di Iroel Eri Sanchez Espinosa da La pupila insomne
Credo che siamo tanti a percepire che questo 17 dicembre 2014 l’edificio del blocco ha cominciato a crollare e a qualcuno stanno cadendo i mattoni sulla testa. Qualcuno a Miami deve star vivendo un trauma molto profondo.
Se tra due governi uno da 55 anni ribadisce la sua disponibilità a un dialogo rispettoso, basato sull’uguaglianza e sul rispetto della sovranità, e l’altro fa di tutto per ignorare questa disponibilità, utilizza il terrorismo, l’accerchiamento economico, spende migliaia di milioni di dollari per fabbricare un’opposizione che difenda i suoi interessi e che abbatta il governo che propone il dialogo, e un bel giorno entrambi i governi concordano uno scambio di prigionieri al quale il paese aggressore diceva fino a ieri di opporsi: di chi è la vittoria ?
Se il governo aggredito, senza rinunciare a uno solo dei suoi principi, riesce ad essere trattato alla pari ad un tavolo di trattativa dall’ aggressore, e quest’ultimo riconosce che la sua politica è un fallimento, che l’ha portato all’isolamento e che deve essere cambiata: chi ha vinto ?
Se il paese che ha deciso di riconoscere il governo che da cinque decenni sta cercando di abbattere e di stabilire relazioni diplomatiche con quest’ultimo supera di trenta volte la popolazione dell’altro, è la principale potenza economica, tecnologica, mediatica e militare del pianeta, il popolo della nazione piccola e povera che non si è riusciti a piegare ha diritto a manifestare la sua allegria ?
Anche se i grandi mezzi di comunicazione internazionale non si sono fatti questa domanda, a Cuba ci sentiamo in diritto di festeggiare. In tutto il paese l’allegria è stata immensa per il ritorno di quelli che la immensa maggioranza dei cubani considera eroi e che una macchina giuridico-mediatica ha condannato a una lunghissima carcerazione per aver cercato di prevenire le attività terroristiche che fino a poco tempo fa si sono organizzate contro il nostro paese dagli Stati Uniti.
Le manifestazioni di strada di allegria per il ritorno di quelli che erano prigionieri negli USA sono state assolutamente spontanee e molto emozionanti, ma non si sono viste scene analoghe nelle città statunitensi per l’arrivo dei due agenti del governo nordamericano liberati da Cuba. Le più recenti manifestazioni di cui abbiamo notizia sono state brutalmente represse, con un saldo di centinaia di arrestati, perché denunciavano il comportamento razzista e impune della polizia contro cittadini neri innocenti assassinati dalle forze dell’ordine.
Il presidente nero, portato alla massima carica dal trauma razziale originato dall’uragano Katrina, non ha potuto far niente se non lamentarsi ma ha deciso di continuare a essere presidente dopo la sconfitta elettorale delle elezioni di medio termine e ha agito per far passare un cambiamento di politica verso Cuba.
Per provare quanto sono vicini al popolo cubano, i congressisti nordamericani eletti a Miami o nel New Jersey hanno espresso la loro frustrazione e una delle persone che Washington ha fabbricato all’interno dell’isola nella sua guerra mediatica contro Cuba ha scritto: “il castrismo ha vinto”. Purtroppo quelli che esprimono opinioni come questa sono quella società civile che il presidente Barack Obama ha detto che “continueremo ad appoggiare” a Cuba, con dichiarazioni che, anche se riconoscono il fallimento del blocco economico, continuano ad essere delle ingerenze. In una delle perle del suo discorso, il leader del paese dove l’89% dei lavoratori non aderisce a un sindacato ha invitato i cubani a sindacalizzarsi.
D’altra parte, l’appello ripetuto del presidente cubano Raul Castro agli USA perchè facilitino le telecomunicazioni, la corrispondenza e i viaggi tra i due paesi prova quanta “paura” ha il governo dell’Avana del libero flusso di informazioni e persone attraverso lo stretto della Florida.
Nel momento in cui rendeva pubblico il cambiamento di politica verso Cuba, il presidente degli Stati Uniti ha accettato la presenza di Cuba al prossimo “Vertice delle Americhe”, uno spazio da cui storicamente Washington aveva escluso il paese caraibico e dove adesso, in un’altra delle sue sconfitte, si è visto obbligato ad accettarlo. Barack Obama ha detto, a proposito dell’atteggiamento che gli USA terranno in quell’evento: “insisteremo affinché la società civile si unisca a noi perché siano i cittadini e non solo i leader quelli che costruiranno il nostro futuro”. C’è da sperare quindi che i manifestanti antirazzisti, vittime dei proiettili di gomma o dei manganelli della polizia in diverse città statunitensi, o gli avvocati dei prigionieri torturati dalla CIA nella base che gli USA controllano nella baia cubana di Guantanamo partecipino al vertice di Panama.
Nel suo discorso Obama ha definito Miami come “la capitale dell’America Latina”, cosa che non credo sia molto gradita alla maggioranza dei leader latinoamericani che arriveranno a Panama. Ma è comprensibile un po’ di solidarietà per la minoranza recalcitrante che da questa città del sud degli Stati Uniti ha fatto della Rivoluzione Cubana un’ossessione da distruggere, e della lotta contro di lei un buon affare finanziato dalle tasse dei cittadini statunitensi.
Le antiche costruzioni hanno nei loro archi una pietra o un mattone chiamato “chiave”, se viene tolto tutta la costruzione crolla. Credo che siamo molti a percepire che questo 17 dicembre 2014 l’edificio del blocco ha cominciato a crollare e a qualcuno stanno cadendo i mattoni sulla testa. Qualcuno a Miami deve star vivendo un trauma molto profondo.