A Cuba si violano i diritti umani ?

Michel E. Torres Corona  http://razonesdecuba.cu

Una delle fondamentali correnti di opinione che fungono da nucleo ed asse delle campagne mediatiche contro Cuba, è che nel nostro paese si violano i diritti umani.

Molte persone, senza nemmeno sapere cosa significhi questa espressione, la ripetono al fine di giustificare i loro pregiudizi contro la “feroce dittatura comunista”. Altri, conoscendo il significato storico e giuridico di questi diritti, usano questa ed altre frasi dello stesso stile come punta di lancia in filippiche di travisamento e manipolazione.

È valido chiarire che, in linea di principio, i diritti umani costituiscono un pleonasmo.

Per coloro che comprendono che ogni diritto è una situazione giuridica di potere, che a sua volta comporta per gli altri un dovere o responsabilità parlare di diritti al di fuori dell’ “umano” è una sciocchezza. Naturalmente, ci sono teorie che derivano da una concezione “biocentrista”, che insiste nel garantire personalità giuridica agli animali, alberi o alla natura nel suo insieme. Ma è ovvio che questo, più che una formula tecnica, parte da un discorso etico verso la cura dell’ambiente.

Al centro della Diritto come sistema ci sono i comportamenti umani e le aspettative che, a partire da essi, si stabiliscono. È un fenomeno socioculturale e storico, intrinsecamente legato all’esercizio del potere politico. Queste aspettative comportamentali vengono poi formalizzate in norme giuridiche.

E allora perché usare il termine “diritti umani”?

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata il 10 dicembre 1948, fu il prodotto dell’ultima guerra mondiale che ha sofferto il XX secolo. Le sue intenzioni più significative erano di promuovere e generalizzare il rispetto per determinate qualità umane (vita, dignità, libertà, ecc.), indipendentemente dallo status civico, politico o sociale delle persone.

Si parlava allora di “diritti umani” per denominare quei diritti (valga la ridondanza) che erano inerenti ad un essere umano, che gli erano riconosciuti a livello internazionale per il semplice fatto di nascere. Si distinguevano da altri diritti, come civili o politici, che procedevano dal suo riconoscimento legale, per indirizzarli come una categoria giuridica immanente alla condizione umana.

Dietro la sua costruzione primordiale, possiamo trovare un riverbero delle correnti iusnaturaliste, che in senso generale coincidevano nell’elaborare un sistema duale del Diritto: da un lato, le norme create dallo Stato (dicasi, l’ordinamento giuridico di un paese); e d’altra parte, un insieme di norme, che non dipendevano da quell’ “esercizio del potere politico”, ma che provenivano da “un’altra” fonte.

Quell’altra fonte fu, per molti anni, “il divino”.

Questo si stava quindi evolvendo sulla base di altre percezioni, come quelle dei filosofi dell’Illuminismo francese, che trovavano nel Diritto Naturale un modo per correggere le ingiustizie della Diritto Umano. Cioè, cercavano meccanismi che andavano al di là del legale per giustificare valori come la giustizia o la ricerca della felicità.

Il positivismo giuridico, che fu una reazione al giusnaturalismo, si staccò da tutte quelle “elucubrazioni filosofiche” e andò pianificando la tesi secondo cui il Diritto era una creazione umana. Tuttavia, questa corrente andò derivando in un normativismo (vid. Hans Kelsen e altri), che persino giunse a negare, nelle sue posizioni più estreme, qualsiasi influenza sociale o etica al corpus normativo di un paese.

Forse l’esempio più infame di questa logica giuridica ce lo offre l’Olocausto.

Molti dei giuristi del regime nazista protestarono più per la gerarchia normativa che per il genocidio degli ebrei. In definitiva, i campi di concentramento e la segregazione razziale nel suo insieme furono strettamente legali.

A ciò rispose anche la logica dei diritti umani. Era un modo di rompere con quella forma normativista di assumere il Diritto come sistema e dare vigore all’analisi etica dell’applicazione della legge, alle critiche su ciò che era stabilito dal potere politico.

Tuttavia, quello che inizialmente fu un vero salto qualitativo nei propositi dell’umanità per la rivendicazione dei diritti elementari delle persone, oggi ha portato ad un discorso formalistico e cinico.

