Intervista a Gilberto Rios, dirigente del partito Libre
di Geraldina Colotti
Morti, feriti e una tensione crescente tra i manifestanti che chiedono le dimissioni del “narcopresidente” Juan Orlando Hernández (JOH), e le forze di repressione. L’Honduras s’infiamma, dando luogo a una situazione che, secondo diversi analisti, è di carattere pre-insurrezionale. Manuel Zelaya, presidente dell’Honduras dal 2006 al 2009 e fondatore del Partito Libre, invita i militanti a continuare a oltranza la protesta.
Dieci anni fa, nella notte del 28 giugno, Zelaya fu vittima di un colpo di stato da parte delle Forze Armate che lo prelevarono a forza e lo deportarono, ancora in pigiama, in Costa Rica. Dietro quel golpe, come ammetterà Hillary Clinton nelle sue memorie, c’era la mano degli Stati Uniti, intenzionati a tenere la presa sul paese che ospita la più grande base militare nordamericana del continente. Ora, la situazione sociale è esplosiva.
E’ dalla fine di aprile che il paese è scosso dalle proteste crescenti di diversi settori sociali, colpiti dalle politiche neoliberiste di un governo che si è imposto con la frode e che è coinvolto in numerosi scandali di corruzione. Anche i poliziotti sono in sciopero. Molti di loro si sono rifiutati di puntare le armi contro i manifestanti e denunciano l’insufficienza d’organico, i doppi turni e i bassi salari. Giovedì, il presidente Hernández ha convocato una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza alla quale hanno preso parte i vertici dei tre poteri dello Stato, le Forze armate e la polizia, con la quale si è aperto un tavolo di trattativa per togliere alla protesta un pericoloso combustibile. Ma le manifestazioni non si fermano. Ne abbiamo parlato con Gilberto Rios, dirigente del Partito Libre.
Una situazione esplosiva. Come si è arrivati a questo punto?
Stiamo compiendo un ciclo di dieci anni, messo in moto dal colpo di Stato contro Manuel Zelaya, il 28 giugno del 2009. Un ciclo durante il quale l’Honduras è stato stritolato dalle politiche neoliberiste che hanno subito una violenta accelerazione in questi ultimi mesi. Sono stati privatizzati molti settori: da quello delle telecomunicazioni, all’energia elettrica, all’acqua, ai porti e agli aeroporti. In questo senso, l’Honduras viene usato come un laboratorio latinoamericano del neoliberismo, per testare i meccanismi di privatizzazione e farne un modello. Vi sono stati diversi momenti e diverse crisi che hanno coinciso con le scadenze elettorali: dalla repressione del 2013, seguita al primo trionfo del partito Libre, a quella messa in atto in questo anno contro i settori che manifestavano per chiedere diritti, come gli studenti, o contro quella parte della cittadinanza che protestava contro la corruzione dilagante e l’impunità. Molto importante è stata anche la protesta contro la frode elettorale del 2017, repressa violentemente. Sono dieci anni che il popolo lotta per un cambiamento strutturale del modello neoliberista e per liberarci dalla dipendenza dagli Stati uniti. Un decennio durante il quale il debito estero sta arrivando ai 16.000 milioni di dollari. Il bilancio dello stato riservato alla spesa sociale è stato drasticamente ridotto dopo la visita del Fondo Monetario Internazionale, a marzo di quest’anno.
Prima di tutto – ha detto l’FMI – si deve pagare il debito estero, e per questo il governo ha cominciato a tagliare le spese per l’educazione e la salute, a licenziare in massa maestri e medici, e da lì le mobilitazioni.
Qual è il ruolo degli Stati Uniti?
Nella frode elettorale del 2017, la partecipazione degli USA è stata molto evidente, l’hanno accompagnata e tutelata, giacché considerano l’Honduras un paese di grande importanza sul piano geopolitico. Abbiamo tre frontiere terrestri, nove marittime. Siamo il paese del Centroamerica più vicino a Cuba, con un’ampia frontiera anche con il Nicaragua, e siamo una importante retroguardia dalla quale architettare gli attacchi al Venezuela. Non dimentichiamo che in Honduras c’è la base nordamericana più grande del continente, la base aerea di Palmerola. Negli anni ’80 venne usata come una gigantesca portaerei contro le insorgenze in Centroamerica. L’Honduras ha dei tristi precedenti. Nel 1954, con l’appoggio del governo honduregno, sono partite dal nostro paese le truppe che hanno compiuto il colpo di stato contro Jacobo Arbenz, in Guatemala. Stessa cosa nel ’63 con il golpe contro Juan Bosch nella Repubblica dominicana. Negli anni ’70, venne usato il nostro territorio nazionale per combattere la guerriglia salvadoregna e negli ’80 l’Honduras divenne la base per la controrivoluzione nicaraguense. Nel 2000, per quanto possa apparire assurdo, abbiamo mandato truppe nella coalizione che ha invaso l’Iraq. Oggi il governo honduregno ha aderito al Gruppo di Lima e porta avanti l’attacco al Venezuela bolivariano. Siamo un paese colonia, invaso, senza indipendenza e senza sovranità.
E’ vero che è in corso un’insurrezione e che il presidente ha lasciato il paese diretto negli Stati Uniti?
No, Hernández si trova ancora qui. Contro le misure neoliberiste prese dal governo, si è costituita una Piattaforma unitaria in difesa dell’educazione e della salute, che il partito Libre appoggia e accompagna pienamente, e che ha dato corso a una mobilitazione sociale. Ora le manifestazioni diventano sempre più politiche, si chiede la fine del governo fraudolento, corrotto e narcostrafficante di JOH. Aumentano i blocchi stradali a livello nazionale, nelle ultime settimane c’è stato un importante sciopero del trasporto pesante, è la terza volta che sciopera la polizia e che si rifiuta di procedere alla repressione del popolo. La situazione è molto delicata, per questo probabilmente troveranno un accordo con la polizia. Scateneranno tutta la stampa al servizio dell’oligarchia. Ma il popolo è deciso a non cedere, continua a scontrarsi con le Forze armate. In questo momento, a due isolati da casa mia, gli studenti hanno occupato il liceo. Si sentono spari e si vede il fumo dei gas lacrimogeni. Si stanno verificando anche molti saccheggi, la situazione sociale è fuori controllo, e questo fornisce pretesto alle forze reazionarie per chiedere più repressione, magari lo stato d’emergenza che i grandi media gestiranno a modo loro. Abbiamo bisogno che si parli della nostra lotta, di quel che sta accadendo in Honduras. Abbiamo bisogno della solidarietà internazionale.