di Geraldina Colotti
Il metro a Caracas è pieno. Due donne si fanno largo, cercando di mantenere l’equilibrio, cariche di bottiglie e sacchetti. Specchiandosi nel finestrino, ridono: “Mision Negra Hipolita”, dice una, riferendosi al piano sociale del governo bolivariano rivolto ai senza fissa dimora. L’allenamento quotidiano nel caos incontrollato dei trasporti romani, torna utile.
In una grande città capitalista, chi ha soldi da spendere in benzina (e in assicurazione, meccanico eccetera eccetera), oppure è obbligato a farlo perché lavora troppo lontano da casa, si mette in macchina… e si fa ore di fila. Gli altri, si immergono nel meraviglioso mondo delle sardine, con tanto di spezie sudorose o allucinazioni degne di un deserto africano cercando di scorgere un autobus di periferia: che di solito ti passa davanti con l’insegna “deposito”, e non si ferma. Chi scrive appartiene alla seconda categoria.
Ridiamo. I venezuelani sono allegri, succeda quel che succeda, un po’ come gli italiani. E qui di cose ne succedono tante. Diversi anni fa, venendo dal “tutti contro tutti” dei trasporti italiani, prendendo il metro a Caracas si restava stupiti dalla disciplina con la quale i viaggiatori si inserivano nei percorsi di attesa. Oggi le cose sono cambiate, ma l’umanità e la gentilezza fanno ancora premio su quel lato peggiore dell’essere umano che i piani dell’imperialismo stanno cercando di scatenare.
Scendiamo a Gato Negro, dove stazionano i bus privati che portano al mare chi non ha una macchina o qualcuno che l’accompagni. Il nostro intento non è solo quello di passare una giornata di svago, ma anche di registrare i cambiamenti dello stato Vargas, che il governatore Jorge Luis García Carneiro ha deciso di effettuare, cominciando dal nome: che è diventato La Guaira, “in onore agli antenati, perché la gente lo chiama così da sempre”.
Qualche giorno prima avevamo incontrato una compagna di un vecchio collettivo, un tempo molto barricadera, ora sempre attiva ma con meno aspettative. Ci aveva avvertite che il prezzo del biglietto sarebbe variato secondo la volontà della società di trasporti privata. “Ma come, e voi lo permettete? Non è legale. Se avete la legge dalla vostra, perché non la fate rispettare?” Lei si era stretta nelle spalle: “Altrimenti, al ritorno, ti lasciano a piedi”. Il ricatto dei prezzi, la speculazione: una vera mannaia, uno strumento micidiale della guerra economica.
Saliamo sull’autobus, che parte solo quando si è riempito, dopo aver attirato i clienti con la musica a palla. Paghiamo effettivamente di più del “prezzo accordato” con il governo per questo genere di servizi effettuato da privati. Quando entriamo nello stato Guaira, però, il mezzo viene fermato. Sale un poliziotto, chiede ai passeggeri quanto abbiamo pagato. Obbliga i conduttori a restituirci il denaro truffato, dice: “Sono anche io un lavoratore, non è giusto speculare sul bisogno, o su chi abbia voluto concedersi una giornata di riposo e di mare”. Ci lascia un numero di telefono, fa un verbale e scende.
Dai finestrini si possono constatare i cambiamenti: non ci sono più depositi di veicoli pubblici accatastati, il lungomare è pulito, i bambini giocano tranquilli intorno al grande aereo militare dei tempi di guerra, che si staglia imponente. Anche le spiagge sono pulite. Sfilano i venditori ambulanti, alcuni chiedono sfacciatamente dollari. Tre ragazzi cercano di venderci dei dolci fatti a mano. Sono incuriositi dall’italiana.
Tornano poco dopo. “So chi sei – dice uno, indicando la collanina con la firma di Chavez. Se hai preso le armi nel tuo paese, puoi capire la mia rivolta contro la dittatura?” Un guarimbero… Uno di quelli che volevano incendiare il paese… cominciando dalle persone. Una gran voglia di prenderlo a schiaffi. Tornano le immagini delle violenze. Tornano anche i ricordi dei giovani fascisti negli anni ’70, l’omicidio di Valerio Verbano, la vendetta dei compagni, lo scontro diretto su barricate diverse.
