di Geraldina Colotti
Nicolas Maduro scherza: “Con questa benedizione, neanche Trump potrà più farmi niente”. Siamo all’incontro costitutivo del Movimento Indigeno Unito del Venezuela (MIUVEN), che riunisce la maggioranza delle comunità originarie, e dove verrà ratificata la direzione nazionale – rappresentanti e supplenti -, eletta dalle comunità. Nel corso di una cerimonia tradizionale, il presidente venezuelano ha ricevuto la protezione dei capi spirituali, che gli hanno fatto dono del copricapo tradizionale.
Il simbolo ancestrale ora è posato sul tavolo della presidenza, dove siedono anche la ministra dei popoli indigeni Aloa Nuñez e i professor Aristobulo Isturiz. In prima fila, i ministri chavisti più direttamente coinvolti nell’agenda di lavoro approvata da questo storico evento, come Ernesto Villegas (Cultura) e Blanca Eekhout (Comunas), e il Segretario esecutivo del Movimento Somos Venezuela, Mervin Maldonado.
La sindaca della Guaira, Indira Fernandez, e Noeli Pocaterra saranno chiamate a intervenire, la prima per leggere il documento approvato, la seconda per tenere un appassionato e commovente discorso che ha ricordato il lungo cammino di dignità compiuto dalle comunità originarie in Venezuela. Un percorso codificato dalla costituzione bolivariana, approvata nel 1999, che contempla in un intero capitolo i diritti dei popoli indigeni. Un capitolo che verrà ulteriormente approfondito nell’Assemblea Nazionale Costituente, in base alle proposte presentate dai costituenti indigeni.
Noeli ha ricordato le tensioni e le pressioni emerse durante il dibattito per l’Assemblea Nazionale Costituente del ‘99, la determinazione di Chavez nel mantenere la parola data durante la campagna elettorale, e l’appoggio deciso di Nicolas Maduro. “Per tutti questi anni – ha raccontato la dirigente indigena – ho conservato una lettera che mi ha inviato Chavez. La firma si è progressivamente sbiadita, un giorno lui aveva promesso di rifarmela, ma non c’è stato il tempo. La tiro sempre fuori e la rileggo…”. Quando scorrono le immagini dell’ultimo comizio di Chavez, terminato in un’apoteosi di popolo sotto la pioggia, l’emozione è palpabile.
Spiritualità e determinazione, lotta al patriarcato, lotta al capitalismo e all’imperialismo si coniugano negli slogan che cadenzano gli interventi. E’ una risposta forte all’attacco concentrico di cui è bersaglio il paese. Negli spazi dell’incontro, le comunità hanno discusso di quel che sta accadendo in Ecuador, di quel che accade in Brasile, in Colombia e in tutti quei paesi nei quali il cambiamento non è ancora arrivato, e nei quali gli indigeni sono ancora preda di miseria e di violenza. Qui c’è la resistenza tenace di chi non vuole più tornare indietro.
Lo hanno detto forte e chiaro accompagnando l’agenda organizzata a partire dal Foro di Sao Paolo, proseguita con il Congresso dei lavoratori, con quello Internazionale delle donne, che continuerà il 12 con la giornata della resistenza indigena e poi con il Congresso dei popoli indigeni, a cui farà seguito quello delle Comuni, degli Studenti e della Comunicazione popolare. Un fine anno di militanza organizzato dal Partito socialista unito del Venezuela, di cui il MIUVEN costituisce un’articolazione politica nelle comunità originarie.
La ministra Nuñez ha quantificato gli sforzi di questo importante momento unitario che ha riunito 1500 delegati appartenenti a oltre 40 organizzazioni: “E’ sempre difficile raggiungere l’unità nella diversità, per questo oggi abbiamo ottenuto un grande risultato – ha detto fornendo le proporzioni del consenso e le modalità circolari utilizzate per raggiungerlo -: l’approvazione da parte di 42 popoli originari che si sono confrontati a lungo nelle assemblee, ha superato l’80% , i popoli presenti sono 38, e 32 sono i portavoce eletti con i relativi supplenti, donne e uomini, nella direzione nazionale”.
I popoli indigeni hanno così assunto l’impegno di portare a buon fine gli obiettivi del Plan de la Patria, che li responsabilizzano in particolare nella difesa dei territori e nella preservazione della vita del pianeta: per “costruire e far avanzare il modello eco-socialista, fondato nel rispetto dei diritti della Madre Terra”, essendo il socialismo “l’unica opzione contro il modello depredatore, discriminante e insostenibile del capitalismo”. Lo ha ribadito con forza la sindaca Fernandez, assicurando che i popoli indigeni, che vivono “permanentemente alle frontiere” sono un argine antimperialista alle ingerenze e agli attacchi che provengono dalle basi miliari USA.
Lo conferma anche Maria Angela Montel, eletta segretaria supplente nell’organigramma nazionale, che è seduta vicino a noi: “Rimaniamo fermi nel nostro appoggio al proceso bolivariano, nella difesa del territorio e della sovranità contro le aggressioni imperialiste. In questi due giorni abbiamo definito i compiti, i temi e gli spazi riassunti nelle Commissioni: per l’uguaglianza di genere, per la partecipazione dei giovani e dei nostri anziani che animeranno la commissione dei savi. Abbiamo approvato la Commissione Mobilitazione e eventi, Relazioni internazionali e difesa integrale della nazione, Diritti umani, Uguaglianza di genere, Misiones e grandi Misiones socialiste, Terra indigena e ecosocialismo, Educazione propria e interculturale biligue… Abbiamo stabilito le forme di coinvolgimento per i movimenti e le associazioni.
