Con le stesse illusioni con cui si giunge per la prima volta al luogo di lavoro che ci accoglierà come lavoratori, la giornalista Martha Rojas giunge ogni giorno, tanto vicina e unita per sempre, da quando era molto giovane, al leader eterno della Rivoluzione Cubana, il Comandante in Capo Fidel Castro.
Noi che l’abbiamo vicina conosciamo bene l’utilità della sua presenza e la gioventù reale che padroneggia.
Uno spirito inquieto e una vocazione volontaria fanno di lei un riferimento permanente per il giornalismo impegnato, e – di più- sappiamo che sostiene la difficile battaglia per mostrare dalle nostre pagine la verità di Cuba, ed è la sua fedeltà a chi fu, tra tanti impegni, fondatore del quotidiano che è da quando è stato creato, l’Organo Ufficiale del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba.
«Avevo sentito parlare di lui per la prima volta e poi in varie occasione nei programmi radiofonici del Partito del Popolo Cubano Ortodosso,ai quali partecipavano Max Lesnik, presidente della Gioventù Ortodossa e altri giovani militanti, ma non fu che fino all’Assalto della caserma Moncada che Fidel ebbe un senso per me», racconta.
«Quel giorno ero a Santiago, appena laureata in giornalismo, e la mattina del 26 di luglio, durante il carnevale, sentíi degli spari, ma credevo che erano i petardi cinesi … Ero assieme a un fotografo (Panchito Cano) della rivista Bohemia, che mi conosceva e mi aveva chiesto di scrivergli una cronaca sul carnevale. In quelle circostanze sentii parlare di Fidel come del capo dell’assalto. Da qual giorno mi proposi di seguire quel tema straordinario.
«Con tenacia e diffidenza riuscii ad andare in settembre al processo nel Tribunale per Direttissima dove dovevano processare Fidel con gli altri compagni sopravvissuti.
Il dottor Baudilio Castellano, avvocato d’ufficio nella Causa 37, che io conoscevo mi aiutò e seppi che era stato compagno di Fidel nell’Università.
Bilito, come gli dicevano, mi presentò ai membri del Tribunale. Io li intervistai e mandai l’articolo alla Bohemia.
Quando parlai con il Tribunale chiesi al presidente, il dottor Piñeiro Osorio, di accreditarmi per il processo, perchè lui stesso aveva detto che “sarebbe stato il processo più grande della storia” per la quantità di accusati che c’era e la per qualità del fatto.
Mise il mio nome nella lista dei giornalisti e il 21 settembre andai nella Sala Generale d’Udienza tra 25 giornalisti accreditati.
Quel giorno fu la prima volta che vidi Fidel a pochi passi da dove mi trovavo con i giornalisti dentro la Sala.
Marta ricorda come una cosa inedita e sensazionale l’impressione che le provò vedendo Fidel per la prima volta.
«Mi aspettavo di vedere un accusato triste e in cattive condizioni e scopersi un giovane elegante, con un vestito blu mare impeccabile e tanto coraggioso che entrando nella Sala, accompagnato da due ufficiali dell’esercito e da un gruppo di militari – senza badare al centinaio e più di soldati con la baionetta innestata che occupavano la Sala oltre al Tribunale – disse con un’enfasi che mi colpì: “non si può giudicare un uomo ammanettato”. Poi disse che era avvocato e si sarebbe rappresentato. M’impressionò tanto quell’immagine e la sua voce, che ancora oggi mi sembra, dopo tanti anni, di sentirlo parlare.
Le sue parole lasciarono perplessi i membri del tribunale e la soldatesca armata. Si ordinò di sospendere la sessione per alcuni minuti e ritirare l’accusato. Poi tornarono e l’ordine fu di togliergli le manette. Fu quel fatto singolare che senza che io lo sapessi, mi trasformò in una fidelista.
Annotai tutto e andai a tutte le udienze sino al 16 ottobre.
Per me la sconfitta della Moncada divenne una vittoria colossale, perché non solo tolsero le manette al principale accusato, ma risposero alla sua seconda e immediata sollecitudine d’assumere la sua stessa difesa.
Fu solo il 16 ottobre che Fidel parlò con lei per la prima volta.
