Chiusura 2019: su chi ricade il fallimento dell’antichavismo?

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L’attuale punto critico dell’opposizione venezuelana compromette ulteriormente la limitata facoltà dei settori politici più reazionari di consolidare un cambio di regime in Venezuela. L’anno 2019 si chiude, per loro, come un nuovo clamoroso naufragio, benché in principio avessero tutte le condizioni per consolidare una deposizione del chavismo.

Innanzitutto, è evidente la scia di frammentazioni politiche che ha lasciato la fallita gestione di Juan Guaidó, che sebbene non abbia significato un esercizio di potere reale in Venezuela, sì si è tradotto nell’ascesa di uno slancio corrotto, che dà ad intendere che l’opposizione venezuelana oggi soddisfa, con ansia, le sue aspirazioni di mettere mano, per anni, alla cosa pubblica.

La trasversale decomposizione politica generata in questo “tutto contro tutti” a Celebrity Deathmatch per accuse di corruzione, suppone lo smantellamento, per mano stessa dell’Assemblea Nazionale, che è stato per la narrativa e la strategia anti-chavista il suo bastione essenziale per arringare le pressioni interne e l’ingerenza esterna

C’è anche il fallito “Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) in esilio”, che recentemente al dover eleggere il suo nuovo consiglio, sono state centro di diatribe, mancanza di quorum, apparizioni via Skype, segnalazione di complicità, corruzione e mestieri correlati.

La disputa ha raggiunto il Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), il suo principale promotore all’estero, che non ha tardato a porre un po’ di combustibile nel conflitto. Almagro si è riferito a “cattive pratiche di cooptazione di potere” in un tribunale fake.

È noto che le frammentazioni e aperti conflitti tra l’opposizione venezuelana sono stati caratteristici della sua idiosincrasia per 20 anni. Tuttavia, la gravità di questi eventi implica, per loro, sedimentare tutte le forme di coesione politica in un momento che, per loro, era stellare e per la politica venezuelana, inedito.

Si dividono in guerre per interessi, proprio quando più pesano sul chavismo le più potenti pressioni e minacce provenienti dal Dipartimento di Stato USA.

TUTTE LE STRADE PORTANO A LEOPOLDO LÓPEZ

 

Il 2019 è stato un altro anno in cui, per patto interno dei partiti anti-chavisti e per le pressioni sponsorizzate dagli USA, il partito Volontà Popolare è tornato a guidare l’opposizione venezuelana, come aveva fatto in precedenza ed in altri naufragi. Vale a dire: gli anni 2014 e 2017, anni di violenza politica e tragici risultati per l’anti-chavismo.

L’ascesa del deputato Juan Guaidó ha avuto anche Leopoldo López come operatore nel backstage, in un’articolazione diretta con gli USA e come modulatore di una serie di pressioni alle forze di opposizione affinché si amalgamassero nella strategia del governo parallelo, nella pressione internazionale e nella promozione della sedizione interna.

Per un settore dei partiti anti-chavisti, l’accettazione riluttante di Guaidó, a gennaio, che già riconoscevano come una frode politica, significava sottoporre l’opposizione ai disegni di López, il capataz promosso dal Dipartimento di Stato, ma che era per altre parti un fallito, assetato e capriccioso stratega.

La disputa per il potere politico in Venezuela è stata combattuta senza successo per l’opposizione sui ponti di Cúcuta (lo stesso giorno delle droghe, prostitute, valigette ed aiuti immaginari). Poi i percorsi di Lopez e la sua cospirazione hanno posto l’intera opposizione sul ponte sopraelevato del distributore Altamira dell’Autostrada Francisco Fajardo nell’atto fallito di aprile, generando, in prosieguo, lo scatenamento di un fallito golpe.

L’operazione di cambio di regime in Venezuela si è operativamente sedimentata all’interno della cosiddetta “Operazione Libertà”, che ha solo significato “libertà” di Lopez nel tragitto sino ad un’ambasciata in aprile, ma che si è tradotto nell’opportunità che il chavismo smantellasse, in modo congruente, molti anelli di un complesso golpista nei settori militari e polizieschi.

