Avvocati per la guerra culturale

Jorge Angel Hernández https://nostramerica.wordpress.com

Nel 1996, Bill Clinton governante, gli Stati Uniti promulgarono la Legge Helm-Burton, uno strumento che inaspriva il già feroce e quarantennale Blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba. Non tutti i commi di quella legge vennero applicati; se ne stavano lì, minacciosi e inapplicati. Come il Titolo III “che permette che gli statunitensi, compresi i cubani naturalizzati, possano adire ai tribunali degli Stati Uniti per citare le compagnie che presumibilmente stanno beneficiando di proprietà a Cuba che erano di loro proprietà fino a quando sono state confiscate dalle autorità emanate dalla rivoluzione del 1959”. Adesso, Trump governante, senatori e avvocati si scatenano richiedendo l’applicazione del Titolo III. Per i cubani questa è guerra culturale. (A.R.)

Non appena vinse la rivoluzione, Orestes Ferrara decise di abbandonare l’Isola di Cuba. Il nuovo ordine politico non andava d’accordo con il suo modus operandi da politico d’operetta, promotore speculativo della stampa e insaziabile possidente. Da più di mezzo secolo si è saputo, dalla sua stessa cinica testimonianza, che era responsabile della morte di un cittadino durante l’incendio del Municipio di Vueltas, incendio appiccato con le sue mani nel 1905. Non solo ne era uscito impune, dopo la vittoria del Partito Liberale presieduto da José Miguel Gómez ma continuò ad accumulare falsi meriti e vere ricchezze sia in denaro che in beni.

La sua lussuosa residenza, che aveva chiamato “La dolce dimora”, sarebbe poi diventata il Museo Napoleonico. Si tratta di uno dei casi di nazionalizzazione di proprietà abbandonate da possidenti che lasciavano il paese, o di altre direttamente confiscate dal governo rivoluzionario. Per la mentalità borghese tutte le rivoluzioni sono sacrileghe perché propongono il trasferimento dei mezzi di produzione da mani private a mani collettive. Molte di quelle lussuose magioni cubane sono diventate, per legge, patrimonio pubblico, per l’uso pubblico, con servizio gratuito nonostante i costi che comporta e le crisi che si possono verificare. Così a Cuba è cominciato un vero processo di alfabetizzazione artistica che si è estesa alla creazione di scuole specializzate e di programmi per l’insegnamento generale. La grande parte dei nostri principali artisti attuali sono frutto di queste trasformazioni rivoluzionarie; è una verità che non può essere ignorata da un occhio mediamente osservatore. Gli errori di cui vari di questi artisti sono stati vittime in seguito, sono il frutto delle circostanze imposte dal gradino più alto al quale si stava arrivando.

Comunque, il supposto esproprio della residenza di Orestes Ferrara è uno degli esempi utilizzati da un’avvocatessa dello studio Greenberg Trauring LLP, di New York[1]. Secondo lei, le opere d’arte comprate da imprenditori e politici corrotti durante la Repubblica, come lo stesso Ferrara o come “il re dello zucchero”, Julio Lobo, dovrebbero essere tolte al servizio pubblico, al loro ruolo nell’esercizio del diritto alla cultura di massa, per far parte del patrimonio dei loro eredi. E’ questa la proposta di accordo offerta dalle nuove circostanze delle relazioni fra Cuba e gli Stati Uniti. E non è un punto di vista che sembri insolito a molti al di là dello studio di avvocati che difende il caso. L’onnipresenza della mentalità corporativa che oggi regge il mondo, con l’appoggio quasi servile della rete accademica, contribuisce a una riscrittura della storia da un punto di vista di classe, e al tentativo di perpetuare il diritto della classe dominante di appropriarsi di tutta la ricchezza collettiva.

Confortata da questo scenario, l’avvocatessa dello studio di New York ha cominciato a lavorare influenzando l’opinione pubblica basando le sue conclusioni giuridiche su punti di vista strettamente politici e radicalmente classisti. Articoli, inchieste, note editoriali contribuiscono a dare per scontato che il governo cubano è obbligato a restituire le proprietà “espropriate” a quei proprietari. Per fare questo, è necessario dare per scontato che l’apparato legale emesso dal processo rivoluzionario non sia legittimo. Come dimostra la stessa legge extraterritoriale che sostiene il Blocco, firmata da John Kennedy nel 1962, il regime statunitense considera le sue leggi come fossero un modello obbligatorio per tutto il pianeta. Dalla loro prospettiva imperialista, il loro sistema legale è obbligatorio per tutto il resto dell’umanità e deve essere rispettato anche se viola la sovranità di altre nazioni o, perfino, la salute e la vita della cittadinanza. E’ talmente vero che, nel citare nel suo rapporto le leggi rivoluzionarie che hanno convertito in patrimonio pubblico le proprietà di Lobo, Ferrara, Gómez Mena e tanti altri, l’avvocatessa preferisce considerarle come un esercizio individuale di un governante e non, come invece fa per quelle statunitensi, una legge che deve essere valida nella nazione.

Questa arbitrarietà, contraddittoria perfino nella logica del diritto statunitense, non solo riguarda una possibile fonte di denaro –che potrebbe venire, grazie agli accordi interni, dallo stesso Dipartimento del Tesoro- ma anche il più importante esercizio di guerra culturale. Si tratta semplicemente e in maniera stravagante, di una strategia che pone come condizione per l’armonia delle relazioni fra Cuba e gli Stati Uniti, il soggiogamento dell’Isola. Per questo tanta insistenza per legittimare legalmente un momento che viene prima di quando la rivoluzione trionfante cominciasse a trasformare lo statuto sociale radicalmente.

Dobbiamo capire che, se per legge si dimostrano come illegittimi i servizi rivoluzionari alla cittadinanza, per logica elementare, dovrebbero essere considerati illegittimi anche i risultati. La cittadinanza cubana perderebbe il diritto di godere gratuitamente e universalmente l’arte o il suo apprendistato. E’ un’equazione che condiziona e limita. Per la continuità di questo capitolo di guerra culturale hanno insistito a rendere invisibile il profondo, costante, valido e fermo lavoro del processo rivoluzionario per mantenere i propri programmi culturali, la stessa formazione degli artisti e degli specialisti delle arti di alto livello professionale. Le sue cifre e le sue erogazioni scompaiono dalla vista della propaganda del camuffamento legale sostenuto da questa avvocatessa e, per estensione immediata, vengono considerati fuori tema.

Per la sovranità della nazione cubana, e per la continuità ed evoluzione del suo processo rivoluzionario, nuovamente riaffermato costituzionalmente, non è solo importante, è vitale comprendere questo scenario di guerra culturale che l’espansione neoimperialista ritiene naturale. Le strategie che permettono si eluderne le invasioni –occulte o evidenti- definiranno quanto potremo progredire, vincendo poco a poco, le piccole battaglie.

(Cultura y resistencia, La Jiribilla)

[1] – Wendy Dickieson: “Artistic absolution: Can Cuba and the united states cooperate in restituting Castro’s looted art collection?”, Penn Law: Legal Scholarship Repository, Volume 40 (2018-2019). url: https://scholarship.law.upenn.edu/jil/vol40/iss2/5

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