“Il livello di crisi esistente in Venezuela è dovuto a questioni geopolitiche e all’economia come strumento di guerra dell’imperialismo. Tutte le guerre sono, in ultima istanza, di natura economica, ma non tutte utilizzano l’economia come arma di guerra come si sta facendo contro il Venezuela.”
di Geraldina Colotti
Juan Carlos Valdez è avvocato, specialista in diritto finanziario, e magistrato supplente della sala costituzionale del Tribunal Supremo de Justicia (TSJ). E’ esperto di economia politica, materia che insegna, e che diffonde nel programma “Boza con Valdez”, in onda su VTV. Gli chiediamo di spiegare a un lettore europeo di sinistra cosa sta accadendo all’economia venezuelana.
I grandi media usano l’esempio della Bolivia contro il Venezuela. Perché l’economia boliviana va bene?
Il Pil della Bolivia rappresenta una parte molto piccola su scala latinoamericana, non è un grosso ostacolo per l’imperialismo, il cui obiettivo principale è quello di distruggere governi socialisti che hanno un forte potere economico come il Venezuela. Se ci riuscisse, poi passerebbe a Cuba, al Nicaragua e anche la Bolivia non durerebbe molto perché è un’economia fragile. Perché i media non parlano del Venezuela fino al 2012? In pochi anni si è ridotta la povertà a meno della metà e quella estrema di un terzo. In meno di due anni si è sconfitto l’analfabetismo, si sono create decine di università e oggi chi non studia è solo perché non vuole, non perché non possa permetterselo. Ogni venezuelano poteva avere sulla sua carta di credito fino a 5.000 dollari sussidiati dallo Stato. Perché non parlano di questa Venezuela? Perché stava dimostrando che la ricchezza si può ripartire in modo giusto. Se lo stesso FMI ammette che solo pochissime famiglie possiedono la ricchezza del mondo – un mondo in cui i paesi che si richiamano al socialismo non sono certo la maggioranza – significa che non è il socialismo a generare la povertà, ma il capitalismo. Per questo il Venezuela fa paura. Per questo abbiamo ragione a resistere. In Venezuela esiste una rivoluzione, che ha smosso tutto nel profondo, assolutamente tutto, e per questo è piena di contraddizioni, altrimenti non sarebbe tale. Noi non vogliamo curare il capitalismo venezuelano, non lo stiamo riformando, stiamo cercando un’altra strada che non è esente da errori, e lo facciamo da soli vent’anni, poca cosa sul piano della storia. Siamo in una fase di acutizzazione delle contraddizioni, una fase di definizione nella quale stiamo verificando, all’interno stesso del blocco rivoluzionario, chi siamo davvero.
Ma con quale prospettiva se non c’è il controllo pieno dei mezzi di produzione e si continua a dormire con il nemico in casa?
In Venezuela, le imprese che costituiscono il motore economico, quelle petrolifere, sono in mano allo Stato. Per questo, nel 2001-2002, mentre siamo riusciti a venir fuori bene dalla serrata padronale, quando hanno bloccato anche il settore petrolifero, abbiamo avuto grosse difficoltà. Il controllo dello Stato c’è, per questo io non mi preoccupo tanto del controllo dei mezzi di produzione, quanto del controllo dei prezzi, che è il vero meccanismo di trasferimento della ricchezza. Per come vanno le cose da noi, la quota di plusvalore per il capitalista si è alquanto ridotta, per via delle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici, per le coperture sociali ottenute, per le leggi che le garantiscono, per una serie di benefici che compensano quel che viene estratto ai lavoratori.
Che cosa intendi?
Mi riferisco alla teoria monetarista, oggi predominante, secondo la quale a generare l’aumento dei prezzi è la quantità di denaro circolante e non la volontà dell’offerente. Io non credo che sia l’eccesso di denaro in circolazione a generare inflazione. Al contrario, penso che aumentando il prezzo quando i prodotti scarseggiano, gli offerenti creano una nuova penuria dovuta proprio all’aumento dei prezzi, che diventano irraggiungibili per molti consumatori: per i quali questi prodotti è come se non esistessero. Il “denaro inorganico”, non esiste. Quando il governo crea denaro per pagare i suoi debiti, quando copre il deficit fiscale, sta semplicemente pagando con ritardo il prezzo di beni e servizi che già ha utilizzato e che si sono prodotti nel paese in quel periodo fiscale. Lo stato non è un falsario che fa circolare denaro eccedente il bilancio stabilito. In agosto, il presidente ha deciso un aumento di salario del 3.600 per cento. La gente era felice di poter far fronte alle necessità basilari, ma immediatamente è arrivata la speculazione dei prezzi. Quando abbiamo accordato i prezzi, sono scomparsi i prodotti dal mercato e si è rimesso in moto il meccanismo di prima. Il livello di crisi esistente in Venezuela è dovuto a questioni geopolitiche e all’economia come strumento di guerra dell’imperialismo. Tutte le guerre sono, in ultima istanza, di natura economica, ma non tutte utilizzano l’economia come arma di guerra come si sta facendo contro il Venezuela. E da noi la situazione si complica anche per la presenza di forze interne che credono nell’importazione perché produce commissioni e corruzione.
E come se ne esce?
All’interno, esercitando l’autorità dello Stato contro la speculazione, producendo una rivoluzione educativa che stimoli la produzione nazionale e si liberi di quelle teorie economiche create per il neoliberismo, per proteggere un determinato sistema politico e una classe sociale, e che non sono innocue. Noi siamo capaci di creare le nostre leggi economiche e regolare la nostra società. Il blocco economico-finanziario si sta trasformando in una forza che ci obbliga a guardarci dentro, a valorizzare le nostre potenzialità, a cambiare abitudini e consumi. L’imperialismo usa il dollaro – che non ha più l’egemonia di prima – come arma di guerra, ma noi stiamo spostando il nostro mercato verso gli alleati strategici, come Russia e Cina, che agiscono per la costruzione di un mondo multipolare.