Senza quartiere.
Allora, le cose erano chiare. Anche qui lo sono, ma la ricerca di consenso, la presunzione di poter convincere mostrando la superiorità ideale del proprio progetto senza ricorrere alla dittatura del proletariato finisce a volte per complicare le cose. Almeno secondo la logica di una vecchia comunista. Nasce una discussione. Il giovane dice che ha dovuto firmare perché suo figlio se ne andasse via dal paese con la moglie: perché non c’erano latte, medicine, eccetera. Tutto addebitato sulle spalle di Maduro, perché “con Chavez stavamo tutti benissimo e avevamo anche una grossa moto, mentre adesso stanno bene solo i raccomandati e i generali con le grosse ville”. Era molto arrabbiato, voleva solo farla finita con “la dittatura”.
Proviamo a farli ragionare. Parliamo delle sanzioni USA e di quelle europee, del bloqueo finanziario e del fatto che se una banda irrompe in una casa, lega e imbavaglia i genitori, ruba loro le carte di credito e poi corre fuori a gridare che non sono capaci di mantenere i figli, la colpa non è di quei genitori. Parliamo di chi ha utilizzato la rabbia e il bisogno per i propri interessi sporchi, che ha mandato al macello i ragazzi come lui, intanto che passava da un albergo di lusso all’altro nei paesi europei. Abbiamo visto i rotoli di dollari con i quali l’opposizione oltranzista girava per contrattare la manovalanza per gli scontri e le bombe. “Io quelli li disprezzo – dice il guarimbero – e se continui finisco per diventare… sinistrese”.
Ogni tanto, un uomo viene a chiederci se va tutto bene. Fa parte del collettivo che gestisce la spiaggia. Ci protegge. Andiamo via dopo aver raccolto la nostra spazzatura. Resta una bottiglia per terra, è dei giovani oppositori. Il guarimbero ci guarda. Si china a raccoglierla. “…Mi sa che divento sinistrese”, ripete. Al ritorno, i gestori dei pullman si sentono controllati, paghiamo il prezzo pattuito.
Il giorno dopo, durante la giornata conclusiva della Fiera del Cinema, partecipiamo ad alcuni laboratori sull’uso delle nuove tecnologie nella comunicazione e nella formazione dei giovani. Nel laboratorio che insegna ai bambini a diventare dei mediattivisti, c’è un piccolo di tre anni, già in grado di fare un video da solo. Ha imparato nelle sedi di Infocentro (www.infocentro.gob.ve), una iniziativa di Chavez per democratizzare le nuove tecnologie, che sta continuando con Maduro. Il presidente ha promesso ai giovani di Unearte di destinare 6 milioni di euro (in Petro) al cinema e alla cultura.
Quello che in Italia si pagherebbe una fortuna, qui è gratis. Al corso del giornalista Boris Castellano, che insegna come fare buone inchieste con tecnologie a basso costo, tornano le immagini delle guarimbas. E’ stato Boris a filmare la targa della moto dell’italiano coinvolto nell’omicidio del giovane Orlando Figuera, e che è poi stato arrestato in Spagna. Con mezzi di fortuna. “Insegniamo ai bambini ad acquisire un pensiero critico nell’uso e nella fruizione delle nuove tecnologie”, dicono gli insegnanti di Infocentro.
Pensiamo al guarimbero della spiaggia, all’importanza della formazione. Tra gli stand, ci sono due donne – una odontologa, l’altra psicologa – che hanno aperto una piccola impresa di autoproduzione. Vendono dolci e pizzette. “L’attacco alla moneta è forte – dicono – vogliono strangolarci con la guerra economica, con la speculazione. Chiediamo più controllo dei prezzi, ma ognuno di noi deve fare la sua parte”.
Nel discorso di chiusura, rompendo il suo proverbiale autocontrollo, il Ministro della Cultura, Ernesto Villegas, parlerà proprio di questo: di quanto conti che ognuno faccia la propria parte, combattendo l’indolenza e la speculazione, e proteggendo come un bene prezioso la rivoluzione. Il titolo del festival del cinema è stato O innoviamo, o sbagliamo.