Al II Forum internazionale della Gran Mision Vivienda Venezuela, che si è svolto a Caracas alla presenza di numerosi ospiti internazionali, abbiamo incontrato Olivia Cano, codirettora generale dell’Instituto Nicaraguense de la Vivienda Urbana y Rural (Invur).
Un incontro con cui il Venezuela ha presentato al mondo il gigantesco piano di case popolari che ha già consegnato oltre 2.600.000 abitazioni ammobiliate, sia con l’obiettivo di rispondere a un bisogno della popolazione e per costruire occupazione, ma anche per disegnare l’architettura di una nuova socialità. Nel suo articolato intervento, molto applaudito, Olivia ha spiegato le modalità attraverso le quali il governo sandinista ha rimesso mano alle questioni sociali, dopo il disastro provocato dai governi neoliberisti che avevano riportato il paese nel baratro. Poi, dopo aver preso fiato perché l’avanzata gravidanza le rendeva a volte difficile il respiro, ha accettato di rispondere alle nostre domande.
Che cos’è Invur e quale funzione svolge?
E’ un istituto pubblico che funziona come facilitatore e promotore nella costruzione di case popolari, per esempio erogando un sussidio diretto alla popolazione mediante istituzioni ausiliarie che rappresentano il popolo organizzato. La sua funzione è anche quella di far andare l’economia. A differenza del Venezuela, in Nicaragua non c’è un ministero per la casa e noi, in proporzione, siamo molto lontani dalla meta raggiunta in questo settore dal governo bolivariano con la Gran Mision Vivienda Venezuela, perché non abbiamo a disposizione la stessa quantità di risorse. Tuttavia costruiamo 3.000 case popolari all’anno, e poi ci sono i municipi che investono altre risorse. Tra le agevolazioni, viene attribuito un sussidio di 2.500 dollari per una casa, e l’esonero dal pagamento dell’Iva sul materiale da costruzione. Inoltre il municipio può assumere il personale della famiglia per i lavori di costruzione. E, a questo riguardo, esiste l’Istituto Tecnico che si occupa della formazione specifica di questa manodopera specializzata che può essere impiegata in lavori di ampliamento della casa per la famiglia, per la comunità o farlo diventare il proprio lavoro.
E come funzionava invece nella rivoluzione sandinista?
Io ero piccola, allora, però mia nonna, che faceva le pulizie in aeroporto, raccontava che durante la dittatura di Somoza guadagnava 300 pesos, il salario minimo, esattamente quanto costava pagare il prestito che aveva fatto alla banca per avere una casa. Se volevi chiedere un prestito alle banche per comprarti una casa, dovevi spendere un intero stipendio, e se non pagavi, la perdevi. Avere una casa e un salario era d’altronde un “privilegio”. Quando vince la rivoluzione, vengono condonati i debiti e le famiglie ricevono titoli di proprietà, sia per la casa che per la terra. Il Frente libera molte famiglie da questo ricatto. Poi, però, è arrivata la guerra, l’intervento degli USA e il finanziamento ai contras, e tutto è stato distrutto. Oggi accusano il governo sandinista di essere autoritario, dicono che Daniel Ortega è un dittatore. Ci si dimentica che allora il Frente aveva il potere delle armi, ma il comandante ha scelto di mettere la rivoluzione alla prova delle urne e di non servirsi della forza per governare. La sconfitta del Frente ha dato la stura a un periodo neoliberista di tre governi durante in quale si sono imposte le misure capitaliste più estreme. Nel 1990 avevo 10 anni, però ricordo perfettamente tutti i sacrifici che i miei hanno dovuto fare, perché non c’era nulla a beneficio del popolo. La sanità era privata, l’educazione si pagava, se andavi all’ospedale, c’erano due entrate, una portava al privato, dove se avevi i soldi venivi curato, e l’altra al pubblico dove per farti curare dovevi portarti tutto il necessario. Per la sanità privata venivano usate le istituzioni pubbliche. Alla fine il popolo si è stancato e alle elezioni del 2006 ha di nuovo vinto il Frente Sandinista. E’ iniziato un nuovo processo di restituzione dei diritti e, nel 2008, il governo del comandante Daniel ha approvato la legge di incentivo per la costruzione di case di interesse sociale, che abbiamo attualmente, che negli anni è stata perfezionata in base all’esperienza accumulata ed è ancora in via di miglioramento. Si è investito tanto anche sulla salute, dove la situazione era veramente disastrosa. Non avevamo niente, la stessa desolazione descritta dal gruppo musicale Cuatro Cuarenta. I progressi del Nicaragua nel campo sanitario e soprattutto nella protezione della maternità sono stati riconosciuti dalle istituzioni internazionali. Il livello della mortalità infantile era altissimo, non c’era alcuna attenzione all’infanzia, mentre ora vi sono le mense, l’istruzione gratuita, l’attenzione ai diritti basici perché un bambino malnutrito non può andar bene a scuola.
