L’ambasciata USA a La Paz è stata la maggior responsabile e promotrice della destabilizzazione dello Stato Plurinazionale della Bolivia, ha dichiarato il presidente Evo Morales in un tuit pubblicato lo scorso 13 novembre.
Il suo messaggio dice: «Condanniamo la decisione di Trump di riconoscere il governo di fatto, autoproclamato dalla destra. Dopo l’imposizione di (Juan) Guaidó, ora proclama (Jeanine) la Añez. Il colpo di Stato che provoca la morte de miei fratelli boliviani è una cospirazione politica ed economica che viene dagli Stati Uniti».
In un altro messaggio nella stessa rete sociale, pubblicato nel fine settimana ha salutato e ringraziato il Segretario Generale della ONU, António Guterres, che ha nominato il diplomatico Jean Arnault come suo inviato speciale per dialogare con tutte le parti e incontrare soluzioni ai conflitti provocati per la frattura dell’ordine costituzionale in Bolivia.
Jean Arnault, inviato del Segretario Generale della ONU, appena arrivato, ha cominciato a prendere contatto con le autorità del governo della Añez e con le organizzazioni sociali in un tentativo di riportare la pace nel paese.
Nella nazione sudamericana i deputati del partito Movimento Al Socialismo (MAS) hanno annunciato che presenteranno un ricorso di incostituzionalità contro il Decreto Supremo della presidente autoproclamata Jeanine Añez, che toglie alle Forze Armate la responsabilità penale per assassinare e massacrare la popolazione che protesta nelle strade.
«Questo decreto è un licenza d’uccidere. È anti costituzionale», ha precisato la deputata Sonia Brito, riportata dall’agenzia boliviana di notizie Fides.
La Brito ha convocato la polizia e l’esercito a non infrangere lo Stato, il Diritto e la Costituzione Politica dello Stato, perchè sono già state uccise 25 persone.
Inoltre si chiede la libertà immediata dei detenuti ingiustamente, tra i quali dirigenti e autorità elette democraticamente e l’approvazione di una legge da parte dell’Assemblea Legislativa Plurinazionale che garantisca le elezioni nazionali in 90 giorni.
Le forze progressiste formate da indigeni, contadini, minatori e cocaleros hanno dato all’autoproclamata presidente Jeanine Añez 48 ore per dimettersi e mantengono la mobilitazione con il blocco totale delle strade tra i dipartimenti e le province a livello nazionale I dirigenti cocaleros hanno respinto il Decreto Supremo che autorizza i militari a rispondere con attacchi armati e garantisce loro l’impunità giudiziaria e hanno chiesto rispetto per la bandiera indigena, la wiphala.
Come parte della distruzione di ciò che era stato conquistato dalla Bolivia, la cancelliere del governo di fatto, Karen Longaric, ha informato della ritirata del paese dall’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA), e la destituzione del 80% degli ambasciatori designati durante il mandato di Morales.
Tutto fa presumere la disarticolazione dell’integrazione realizzata nel continente.
Oggi la situazione in Bolivia è sempre caotica per via dei blocchi stradali in varie regioni. Mancano i prodotti alimentari nei mercati ed esiste una speculazione nei prezzi con il combustibile che scarseggia; si nota anche un calo nel trasporto dei veicoli.
L’ex vice presidente della Bolivia, Álvaro García Linera, in un articolo d’opinione pubblicato dal quotidiano messicano La Jornada, ha denunciato il maltrattamento ricevuto dai gruppi indigeni, dalla partenza di Evo Morales dal paese, e ha dichiarato: «L’odio razziale è il linguaggio politico di questa classe media tradizionale».