“Chi conosce il bello, e la morale che ne viene, non può vivere senza morale e senza bellezza”
José Martì
Davanti allo Storiografo de L’Avana, Eusebio Leal, si sono sedute decine di persone con il proposito di intervistarlo, in forme infinite si sono raccolte le sue opinioni su “l’umano e il divino”, l’immateriale e il tangibile. Quando si viene a conoscenza del fatto che si avrà la possibilità di avere questo ruolo all’immenso onore si somma la stessa dose di ansia.
Quale domanda, tra tutte quelle che si desidera porgere, si farà? Quale, che non sia una ripetizione? Come definire e stabilire in così poco tempo un ponte tra la sua opera di riscatto patrimoniale e la promozione di una cultura di disegno nell’ambiente visuale del Centro Storico de L’Avana?
Di fronte al vincolo del suo tempo scarso è doveroso andare all’essenza e concentrarci nel fattore comune che caratterizza il lavoro dell’Ufficio dello Storiografo nell’intervenire in un immobile, uno spazio aperto o stampare una pubblicazione: l’estetica di ciò che è fatto bene.
Intervistatrice (I)-“La bellezza, nella sua relazione con il disegno, non è il risultato di un’azione cosmetica, di un invito fuori tempo per far ‘belle’ le cose”. “Al contrario, un prodotto di buon disegno irradia bellezza nell’armonia che formano la sua espressione materiale, l’uso che suggerisce, le idee che rappresenta”. “Come si forma in lei la nozione del bello?”
Eusebio (E)- “Per cominciare bisognerebbe prendere come massima quella bella poesia cantata da Silvio Rodriguez, quando chiede che le nubi si portino via il brutto e ci lascino il bello”.
“Il bello è sempre una relazione misteriosa tra noi e ciò che ammiriamo, però non c’è dubbio che sia anche frutto di un’educazione e dell’interazione con una serie di segnali che ci marcano senza interruzione.”
“Quando ero bambino, nella scuola ci chiedevano di fare disegni con carte colorate, qualcosa di simile all’origami giapponese”. “Questo era un suggerimento per l’uso del colore e della forma, per la ricerca di un’estetica della vita quotidiana, che per me è la questione fondamentale”.
“C’è una necessità di trasmettere a tutte le generazioni questo culto della bellezza”. “Per questo il disegno deve entrare nell’universo del focolare domestico ed essere presente nelle posate, nel vasellame, nei vestiti”.
“Anni fa una grande amica, Nisia Aguero, ha realizzato grandi progetti per portare l’arte ed il disegno sui tessuti”. “Insegnamenti come questi hanno aiutato a formare in noi – nell’Ufficio dello Storiografo – un’urgenza per poter dire la nostra parola a partire da una politica: incorporare il disegno alle diverse sfere del nostro lavoro”. “Abbiamo fatto così nelle nostre pubblicazioni, è qualcosa su cui ha lavorato molto (Carlos Alberto) Masvidal, Premio Nazionale di Disegno e che trova un esempio nei titoli della nostra casa editrice Boloña o nei numeri della rivista che testimonia il nostro lavoro, Opus Habana”.
“Abbiamo anche integrato il disegno con la concezione di una versione moderna del museo, che trascende il mostrare la collezione e scommette sull’interattività; è ciò che abbiamo sviluppato nel Palazzo del Segundo Cabo”.
“Allo stesso modo, con la nuova museologia didattica diretta ai bambini ed ai giovani del ‘Centro a+ per Adolescenti’, c’è tutto un disegno che si approfitta dei codici dell’antica fabbrica che esisteva dove oggi ha sede l’istituzione, per fare un discorso di bellezza, nel mondo industriale”.
“Abbiamo cercato di incorporare questi principi nella concezione di un’abitazione decorosa e degna, per cui facciamo qualcosa di più che innalzare pareti, nei limiti che ci impongono i finanziamenti”. “Sono uno di quelli che credono che con poco si possa fare molto”.