«Aveva terminato la sua arringa /La storia mi assolverà –discorso che poi ricostruì nell’Isola de Pinos e che fu pubblicato clandestinamente, compito affidato a Haydée Santamaría e a Melba Hernández– camminando in quella minuscola sala. Giunse all’angolo in cui stavamo i sei giornalisti accreditati per in qull’udienza Mi chiese: « Hai preso appunti? Ti ho visto anche nell’altra udienza». Gli dissi di sì e lui continuò a parlare. «Ma non te lo pubblicheranno, la censura continua …», e fece un gesto con la mano che significava “per lungo tempo”.
Gli risposi: “Io li conservo…” E lui assentì sorridendo.
Il giorno della sua morte, quando vidi alla televisione che Raúl prendeva il microfono per annunciare il suo decesso, mi venne in
mente quel momento perchè fu così.
Anche se si sa che le cause comuni fraternizzano gli uomini, Marta non parla dell’amicizia di Fidel. «Non ho il coraggio di dire che da quel momento nacque un’amicizia. Lui era troppo grande per farmi questo onore, ma posso dire che sin da allora fu una persona che mi stimava e come Capo della Rivoluzione ebbe sempre gesti delicati con me e mi permise d’accompagnarlo in numerosi viaggi a Cuba e fuori da Cuba come giornalista. Quelle occasioni e quei percorsi per me erano una vera scuola».
Sono molte le fotografie di Fidel che ha Marta. In una Fidel appare in piedi mentre lei, in uno studio della televisione,è seduta nel posto riservato a Fidel.
«Era il 1959, e come in quasi tutti gli anni lui apparve in varie occasioni alla televisione. Non ricordo esattamente il giorno, ma fu in uno degli studi della CMQ nell’edificio Focsa, con giornalisti stranieri e cubani.
In un momento un giornalista straniero gli chiese del comportamento dei combattenti sopravvissuti della Moncada, nel Processo Causa 37, ne quale lui era il principale coinvolto.
«Fidel comincia a rispondere,ma mi vede nello studio tra i giornalisti e mi chiama mentre dice : “Qui c’è una giornalista che lo ha visto tutto. Lei potrà raccontarlo meglio di me, perché mi portarono fuori dal processo”. Si alza e mi offre il suo posto e io ho raccontato quello che era avvenuto in quel processo.
Per me fu un momento impressionante quando che lui mi diede la parola per rispondere a una domanda fatta a lui. Credo d’esserne uscita bene, dato un suo gesto. Quando terminai mi ringraziò. Mi sembrava che lui non volesse parlare di se stesso.
Sono molte le virtù che Marta riconosce in Fidel, ma chiedendole le principali, riassume: «Secondo me l’intelligenza e la sua cultura straordinaria, e anche così gli sembrava imprescindibile apprendere di più, anche dalla gente più semplice; la visione del presente e soprattutto del futuro, l’amabilità, le fermezza dei carattere come dirigente.
Chiedendo a Marta quali sono le prime immagini che le vengono alla mente quando si dice «Fidel» in sua presenza, non può tralasciarne una ch elo avvicina essenzialmente a lei.
« Se si parla di giornalismo, penso nel suo giornalismo, perché credetelo o no avevo scoperto che Fidel è un grande giornalista, rileggendo gli articoli che aveva pubblicato molto giovane nella stampa, e soprattutto conoscendo l’avidità che aveva per l’informazione e la necessità di conoscenza che sentiva in ogni circostanza. Era meticoloso nello scrivere. Ricordo nel quotidiano Revolución e in Granma, che dopo molte ore di lavoro andava a vedere le notizie internazionali e a conversare con i giornalisti sui temi attuali e lo ricordo anche scrivendo. Ha fatto giornalismo prima e durante la Rivoluzione.
Marta assicura di non aver pensato troppo a quello che sente quando si è portatori, come lo è lei, di verità che il mondo ha saputo su Fidel.
«Forse dà più fiducia a una in quello che va a fare».
Non può nemmeno determinare il momento in cui seppe che gli sarebbe stata fedele per la vita. «Non me lo ha proposto. Realmente non ho una risposta. Semplicemente ho agito seguendo la mia coscienza».
Quello che la giornalista ha molto chiaro è il modo in cui Fidel non l’abbandona.
«Vive in me, come in qualsiasi cubano rivoluzionario, ma dato che ho avuto il privilegio di conoscerlo e lavorare molte volte con lui in differenti circostanze, quando vedo cose buone o cose cattive penso a come agirebbe lui».