Poi ci sono state più pressioni, sanzioni, meccanismi di asfissia commessi contro l’economia venezuelana, poi i tracolli dei beni venezuelani all’estero, e così le missioni “diplomatiche” del governo parallelo si sono aperte il passo mediante la composizione di una ripartizione che è terminata per non essere salomonica.

In tutte queste convergenze e azioni fallite, Leopoldo López figura come epicentro articolatore e fondamentale operatore. Come è apparso nelle parole di Calderón Berti, il deposto “ambasciatore” di Guaidó in Colombia, così come per il deputato anti-chavista José Brito, che hanno puntato contro López per essere anche autore intellettuale di una rapina di risorse e beni.

López è anche autore ed esecutore di una nuova fatalità anti-chavista, punto critico di fallimento politico e discredito.

LA RIELEZIONE DI GUAIDÓ NELL’AN E LA SUA IMPASSE POLITICA

 

L’anno si chiude con una opposizione nuovamente completamente divisa. In Venezuela, non si sono realizzati gli obiettivi essenziali dell’operazione di deposizione del chavismo e ci sono, di fatto, tendenze che potrebbero rimodellare la possibilità che Guaido sia rieletto come presidente dell’AN nel 2020.

Se Guaidó non verrà rieletto in Parlamento, ciò significherebbe un crollo di tutta l’impalcatura che gli USA hanno costruito per modellare il proto-Stato venezuelano all’estero. In altre parole: l’amministrazione Trump dovrà riconoscere la propria strategia come fallita e dovrà spiegare come è che cessa la “presidenza provvisoria” che non è arrivata ad essere.

È noto che l’opposizione venezuelana, attraverso un patto interno, assegna la presidenza del Parlamento tra i suoi principali partiti e forze, essendo questo 2020 l’ultimo anno di questa composizione dell’Emiciclo poiché il turno ricade sui partiti “indipendenti”, affiliati oggi a María Corina Machado.

Tuttavia, è anche noto che l’opposizione venezuelana non ha alcun controllo della sua direzionalità politica. Sono attori di secondo livello grazie ai favori della tutela USA, e questo implica che la presidenza del Parlamento venezuelano, per il prossimo 5 gennaio, si definirà a Washington.

La Casa Bianca dovrà valutare il saldo politico di Guaidó e la possibilità della sua rielezione. Michael Kozak, sottosegretario di Stato USA, in una sorprendente dichiarazione ha detto, lo scorso venerdì 6 dicembre, che l’avallo USA al “presidente ad interim” non è a titolo personale “come persona, ma come presidente eletto dell’ Assemblea Nazionale” e, quindi, al funzionamento della Costituzione. “Sosterremo chiunque occupi quel posto”, ha aggiunto il burocrate.

D’altra parte, il senatore USA Marco Rubio, principale lobbista in tale camera dell’assedio al Venezuela, ha dichiarato che la possibilità della non rielezione di Guaidó è reale. Sul sostegno USA alla presidenza ad interim ha dichiarato: “Riconosciamo l’unica entità democraticamente eletta in Venezuela che è l’AN e rispetteremo la decisione che prendano attraverso il voto”.

Tuttavia, sia le dichiarazioni di Kozak che di Rubio non devono essere confuse come una delimitazione del sostegno a Guaido. Kozak ha affermato che “ho molte ragioni per sospettare che sarà il presidente ad interim Juan Guaidó”, mentre Rubio ha preferito la via dell’adulazione del deputato venezuelano: “Penso che abbia fatto un gran lavoro in un momento molto difficile, ma la decisione di chi sarà il suo leader è basato sul voto che prendano i deputati eletti democraticamente”, ha evidenziato.

I “sospetti” di Kozak probabilmente finiranno per essere veri.

In tale contesto, per l’opposizione venezuelana la continuità di Guaidó si definirà come un denominatore di pragmatismo, ma gli attiene il destino del denaro e dei beni congelati alla Repubblica all’estero così come per altre fonti di sostegno finanziario USA che starebbero sminuendo l’intorno di Guaidó senza la “giusta ripartizione”.

