Nella sala dei Concerti di Stoccolma, dove gli consegnarono nel 1982 il diploma che lo accreditava come Premio Nobel di Letteratura, Gabriel García Márquez, che ha abbandonato il mondo reale in un giorno come oggi cinque anni fa, per vivere eternamente nel cuore dei suoi milioni di lettori, disse allora a un pubblico soprattutto europeo: «(…) La solidarietà con i nostri sogni non ci farebbe sentire meno soli, se non la si concreta con azioni d’appoggio legittimo con i popoli che assumono l’illusione d’avere una vita propria nella ripartizione del mondo».
E poi chiese: «Perché l’originalità che si ammette senza riserve nella letteratura si nega con ogni classe di sfiducia nei nostri tentativi tanto difficili di cambi sociali? (…) Senza dubbio, di fronte all’oppressione, al saccheggio e all’abbandono, la nostra riposta è la vita».
Questo è parte di un discorso coerente con la sua condotta e l’impegno sociale notevole, con il titolo /La solitudine dell’America Latina/. Queste parole sembra siano state pronunciate in questi giorni nei quali lo stivale imperialista pretende di calpestare i sogni latinoamericani.
Il Gabo, giornalista e uno dei più grandi autori delle lettere ispaniche di tutti i tempi, aveva già firmato anche pagine di solidarietà con Cuba dove arrivò nel gennaio del 1959, invitato dal Comandante in Capo Fidel Castro.
Soffrendo sempre con le ingiustizie sociali, l’autore di /Cento anni di solitudine/ partecipò a Cuba alla fondazione dell’Agenzia Prensa Latina e nel 1986, presiedette la Fondazione del Nuovo Cinema Latinoamericano, creata nel 1985, e la Scuola Internazionale del Cinema di San Antonio de los Baños.
Non per caso l’autore di grandi opere nelle quali palpita un continente, il critico mordace delle sanguinose dittature sofferte in America Latina, aveva stretto con Fidel un’amicizia che durò sino alla fine dei suoi giorni.
Nelle pagine di Granma scrisse: «(…) Vedendolo tanto affaticato dal peso di così tanti destini estranei, gli chiesi che cos’era quello che desiderava più di tutto al mondo e mi rispose immediatamente “fermarmi in un angolo”».
Il grande colombiano nel quale Fidel riconobbe «un uomo con la bontà di un bambino e un talento cosmico» no sa abbandonarci. Un’opera dove l’umanità intera si può riconoscere e un amore incommensurabile per i destini dell’America impediscono il suo addio in tempi in cui lo necessitiamo tanto.