In questi giorni si commemorano 60 anni dal viaggio realizzato da Fidel in Argentina ed Uruguay, nel quale espresse la solidarietà della nascente Rivoluzione cubana e il suo senso latino-americanista.
Fidel era arrivato a Buenos Aires a mezzanotte del 30 aprile e il 1 maggio restò nelle sue abitazioni del hotel Alvear Palace per leggere e studiare i discorsi pronunciati sino a quel momento nella Conferenza Economica di Mar del Plata, detta Conferenza dei 21.
Nel corso della giornata ricevette il Cancelliere argentino e Julio Amoedo, ambasciatore del paese australe a L’Avana.
Mentre Fidel si prepara intensamente per il suo intervento nella Conferenza, in Cuba si celebra un 1 maggio mai visto prima, che per l’allegria del popolo è stato denominato “della libertà”. Lo presiede, a L’Avana, il Comandante Raúl Castro, e a Santiago di Cuba il Comandante Ernesto Guevara.
Nelle ore di sabato 2 maggio, dopo un breve percorso nella città, Fidel, vestito con la sua uniforme verde olivo da campo, arriva alla sede della Conferenza.
Il cancelliere venezuelano disse: «Abbiamo qui l’uomo che rappresenta il simbolo della lotta e della libertà d’America».
Arriva il turno di Fidel, e la prima cosa che chiarisce è che non ha portato un discorso scritto perché a volte la macchina da scrivere tradisce il pensiero.
Era la prima volta che partecipava a un simile incontro, per cui chiarì che lì c’era un uomo nuovo che rappresentava un nuovo governo.
Fidel si trasformò nel portavoce delle realtà dell’America Latina e spiegò che nella Conferenza era stato detto che una delle cause del sottosviluppo era l’instabilità politica e precisò che realmente l’instabilità politica era la conseguenza del sottosviluppo.
La stampa argentina pubblicò le sue opinioni sull’intervento di Fidel.
Uno dei giornali scrisse che a questo gigante che si era eretto, nessuno avrebbe mai strappato la barba.
Un altro quotidiano scrisse che Fidel aveva scagliato una vera bomba nel mezzo della sede della Conferenza.
Al ritorno nell’hotel offerse una conferenza stampa e quindi il presidente dell’Argentina Arturo Frondizi lo ricevette.
La mattina del 3 maggio la delegazione volò a Montevideo, capitale dell’Uruguay. Il ricevimento nell’aeroporto fu simile ai precedenti.
I cordoni della sicurezza cedevano e si sentì una voce che disse: «Fidel è nostro Signore, lasciatemi toccarlo!»
Immediatamente concesse una conferenza stampa nella quale convocò all’unità latinoamericana, l’unica forma per superare le difficoltà.
Nel pomeriggio del 4 maggio consegnò 20000 pesos cubani per aiutare le vittime delle recenti inondazioni dell’Uruguay.
Nella notte, davanti al palazzo municipale di Montevideo, una moltitudine lo acclamò. E parlando disse loro di non chiamarlo straniero, perché quella era una parola indegna per definire i fratelli dell’America Latina.
Nel suo viaggio di ritorno a Cuba fece uno scalo a Río de Janeiro nel pomeriggio di martedì 5 maggio. Rapidamente il Primo Ministro cubano si trasferì al lato estremo della città e giunse all’Associazione Brasiliana della Stampa per rispondere a uno dei più fitti interrogatori di giornalisti mai tenuto, dopo quello dell’Operazione Verità.
La notte del 7 maggio, la delegazione cubana giunse a Puerto España, capitale di Trinidad y Tobago. Nell’aeroporto lo aspettava il Comandante Raúl Castro, e insieme viaggiarono verso L’Avana. Un’ora prima di giungere, nell’aereo, il giornalista Eddy Martin fece un’intervista a Fidel.
A L’Avana dopo 25 giorni fuori da Cuba tutti aspettavano Fidel.
Alle 3.21 pm, l’aereo atterra e lui immediatamente si dirige verso la Piazza Cívica (oggi Piazza della Rivoluzione) dove il popolo lo accoglie con molto calore.
Parlando spiega l’obiettivo della sua visita all’estero, facendo un parallelo tra la sua entrata a L’Avana l’8 gennaio e questa del maggio, ed ha condannato i tentativi del nemico per debilitare la Rivoluzione.
Ha spiegato il contenuto ideologico della Rivoluzione ed ha evocato la figura di Antonio Guiteras –perché questo giorno coincide con l’anniversario della sua morte– ed ha chiarito che la Rivoluzione era forte perché aveva popolo, esercito, dottrina e leggi rivoluzionarie.