Senza Guaidó, sarebbe necessario progettare un’altra infrastruttura per il flusso di denaro e, oltre a ciò, bisognerebbe manovrarla con il costo politico di promuovere un altro presidente “provvisorio” dal nulla. Ciò lega Guaidó alla prima sedia dell’Emiciclo.

Ciò significa per il Venezuela che il 2020, attraverso lo stallo politico generato dalla oppressiva presenza di Guaidó come riferimento istituzionale e parallelo, significherà un incrudimento della trama di asfissia del paese. Ciò, alla vigilia di nuove elezioni parlamentari che, sebbene debbano essere date per scontate, è possibile che soffrano un’agenda di deturpazione a causa del ruolo aperto dell’amministrazione Trump sia nel fare pressione sull’opposizione venezuelana, sia nella sua agenda di cambio di regime. e smantellamento dei poteri nazionali.

In tale contesto, la possibilità di andare alle elezioni o meno e le condizioni in cui si svolgano dipenderà dal livello di funzionalità che queste abbiano per gli USA, il che implica la possibilità di un prolungamento del ciclo di perplessità politica attuale, che sarebbe rafforzata da una parte dell’opposizione ordinata dagli USA a non dialogare e, forse, a non misurarsi.

Lo stato della leadership anti-chavista, all’ombra di Guaidó e Leopoldo López, è in totale deplorevole.

L’anno 2019 si chiude come un anno politicamente ed economicamente molto costoso per i venezuelani. Il ciclo di assalto al potere nazionale avviato dall’Assemblea Nazionale, dalla sua riconfigurazione nelle elezioni del 2015, ha raggiunto ad oggi livelli insospettati, e già quasi nel tratto finale di questo periodo è indicibile il pronostico di un’agenda erratica che, all’unisono del blocco attuale, flirta con colpi di stato e promozione del conflitto interno.

La domanda che rimane per l’anti-chavismo ed i suoi partiti sta nella possibilità che il 2020 sia un altro anno sotto il coordinamento di López e del suo office boy Juan Guaidó, con tutto ciò che questo implica. Sebbene non mancano riferimenti e scoperte che una tal cosa possa essere un’idea terribile e costosa, ciò sarebbe un altro episodio del suo destino inesorabile di essere una forza politica senza la capacità di dirigere se stessa.


CIERRA 2019: ¿EN QUIÉNES RECAE EL FRACASO DEL ANTICHAVISMO?

 

El actual punto crítico de la oposición venezolana compromete más todavía la limitada facultad de los sectores políticos más reaccionarios en consolidar un cambio de régimen en Venezuela. El año 2019 cierra para ellos como un nuevo estrepitoso naufragio, aunque en principio tuvieran todas las condiciones para consolidar una deposición del chavismo.

Primero, es evidente la estela de fragmentaciones políticas que ha dejado la fallida gestión de Juan Guaidó, que aunque no ha significado un ejercicio de poder real en Venezuela, sí se ha traducido en el auge de un ímpetu corrupto, que da a entender que la oposición venezolana hoy sacia de manera ansiosa sus aspiraciones de ponerle mano durante años a la cosa pública.

La descomposición política transversal generada en este “todos contra todos” a lo Celebrity Deathmatch por señalamientos de corrupción, suponen el desmantelamiento por mano propia de la Asamblea Nacional, que ha sido para la narrativa y estrategia antichavista su bastión esencial para arengar las presiones internas y la injerencia externa.

Tiene también lugar el fallido “Tribunal Supremo de Justicia (TSJ) en el exilio”, quienes recientemente al tener que elegir a su nueva directiva, fueron centro de diatribas, falta de quórum, apariciones vía Skype, señalamientos de complicidad, corrupción y menesteres afines.

La disputa alcanzó al Secretario General de la Organización de Estados Americanos (OEA), su principal promotor en el extranjero, quien no tardó en colocarle algo de combustible al conflicto. Almagro se refirió a “malas prácticas de cooptación de poder” en el tribunal fake.