Qual è la situazione oggi in Nicaragua?
Siamo un popolo che conosce a fondo il senso delle parole dignità e libertà. Tutti i popoli del Latinoamerica le conoscono, ma a noi è toccato difenderle particolarmente con tanti anni di lotta durante i quali l’imperialismo ha di nuovo calpestato la nostra terra. Quella sandinista, è stata l’ultima rivoluzione del secolo scorso, e siamo ancora un pericolo perché il nostro esempio può di nuovo estendersi a tutta l’area centroamericana. Per questo hanno cercato di organizzare un colpo di Stato, con lo stesso formato che abbiamo visto in Venezuela. All’imperialismo dà fastidio la nostra posizione geografica, il desiderio del nostro governo rivoluzionario di sviluppare il paese attraverso la costruzione di un canale inter-oceanico, la relazione che abbiamo con paesi come Russia Venezuela, Cina, l’aver volto nuovamente lo sguardo ai nostri vicini e al sud, per indicare che siamo un paese libero e sovrano che ha diritto di avere relazioni come e con chi crede.
Il pericolo viene principalmente dall’esterno?
Non si può negare che da noi l’opposizione sia forte, ma se la rivoluzione sandinista riesce a mantenersi al governo in questa sua seconda tappa è perché il popolo, principale soggetto del cambiamento sociale, non vuole più ritornare indietro agli anni bui che ha vissuto ora che ha ottenuto la restituzione dei diritti, e così sta avvenendo in Venezuela. I popoli non stanno tanto difendendo i governi, ma loro stessi, il diritto a vivere una vita degna che quei governi gli garantiscono.
Durante le proteste dell’opposizione, però, c’erano anche alcune femministe, a protestare per il diritto all’aborto, che durante la rivoluzione sandinista era stato acquisito e in seguito cancellato sull’altare del compromesso tra sandinismo e chiesa cattolica. Com’è la condizione della donna in Nicaragua?
Siamo al sesto posto in fatto di equità di genere, e non si tratta di discorsi. Oltre il 50% degli incarichi pubblici è nelle mani di donne, il cui potere è riconosciuto in tutti i programmi di governo. Fin dalla formazione del Frente Sandinista, l’emancipazione della donna ha fatto parte degli ideali della nostra formazione e continuerà a essere così finché esisterà il sandinismo. Quanto all’aborto, bisogna considerare che la maggioranza della popolazione nicaraguense è religiosa, magari pratica l’interruzione di gravidanza – che comunque non è punita se la vita è in pericolo – ma non lo ammette esplicitamente. La chiesa, poi, si serve del solito doppio discorso: dice di difendere la vita, ma finanzia chi vuole togliertela con le violenze e il golpismo.
Dure critiche a Daniel Ortega e Rosario Murino arrivano anche da molti ex sandinisti di provata fama, che si dicono più di sinistra. Come valuti la loro posizione?
Alcuni, come Gioconda Belli, non sono mai stati personaggi storici del sandinismo, ma figli della borghesia che sono saliti sul carro della rivoluzione e se ne sono allontanati quando sono cominciate le difficoltà. Poi ci sono quelle come Doria Maria Téllez che hanno voltato le spalle alla rivoluzione dopo che il Frente ha perso le elezioni, nel 1990, e che fanno parte del Movimento Renovador Sandinista. Come i topi, hanno abbandonato la nave quando stava affondando, lasciando solo Daniel e il comandante Tomas Borge Martinez, oggi transitato verso l’immortalità. Molti di loro se ne sono andati negli Stati Uniti quando ci sarebbe stato bisogno di ricostruire, altri sono diventati imprenditori. Con la spocchia degli intellettuali hanno guardato dall’alto in basso quelli che, insieme a Daniel, hanno cominciato a girare per le campagne per riconquistarsi il favore di quel popolo di cui loro si sono sempre sentiti superiori. Infatti, negli anni ’90, il loro partito non ha fatto niente per contrastare le misure neoliberiste anche se ne avevano la forza parlamentare, non hanno fatto alcuna opposizione, anzi. Forse credono che ce lo siamo dimenticati, ma il popolo ha la memoria lunga. Sa che l’unico ad aver fatto opposizione in quegli anni, è stato Daniel Ortega e per questo lo appoggia e lo riconosce come leader assoluto del Frente Sandinista. Il popolo sa chi ha difeso e chi ha tradito i principi rivoluzionari, tanto più quando questi personaggi oggi si riferiscono all’ambasciata USA come alla “nostra” ambasciata ben sapendo che siamo antimperialisti, e chiedono sanzioni per il proprio paese. Questo mostra da quale lato della barricata si siano sempre trovati meglio.