevati negli Stati Uniti, con vaste ripercussioni geopolitiche, geoeconomiche e strategiche; e quando le pressioni da guerra fredda si intensificano contro il gasdotto Nord Stream 2 e Trump chiama l’industria automobilistica tedesca “minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, Maas apra il tiro diplomatico contro il Venezuela, dice l’analista messicano John Saxe Fernández.

Risolto il problema
L’amministrazione Trump ripete la strategia della punizione collettiva, utilizzata negli anni ’90 in America Centrale, con un embargo finanziario dall’agosto 2017 e un embargo commerciale da gennaio. Il primo, immobilizzando e/o sottraendo fondi dalle vendite di petrolio, impediva al governo di avanzare piani contro l’iperinflazione e la ripresa economica. Quella la finanziaria veniva attuata per impedire l’importazione del 60% dei prodotti dall’estero, compresi, cibo e medicine. Sono misure a sostegno dei piani per realizzare un colpo di Stato militare, una ribellione militare o una guerra civile (finora falliti) e che, secondo le massime autorità degli Stati Uniti, continueranno fin quando il Presidente Nicolás Maduro non sarà rovesciato. Durante un’audizione nella sottocommissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti, il senatore Marco Rubio avvertiva che il Venezuela stava per “entrare in un periodo di sofferenza che alcna nazione ha affrontato nella storia moderna”. Nel tentativo di confutare la partecipazione del governo degli Stati Uniti all’assassinio fallito del Presidente Nicolás Maduro, la CNN mostrava nuovi video sull’attentato effettuato con “droni commerciali, acquistati online e assemblati con esplosivi militari. I video, presi coi cellulari, mostravano persino i voli sulle pianure colombiane. L’intervistato ammetteva che il complotto avrebbe potuto uccidere molte altre persone oltre all’obiettivo. Va ricordato che il giorno dopo l’attentato, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton avvertiva che fosse un falso per dare al governo di Maduro una “scusa”, forse per avere la mano pesante. Gli attentatori affermavano di aver incontrato diversi funzionari del governo USA dopo l’attacco. “Organizzarono tre incontri, immagino per raccogliere informazioni che permettessero di studiare il caso, ma non accadde lì. Volevano dati e abbiamo chiesto delle cose in cambio. Ne hanno preso nota e chiesto se potevano essere d’aiuto. Poi sono semplicemente usciti con le loro note e non sono mai più apparsi”, diceva il presunto capo dell’operazione alla CNN. Sarà una settimana difficile, in un Paese violato e sanzionato, sotto embargo, bloccato, derubato dalle potenze occidentali e con gravi minacce d’invasione estera. Mentre la luce torna, il popolo venezuelano aspetta, in attesa, preparato un’altra battaglia nella lotta per la difesa della sovranità.

*Sociologo venezuelano, Co-direttore dell’Osservatorio sulla comunicazione e la democrazia e del Centro latinoamericano per l’analisi strategica (CLAE).

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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