Senza necessità di pause per cercare nel passato, Eusebio sceglie tra le sue memorie un fatto molto peculiare, che esemplifica la sua affermazione.
“Nell’antica casa di Obrapia, che non era ciò che conosciamo oggi, ma un edificio abitato, un grande edificio, pieno di controsoffitti abitabili e labirinti, vivevano degli amici che lavoravano in una rivista”. “Un giorno mi invitarono a mangiare con loro ed all’arrivo ho trovato qualcosa di inconcepibile”. “Avevano arredato tutto usando casse ed altri oggetti che le persone scartavano, armonizzando i colori; avevano una gabbia di canniccio con un canarino, un tavolino con le sue quattro sedie diverse… loro mi hanno dimostrato che era possibile, con mezzi scarsi, costruire un piccolo spazio di felicità”. “Con poco si può fare qualcosa di utile e bello, sempre se si utilizza bene”.
(I) – “L’Ufficio dello Storiografo ha puntato ad esprimere questo matrimonio tra forma e funzione attraverso opere di alto impatto sociale”. “Così possiamo vedere case, scuole, centri di attenzione agli anziani od a minori che sono riferimenti sia estetici sia per i servizi che offrono”. “Come si arriva a questo concetto?”
(E)- “E’ il risultato di un’evoluzione; ho sempre negato che sia l’opera di un illuminato, rifiuto per me il protagonismo assoluto in queste questioni”.
“Abbiamo diversi punti dai quali fioriscono iniziative che si esprimono in progetti come quello del ‘Centro a+ per Adolescenti’ uno dei più importanti, secondo me”.
“L’isolato dove si trova il Centro, delimitato dalle vie Teniente Rey, Habana, Muralla e Compostela, era un ammasso dove si trovavano una vecchia fabbrica di medicine, un’altra di recipienti, un deposito di alcol, ciò che era stato il collegio di José de la Luz y Caballero era diventata un’officina di riparazione di veicoli… Tutto era stato abbandonato all’anarchia, nulla puntava in una sola direzione”.
“Il nuovo progetto è stato concepito come uno sviluppo armonico nel quale ci sarebbero stati edifici di abitazioni, si sarebbe restaurata la farmacia, avremmo riscattato l’impronta positiva del passato che era la scuola, però c’era ancora un problema da risolvere: la vecchia fabbrica”.
“Li si è disegnato il Centro per Adolescenti. La direzione di Architettura e Urbanistica dell’Ufficio dello Storiografo, in particolare la squadra che ha lavorato con l’architetto (Orlando) Inclan, ha fatto un lavoro prezioso, lasciando tutti i macchinari industriali in vista, la trave di ferro trasformata con un cambio di colore, le ruote dentate… riscattare e mostrare il patrimonio industriale è importantissimo”.
Dalla descrizione del progetto fatto realtà, Leal passa, quasi senza transizione, a parlarci di un nuovo desiderio; come se per lui non ci fosse possibilità di accontentarsi fino a che esista un luogo rilevante lasciato opaco e consumato o inutilizzato.
“Sogno il grande edificio della fabbrica di elettricità trasformato in un centro di arte moderno, dove tutta questa vecchia tecnologia possa dare una spiegazione di se stessa e ci introduca ad un mondo dove non abita il silenzio ma la cultura, la conferenza, il passaggio delle persone da un luogo ad un altro”. “Arrivare ad introdurre questi codici nelle nuove generazioni è trascendentale, soprattutto di fronte all’avanzare del degrado della città”.
“In diversi luoghi vediamo come sta sorgendo un tipo di architettura disorientata, dove la gente cerca di risolvere i suoi problemi, però non c’è una parola che dica ‘questa è la linea, questo è il piccolo spazio che serve per camminare, quella è l’area verde, così la facciata’”. “Si tratta di una ghettizzazione che ignora il bello come necessità incorporata alla necessità elementare di avere un tetto”.
