Per non perdere il corso anticubano attuale dettato dalla Casa Bianca, i sindaci di Miami e Hialeah si sono messi d’accordo e hanno adottato una politica culturale unica: nessun rapporto con artisti residenti nell’Isola più grande delle Antille. Né son, né rap, né reguetón, né salsa, né bolero, né rumba. Guerra fredda no, anzi calda, contro di loro.
La Commissione della città di Miami ha approvato lo scorso fine settimana l’iniziativa del sindaco Francis Suárez di chiedere al Congresso che proibisca «ai governi statali e locali di contrattare artisti che fanno affari con Cuba ». Lo hanno fatto dicono in nome «della libertà d’espressione». Va detto anche che l’esempio comincia da casa: da chi osa collocare il manifesto di un’orchestra, un cantante, un umorista che viaggia da L’Avana al sud della Florida.
Per qualcosa Suárez ha dichiarato che se la risoluzione «non coprirà del tutto il suo obiettivo » –l’uomo sa che difficilmente lo seguiranno in assoluto tutti i governatori e i sindaci dei municipi e degli Stati dell’Unione – «voglio lanciare un messaggio chiaro sulla mia posizione come servitore pubblico della mia comunità».
Quest’ultima affermazione dev’essere delimitata. La comunità di Suárez non è, nemmeno per scherzo quella di tutti i residenti nell’estremo meridionale dello Stato. Né quella di tutti i cittadini del suo municipio, E tanto meno quella dei cubani e dei loro discendenti.
Lui è il servitore pubblico di coloro che alimentano l’odio ed esercitano l’intolleranza, quelli che applaudono la messa in vigore del III Titolo della Legge Helms Burton, la cancellazione degli arrivi delle navi da crociera all’Isola e l’interruzione degli scambi accademici.
Lui serve per esempio Orlando Gutiérrez Boronat, che ricordiamo alla testa dei provocatori che nei giorni del Vertice delle Americhe a Panama, andarono a ritirare le corone di fiori offerte dai rettori delle Università cubane davanti al busto di Martí, di fronte alla sede diplomatica di Cuba.
E se andiamo più indietro, incontriamo lo stesso soggetto dietro l’orda che che cercò d’impedire, nel marzo del 2002, l’omaggio a Máximo Gómez nella casa museo che onora il Generalissimo a Montecristi.
A tono con il suo collega di Miami, il sindaco di Hialeah, Carlos Hernández, ha confessato d’aver consultato «persone di forza politica ineguagliabile» per cancellare la partecipazione di tre artisti cubani nel concerto per il 4 luglio Giorno dell’Indipendenza), ed ha citato e nomi e cognomi due dei suoi assessori: Nelys Rojas, molto vincolata alla mafia anticubana, e, non poteva mancare, Orlando Gutiérrez Boronat. Hernández è il colpevole del fatto che Señorita Dayana, El Micha e Jacob Forever non parteciperanno al concerto.
Di sicuro il congressista Mario Díaz-Balart ripreso da Univisión era rimasto «sorpreso» dall’annuncio della presenza di Jacob Forever e lo aveva definito «portavoce del regime» de L’Avana.
Le autorità di Miami e Hialeah, tanto arretrate e lontane nel tempo e nella realtà come gli artefici della politica anti cubana di Washington, non riusciranno comunque a far sì, come dice la canzone, che si secchi il Malecón.