Es sabido que las fragmentaciones y conflictos abiertos entre la oposición venezolana han sido característicos de su idiosincracia durante 20 años. Sin embargo, la gravedad de estos eventos implica para ellos sedimentar toda forma de cohesión política en un momento que para ellos era estelar, y para la política venezolana, inédito.

Se dividen en guerras por intereses, justo cuando más pesan sobre el chavismo las presiones y amenazas más poderosas emanadas desde el Departamento de Estado norteamericano.

TODOS LOS CAMINOS CONDUCEN A LEOPOLDO LÓPEZ

2019 fue otro año en el que, por pacto interno de los partidos antichavistas y por presiones patrocinadas desde Estados Unidos, el partido Voluntad Popular volvió a timonear a la oposición venezolana, tal como lo había hecho anteriormente y en otros naufragios. A saber: los años 2014 y 2017, años de violencia política y trágicos resultados para el antichavismo.

El ascenso del diputado Juan Guaidó también tuvo a Leopoldo López como operador tras bastidores, en una articulación directa con los estadounidenses y como modulador de un conjunto de presiones a las fuerzas opositoras para que se amalgamaran en la estrategia del gobierno paralelo, la presión internacional y la promoción de la sedición interna.

Para un sector de los partidos antichavistas, la aceptación a regañadientes de Guaidó en enero, al cual ya reconocían como un fraude político, significaba someter a la oposición a los designios de López, el capataz promovido desde el Departamento de Estado, pero que era para otros partidos un fracasado, sediento y temperamental estratega.

La disputa por el poder político en Venezuela se peleó sin éxito para la oposición en los puentes en Cúcuta (el mismo día de las drogas, prostitutas, maletines y ayudas imaginarias). Luego los derroteros de López y su conjura pusieron a la oposición toda en el puente elevado del distribuidor Altamira de la Autopista Francisco Fajardo en el acto fallido de abril, generándose el desencadenante de un golpe fallido en sucesivo.

La operación de cambio de régimen en Venezuela se sedimentó operativamente puertas adentro desde la llamada “Operación Libertad”, que solo significó la “libertad” de López en el trayecto hasta una embajada en abril, pero que se tradujo en la oportunidad de que el chavismo desmantelara congruentemente muchos eslabones de una componenda golpista en los sectores castrenses y policiales.

Luego vinieron más presiones, sanciones, mecanismos de asfixia cometidos contra la economía venezolana, luego los descalabros a los bienes venezolanos en el extranjero, y así las misiones “diplomáticas” del gobierno paralelo se abrieron paso mediante la composición de una repartija que terminó por no ser salomónica.

En todas estas convergencias y acciones fallidas, figura Leopoldo López como epicentro articulador y operador fundamental. Tal como apareció en las palabras de Calderón Berti, el depuesto “embajador” de Guaidó en Colombia, así como por el diputado antichavista José Brito, quienes enfilaron contra López por ser también autor intelectual de una rapiña sobre recursos y bienes.

López es también autor y ejecutor de una nueva fatalidad antichavista, punto crítico de fracaso político y descrédito.

LA REELECCIÓN DE GUAIDÓ EN LA AN Y SU ATOLLADERO POLÍTICO

El año termina con una oposición nuevamente dividida a plenitud. En Venezuela no se cumplieron los objetivos esenciales de la operación de deposición del chavismo y hay, de hecho, tendencias que podrían remodelar la posibilidad de que Guaidó sea reelecto como presidente de la AN en 2020.

Si Guaidó no es reelecto en el Parlamento, significaría un descalabro para todo el andamiaje que Estados Unidos ha construido para darle forma al proto-Estado venezolano en el extranjero. Dicho de otra manera: la Administración Trump tendrá que reconocer su estrategia como fallida y deberá explicar cómo es que cesa la “presidencia interina” que no llegó a ser.

Es sabido que la oposición venezolana, mediante pacto interno, cede la presidencia del Parlamento entre sus principales partidos y fuerzas, siendo este 2020 el último año de esta composición del Hemiciclo ya que el turno recae sobre partidos “independientes”, afiliados hoy a María Corina Machado.

