L’intenzione d’aggredire Cuba con campagne di droga rimonta al 1966, quando una relazione del Senato USA accusò, mentendo, la direzione del paese di «contrabbandare» eroina proveniente dalla Cina, verso il territorio statunitense, per finanziare le guerriglie latinoamericane, un falso manipolato in una forma o un’altra negli anni successivi.
Le campagne mediatiche anticubane che hanno usato qualsiasi tema o pretesto per scatenare la diffamazione del processo rivoluzionario, non hanno limiti né scrupoli.
Per questo non sorprende che il tema ricorrente della lotta contro le droghe, come i diritti umani, di alta sensibilità nel mondo, sono stati sequestrati da un pugno di media di Miami apertamente sovversivi e prefabbricati nei laboratori dell’Agenzia Centrale d’Intelligenza, con sbirri batistiani, i loro discendenti, agenti o nuove acquisizioni del peggio del mercenarismo made in USA.
L’intenzione d’aggredire Cuba con champagne di droga rimonta al 1966, quando una relazione del Senato statunitense accusò, mentendo, la direzione del paese di «contrabbandare» eroina proveniente dalla Cina, verso il territorio statunitense, per finanziare le guerriglie latinoamericane, un falso manipolato in una forma o un’altra negli anni successivi.
In maniera sospetta la CIA aveva creato un pretesto che sembrava copiato con la carta carbone dalle pratiche mafiose degli anni ’40, quando il paese era il trampolino dell’eroina proveniente dall’Asia e dall’Europa, destinata al paese del nord, grazie alle mafie ch imperavano nella Cuba di ieri e che si rifugiarono a Miami, Nuova York e Nuova Jersey nel 1959, con l’avallo e il consenso della Casa Bianca.
È noto che i principali trafficanti e consumatori di cocaina in Cuba furono i primi ad abbandonare il paese quella mattina del 1º gennaio del 1959 o nei giorni successivi e questo facilitò l’eliminazione del mercato della droga nell’Isola perché con i ricchi e i corrotti se ne andarono i principali capi, molti dei quali raggiunsero il territorio statunitense con 20 milioni di dollari o più, come nel caso dello sbirro ex capitano Julio Laurent, già capo del Servizio dell’Intelligenza Navale del governo di Fulgencio Batista.
Rolando Masferrer, capoccia mafioso di un nutrito esercito speciale di pistoleri a contratto, che secondo la stampa dell’epoca «avrebbe voluto in sè Luciano, Dillinger o Al Capone», e che era a disposizione del tiranno Batista e dei capi della droga «nell’impero de L’Avana» degli anni ‘40 e ‘50.
Se fu scandalosa la fuga di questi personaggi, fu insultante per l’opinione pubblica cubana il fatto che quei ladri e criminali furono protetti dal governo statunitense.
I narcotrafficanti nordamericani e cubani si riorganizzarono negli USA e in breve tempo s’impadronirono di gran parte dell’affare della cocaina nella costa orientale di questo paese, e mascherati da «combattenti per la libertà» e protetti dalla CIA – come la mafia siciliana e corsa – appresero rapidamente a sfruttare la sensibilità politica e i piani di genocidio e assassinio dell’Agenzia contro i cubani.
Se durante il governo di Batista e di altri presidenti, la malavita fu una base importante d’appoggio per imporre il potere quasi assoluto degli Stati Uniti in Cuba, una volta caduta la tirannia 60 anni fa, Washington utilizzò di nuovo la mafia cubana e statunitense per cercare di recuperare il potere e attentare contro la Rivoluzione e i suoi protagonisti, come fa oggi, e per questo non stupisce che da Miami, la città leader del narcotraffico, una delle più drogate, scenario di sparatorie nelle scuole, di omicidi e rese dei conti tra mafiosi, nei giornali locali di questi stessi capi attaccano l’Isola e inventano storie istericamente.
C’è molto da dire su questo tema e torneremo presto con altre verità.