(I)- “Di fronte a questa proliferazione di ambienti anarchici, quanto è necessario fare del disegno un componente più attivo nel modello della prosperità che vogliamo costruire?”
(E)- “Prima di tutto devo dire che non si può trasformare in uno slogan od in uno schema inciso nella pietra qualcosa tanto serio come aspirare ad un socialismo prospero e sostenibile”. “Come può essere prospero e sostenibile il nostro modello, se non si slegano le mani della creatività, se non si stabilisce un dialogo perenne con la realtà?” “In che modo ottenerlo se prima non si mette la mano sul cuore della necessità, se improvvisamente un fatto straordinario, come il tornado che ha danneggiato gran parte della capitale cubana il passato 27 gennaio, ci pone davanti e ci butta sul tavolo le enormi necessità accumulate nella grande concentrazione che la città suppone, forse una delle più grandi a questa latitudine delle Antille?”
“Quando parlo della monumentalità de L’Avana non mi riferisco mai al Centro Storico, perché ho sempre affermato che ha molti centri storici, come Luyanò, altri spazi di Diez de Octubre, La Lisa… In ognuno di questi si è manifestata l’originalità e la creatività di generazioni per costruire un disegno organicamente previsto dal giorno in cui nasce la città, quando si decide che le strade devono andare da nord a sud, cercando i venti; la piazza sarà luogo di riunione, le fontane serviranno per cercare l’acqua, lavare i vestiti e dare un’immagine di tranquillità nella relazione dell’uomo con l’acqua”.
“Credo che questa nobile aspirazione alla quale tutti vogliamo contribuire (il socialismo prospero e sostenibile) deve basarsi su questi parametri”. “La città non è un accampamento, è qualcosa di più; in particolare l’accampamento è rimasto indietro, è una concezione vecchia, la città è un’espressione superiore, c’è una razionalità nel suo disegno, che non può essere omessa, e neanche pretendere che sia omogenea”. “Ogni quartiere ha la sua personalità, ogni frontiera invisibile apporta un carattere diverso, una forma di comportarsi, di esprimersi, di vedere il mondo”.
“C’è una sintesi di questo disegno nella grande passeggiata della 5a Avenida, dove ogni tanto gli alberi cambiano, ogni tratto ha la sua specificità; per un momento vediamo le palme de ‘corojo’, poi appaiono le palme ‘barrigonas’, ad un certo punto ci sono le acacie nodose, in un altro lato la araucaria… questa è la città”.
La mezz’ora finisce. Altri impegni attendono Eusebio. Ci lasciamo con reticenza. Sentiamo che si sarebbe dovuto chiedere, a questo intervistato eccezionale, sul decoro, la Patria, l’umiltà, la migrazione, la scuola, i venditori ambulanti, le tradizioni od il caffè; per L’Avana Vecchia che rinasce o L’Avana Nuova che invecchia. D’altra parte, con la sua cavalleria indeclinabile, che il suo eterno vestito grigio non può nascondere, avremmo ricevuto sempre una risposta generosa, saggia, intensa.
Però si comincia e si finisce parlando del “bello” perché, come ha detto a La Tiza il Premio Nazionale di Disegno, Carlos Alberto Masvidal, nell’Ufficio dello Storiografo, la bellezza funziona e bella è l’opera di conservazione patrimoniale intrapresa da questa istituzione, che ci permette di amare e vivere una città di 500 anni con il suo trambusto, il suo eclettismo, le sue lenzuola multicolori, che non saranno mai più solo bianche, issate nei balconi. Perché bella è l’eredità di questo Storiografo, dedicato al restauro dell’essenza di una città e dei sogni di chi la abita. Perché bello è essere leali al proposito di alzarsi ogni giorno per fare di Cuba un paese migliore, essere leali fino al midollo, a partire dal cognome.
di Ivette Leyva Garcia da Cubadebate
traduzione di Marco Bertorello