Anche Angela ricorda il cammino di dignità e di inclusione percorso dai popoli indigeni dal 1999. Un percorso che oggi “fa un passo avanti in questo incontro unitario, che si attiva nel PSUV e che mira a dare partecipazione politica piena anche ai piccoli movimenti indigeni. In questa sala – dice Angela -, come puoi vedere, vi sono legislatori, deputati all’Assemblea Nazionale Costituente, dirigenti contadini indigeni, sindaci. Resta, però, molto lavoro da fare sul piano della comunicazione, dobbiamo diffondere i risultati raggiunti sia alle comunità più recondite che all’esterno. Spesso le discriminazioni avvengono per mancanza di conoscenza. Dobbiamo avanzare nella costruzione di un potere politico senza intermediari o padrini politici. Dobbiamo consolidare uno spazio nostro. Penso che occorra disegnare una legge elettorale indigena, perché c’è ancora troppa discriminazione da correggere, dovremmo riunirci appositamente per questo con il CNE. L’ho proposto in assemblea”.
Maduro ha ripreso e elaborato i contenuti del dibattito e le proposte, rivendicando lo spirito di Guaicaipuro che Chavez ha continuato, e congratulandosi per la grande presenza di giovani che lo rinnovano nel presente: “Le radici del nostro movimento, la forza della nostra Repubblica – ha detto – non nascono a Washington o in Europa, ma nel profondo dell’Orinoco. Nascono da Guaicaipuro, dalla cosmovisione indigena, nascono in Venezuela, sono latinoamericane e caraibiche”.
Nella fase attuale – ha detto ancora il presidente – l’obiettivo è di proseguire nell’assegnazione delle terre alle comunità originarie, affinché le rendano produttive e contribuiscano allo sforzo contro la guerra economica. L’obiettivo – ha continuato – “è quello di dare potere ai popoli indigeni. Questo è un venerdì di potere popolare”.
Significativo, perciò, è stato il collegamento con i lavoratori delle imprese basiche della regione di Guayana, una delle più antiche del pianeta, che si trova a Sud dell’Orinoco. Una zona di natura spettacolare e di sviluppo industriale, e di classe operaia organizzata, protagonista delle lotte contro le democrazie camuffate della IV Repubblica. Con la vicepresidente esecutiva Delcy Rodriguez e il ministro del Lavoro Eduardo Piñate, nel Teatro dell’Orinoco di Ciudad Guayana erano presenti rappresentanze operaie dell’industria pesante del ferro, dell’alluminio, e i lavoratori del settore elettrico, in prima fila nell’attacco alla frontiera e nel sabotaggio subiti in questo 2019 dal Venezuela bolivariano.
Lavoratori all’avanguardia in quella che Rodriguez ha definito “la battaglia del Guri”. Lì, nel fiume Caroni, a 100 chilometri dalla confluenza con l’Orinoco, si trova la seconda centrale idroelettrica del mondo, presa di mira a marzo dal sabotaggio elettrico che avrebbe voluto mettere in ginocchio il paese, ma che ha fallito. Dai Consigli operai produttivi parte la riscossa della grande industria. Una riscossa integrale, che coinvolge tutti i settori popolari del Venezuela bolivariano organizzati nel PSUV: i giovani, le donne, i contadini, la milizia, i popoli indigeni. Un’alleanza concreta, determinata e visibile, che sbarra il passo alle costruzioni artificiali imposte dall’imperialismo e dai suoi burattini come Juan Guaidó, l’”autoproclamato” presidente a interim che nelle zone dove vivono i popoli indigeni di Colombia si fanno fotografare con i narcotrafficanti, alleati naturali dei poteri forti.
In certe zone del paese, purtroppo, i latifondisti contrastano con la violenza l’avanzata del potere popolare, e i contadini ne fanno ancora le spese. In altre, emergono le contraddizioni latenti in certe comunità indigene, che rispondono alle sirene del capitalismo, barattando dignità e sovranità territoriale in cambio di denaro. In tempi di crisi, non sempre viene fuori il buono. Ma il dibattito, la partecipazione e il risultato unitario raggiunto dal MIUVEN dimostra una volta di più la forza e la profondità di questa rivoluzione. Un laboratorio di contenuti e forme organizzative, capace di mettere in moto e rendere coscienti settori tradizionalmente esclusi, unendone le aspirazioni a quelle della classe operaia, dei contadini e a quelle dell’esercito del popolo nell’originale coniugazione civico-militare.
Tornando da un viaggio in Vietnam e Corea del Nord compiuto insieme a una delegazione del PSUV, il vicepresidente del partito, Diosdado Cabello, ha lodato la disciplina e la partecipazione di quei popoli che hanno saputo dare una lezione all’imperialismo nel secolo scorso. Stati socialisti con un sistema economico pianificato, impostato quando comunismo, rivoluzione, dittatura del proletariato non erano ancora stati ridotti a una bestemmia. Basare il proprio consenso prevalentemente sul voto, non mettere fuori legge le classi dominanti, che si dedicano a depotenziare tutti i progetti più avanzati del socialismo bolivariano, difficilmente può portare a quel livello di organizzazione sociale che Cabello ha constatato.
Ma, indubbiamente, la forza che ha consentito al proceso bolivariano di resistere a ogni genere di attacco per vent’anni – la coscienza organizzata del popolo -, attinge alla stessa fonte che ha consentito ai vietnamiti di ricostruire di notte quel che l’imperialismo USA distruggeva di giorno.