Immagini che valgono più di mille parole e tante cronache: i movimenti indigeni e sociali dell’Ecuador in rivolta contro le misure neoliberiste implementate dal presidente Lenin Moreno avanzano entrando nella capitale Quito al grido di «el Pueblo Unido jamas sera vencido», con le forze di sicurezza del regime che arretrano.
Le legittime proteste popolari sono state scatenate dalla dissennata decisione di Moreno deciso ad applicare misure neoliberiste ‘consigliate’ dal Fondo Monetario Internazionale in cambio di un prestito al paese andino. Come l’eliminazione dei sussidi volti a calmierare i prezzi dei combustibili. La decisione ha generato aumenti fino al 123% nei prezzi dei carburanti più utilizzati. Il gallone di 3,79 litri di diesel è passato da 1,03 a 2,30 dollari e quello della benzina comune da 1,85 a 2,40 dollari.
Tra le ‘riforme’ di Moreno per «rilanciare l’economia» troviamo anche la riduzione delle indennità salariali per gli impiegati pubblici assunti su base temporanea.
A questo punto sono partite le proteste popolari. In Ecuador hanno già vissuto queste situazioni e sanno che le misure neoliberiste hanno l’unico scopo di massacrare il popolo facendogli pagare per intero i prezzi delle crisi capitalistiche scatenate da governi inetti al servizio non del popolo ma delle èlite. Nel caso di Lenin Moreno anche degli Stati Uniti.
Il governo guidato dall’ex vicepresidente di Rafael Correa ha risposto con una repressione brutale. Addirittura si è spinto fino a dichiarare lo stato di emergenza. La decisione non ha fermato le proteste.
Anzi, i movimenti indigeni si sono diretti verso la capitale Quito dove mercoledì è previsto uno sciopero generale.
Intanto Moreno scappava in quel di Guayaquil. Città costiera, ubicata in una delle regioni più ricche del paese, e quartier generale storico della destra ecuadoriana, che si è alleata de facto con il governo Moreno nonostante questi abbia vinto le elezioni con il sostegno della sinistra e di Alianza País, il movimento politico progressista fondato da Rafael Correa.
Organizzazioni indigene e gruppi sociali che accompagnano il movimento indigeno hanno accusato il presidente dell’Ecuador, Lenín Moreno, e il suo ministro della difesa, di «dichiarare guerra al popolo».
Aggiungendo che la lotta intrapresa non è solo per le misure economiche che colpiscono il popolo, ma anche per la difesa dei territori, dell’acqua, dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori.
La Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (CONAIE) in risposta alla brutale repressione ordinata dal governo nei confronti della protesta popolare ha risposto che «militari e poliziotti che si avvicineranno ai territori indigeni saranno trattenuti e sottoposti alla giustizia indigena, riconosciuta dalla Costituzione dell’Ecuador».
Nonostante lo sconvolgimento sociale che vive Quito, i principali media ecuadoriani, nelle mani della destra, restano in silenzio sugli eventi nella capitale e concentrano la loro copertura sulle dichiarazioni del presidente da Guayaquil. I media internazionali parimenti mantengono il silenzio. Le loro simpatie non vanno verso quei popoli che lottano per la sovranità nazionale e popolare. Per un sistema più giusto ed equo. Le loro simpatie si palesano quando a protestare contro i governi popolari, progressisti e di segno socialista sono i ricchi. Basta vedere lo spazio mediatico e il sostegno dato ai rivoltosi di Hong Kong e i guarimberos in Venezuela.
Rafael Correa sulla situazione in Ecuador
“Dicono che siamo i leader del colpo di stato e che vogliamo destabilizzare il governo, quando i capi del colpo di stato sono stati loro, che hanno infranto la Costituzione quante volte hanno voluto”
“Dicono che siamo i leader del colpo di stato e che vogliamo destabilizzare il governo”, ha denunciato Correa, quando “i capi del colpo di stato sono stati loro, che hanno infranto la Costituzione quante volte hanno voluto”. L’ex presidente ha affermato che i suoi avversari politici “non sono interessati alla democrazia: sono interessati a continuare a controllare il potere, controllando il popolo ecuadoriano” al fine di applicare politiche “che danneggiano la grande maggioranza, ma avvantaggiano i loro affari”. “Coloro che hanno rubato la democrazia sono loro”, ha proseguito.
Correa ha indicato poi come, in ogni caso, una “uscita costituzionale” per questa situazione esiste e, a suo avviso, non è altro che “anticipare le elezioni e far votare il popolo”. “Ecco come si risolvono i conflitti nella democrazia: alle urne”, ha insistito l’ex presidente.
Correa ha anche commentato il modo in cui i media egemonici stanno raccontando ciò che è accaduto in Ecuador. A suo avviso, il comportamento di questi media è “vergognoso”. “È osceno il modo in cui nascondono la repressione – afferma Correa -: il paese subisce un’enorme commozione e continua con le telenovele e cartoni animati”.
“È pura storia”, afferma l’ex presidente, denunciando che i suoi rivali politici “sin dall’inizio hanno tradito il programma economico” per cercare di “imporre il neoliberismo” e quindi accontentare i gruppi di potere che sostengono Moreno.
“Questi gruppi erano alla ricerca del neoliberismo, del “salva chi può “e minimizzano lo stato”, afferma Correa, che si rammarica che l’Ecuador non sia stato sottoposto a misure economiche così severe “da14 anni”.
Marce, manifestazioni, scontri con la polizia e altri atti di protesta si sono verificati in Ecuador da quando Moreno ha decretato un insieme di misure volte a conformarsi all’accordo raggiunto tra l’Ecuador e il Fondo monetario internazionale (FMI).
Tra le misure che hanno sollevato l’indignazione della popolazione vi è l’aumento del prezzo dei carburanti (che rappresenta un aumento del 123% nel caso del diesel) e una serie di riforme del lavoro e fiscali che l’Assemblea nazionale (Parlamento) deve approvare.
Le proteste continuano nonostante il paese sia in stato di emergenza, promulgato dal presidente il primo giorno di inizio delle mobilitazioni popolari. Lunedì migliaia di persone appartenenti ai movimenti indigeni della regione Sierra sono entrate nella capitale, Quito, dal sud della città, e si sono dirette verso il centro della città.
La verità è che Quito è diventato in questi giorni un campo di battaglia tra forze di sicurezza e manifestanti, che cercano di raggiungere il Centro storico, dove si trova il Palazzo Carondelet, quartier generale della Presidenza, i cui dintorni si trovano rinforzato con recinzioni, fili e carri armati.
Anche per questo mercoledì 9 ottobre, la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (CONAIRE) ha indetto uno sciopero generale, con una concentrazione a Quito.