Sin embargo, es también sabido que la oposición venezolana no tiene control de su direccionalidad política. Son actores de segundo nivel gracias a los favores del tutelaje estadounidense, y ello implica que la presidencia del Parlamento venezolano para el próximo 5 de enero se definirá en Washington.

La Casa Blanca tendrá que calibrar el saldo político de Guaidó y la posibilidad de su reelección. Michael Kozak, subsecretario de Estado de Estados Unidos, en una sorpresiva declaración dijo la tarde del pasado viernes 6 de diciembre que el aval de Estados Unidos al “presidente interino” no es a título personal, “como persona, sino como presidente electo de la Asamblea Nacional” y, por lo tanto, al funcionamiento de la Constitución. “Apoyaremos a cualquiera que ocupe ese puesto”, agregó el burócrata.

Por otro lado, el senador estadounidense Marco Rubio, principal lobbista en esa cámara del asedio a Venezuela, ha declarado que la posibilidad de la no reelección de Guaidó es real. Sobre el apoyo estadounidense a la presidencia interina declaró: “Nosotros reconocemos la única entidad democráticamente electa en Venezuela que es la AN, y vamos a respetar la decisión que hagan a través del voto”.

Sin embargo, tanto las declaraciones de Kozak como las de Rubio no deben confundirse como un deslinde del apoyo a Guaidó. Kozak indicó que “tengo muchas razones para sospechar que será el presidente interino Juan Guaidó”, mientras que Rubio prefirió la vía de los halagos al diputado venezolano: “Creo que ha hecho una gran labor a través de un momento muy difícil, pero la decisión de quién va a ser su líder está basada en el voto que tomen los diputados electos democráticamente”, destacó.

Las “sospechas” de Kozak muy probablemente terminarán siendo ciertas.

En ese contexto, para la oposición venezolana la continuidad de Guaidó se definirá como un denominador de pragmatismo, pero les concierne el destino del dinero de los bienes congelados a la República en el extranjero así como otras fuentes de apoyo financiero estadounidense que estarían menoscabándose en el entorno de Guaidó sin la “justa” repartija.

Sin Guaidó, tendría que diseñarse otra infraestructura de flujo de dinero y además de ello habría que maniobrarla con el costo político de promover a otro presidente “interino” de la nada. Eso ata a Guaidó a la primera silla del Hemiciclo.

Esto supone para Venezuela que en 2020, mediante el estancamiento político generado por la oprobiosa presencia de Guaidó como referente institucional y paralelo, supondrá un recrudecimiento de la trama de asfixia del país. Esto, en las vísperas de nuevas elecciones parlamentarias que, aunque deben darse por hecho, es posible que sufran una agenda de desfiguración por el rol abierto que tiene la Administración Trump tanto en cabildear a la oposición venezolana, como en su agenda de cambio de régimen y desmantelamiento de los poderes nacionales.

En ese contexto, la posibilidad de ir a elecciones o no y las condiciones en que tengan lugar, dependerá del nivel de funcionabilidad que estas tengan para los norteamericanos, lo que infiere la posibilidad de una prolongación del ciclo de perplejidad política actual, que sería aupada por una parte de la oposición ordenada por Estados Unidos a no dialogar y, quizás, a no medirse.

El estado del liderazgo antichavista, a la sombra de Guaidó y Leopoldo López, es en suma deplorable.

El año 2019 termina como un año política y económicamente altamente costoso para los venezolanos. El ciclo de embestida al poder nacional iniciado por la Asamblea Nacional desde su reconfiguración en las elecciones de 2015 alcanzó a la fecha niveles insospechados, y ya casi en la recta final de este período es indecible el pronóstico de una agenda errática que, al unísono del bloqueo vigente, coquetea con golpes de Estado y promoción del conflicto interno.

La pregunta que queda para el antichavismo y sus partidos yace en la posibilidad de que 2020 sea otro año bajo la coordinación de López y su office boy Juan Guaidó, con todo lo que ello implica. Aunque no faltan referentes y hallazgos de que tal cosa podría ser una terrible y costosa idea, sería ese otro episodio de su destino inexorable por ser una fuerza política sin capacidad de dirigirse a sí misma.

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