Nel 1979, Fidel parlò all’ONU: «Spesso si parla di diritti umani, ma bisogna anche parlare di diritti dell’umanità. Perché alcuni popoli devono camminare scalzi affinché altri viaggino in auto di lusso? Perché alcuni devono vivere 35 anni affinché altri vivano 70? Perché alcuni devono essere miseramente poveri affinché altri siano esageratamente ricchi? Parlo a nome dei bambini che nel mondo non hanno un pezzo di pane; parlo a nome dei malati che non hanno medicine; parlo a nome di coloro a cui è stato negato il diritto alla vita ed alla dignità umana”.

La logica liberale insiste nel vedere i diritti umani dal prisma individualista. Tuttavia, i grandi problemi economici e sociali del pianeta sono il principale impedimento affinché miliardi di persone godano appieno dei diritti che, agiatamente, ostentano i cittadini delle nazioni del Primo Mondo.

E a Cuba, abbiamo diritti umani?

Cuba è Stato Parte in 44 strumenti internazionali per la protezione di questi diritti, tra i quali spicca la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, la cui precisa applicazione non dovrebbe che essere approfondita.

Basta guardare la realtà quotidiana del nostro paese e inserirla nel contesto dell’America Latina: quanti bambini cubani muoiono, ogni anno, lavorando nelle miniere? quanti bambini cubani dormono nelle strade? quanti bambini cubani vengono assassinati per vendere i loro organi vitali? quanti bambini cubani muoiono, ogni anno, per malattie curabili?

Questi rilevanti risultati nella cura e sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza sono riconosciuti a livello internazionale, incluse le Agenzie, Fondi e Programmi che affrontano temi sociali (vedasi UNICEF Cuba)

Cuba è, inoltre, l’unico paese dell’America Latina e dei Caraibi che è riuscito a raggiungere tutti gli obiettivi globali dell’Educazione per Tutti nel periodo 2000-2015, meta raggiunta solo da un terzo delle nazioni del mondo. E secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è il paese meglio attrezzato per numero di medici per abitante, godendo, quest’ultimo, di cure universali e gratuite. [1]

Questo significa che Cuba non ha cose da migliorare?

Certo che no. Nell’ultimo EPU (Esame Periodico Universale) a cui è stato sottoposto il nostro paese, ci sono state fatte un gruppo di considerazioni e raccomandazioni che sono state accettate per una successiva attuazione. Sottolinea, ad esempio, che ci è stato segnalato l’alto numero di aborti eseguiti.

È noto che, a Cuba, l’aborto legale è un diritto inalienabile delle donne; tuttavia, il suo uso eccessivo deve essere oggetto di attenzione delle politiche pubbliche che promuovono l’aborto come risorsa di ultima ratio e non come un ulteriore metodo contraccettivo.

Ma ci sono quelli che, per ignoranza o malafede, insistono nel recriminare e demonizzare la situazione dei diritti umani sull’isola. Rifiutandosi di vedere i molti successi di Cuba in questa materia, o minimizzandoli come qualcosa di “normale” (come se nel resto del mondo lo fosse, non solo nelle potenze capitaliste), travisando fatti e vere carenze del nostro ordinamento giuridico per mostrare solo le macchie, mai la luce.

Con il famigerato caso di José Daniel Ferrer (sì, quello che dà capocciate contro una scrivania) si è tentato di accusare Cuba di violare i diritti umani, in particolare, in relazione al “giusto processo”.

È logico che si consideri il diritto alla difesa legale dal momento della detenzione come una materia pendente della nostra legislazione. Attualmente, una persona può essere detenuta per un massimo di sette giorni senza un avvocato. Ciò, a seguito della nuova Costituzione, deve essere emendato da una Legge di Procedura Penale che fornisca maggior solidità alle garanzie processuali degli imputati.

In futuro, de lege ferenda (sulla legge che deve essere proposta o emanata ndt) , sarebbe consigliabile anche la creazione di un giudice di istruzione o di garanzie costituzionali, che assumesse il ruolo oggi svolto dalla procura, in qualità di arbitro del processo di indagine.

Tuttavia, in un continente dove ci sono centinaia di giovani che hanno perso un occhio manifestando e dove si assassina, tortura e reprime con ferocia; in un mondo in cui un miliardo di persone non hanno nemmeno il diritto alla vita; parlare di “violazioni dei diritti umani” a Cuba è una terribile leggerezza.

Che le leggi cubane siano perfettibili (come lo sono ovunque) non convalida tale tipo di giudizi.

E il caso di Ferrer è uno in cui sono state rispettate tutte le regole del giusto processo a Cuba. Oggi è in detenzione provvisoria, in attesa di processo per un crimine di lesioni. Il suo destino sarà deciso dai tribunali cubani.

La Rivoluzione cubana come progetto politico di emancipazione e giustizia sociale, ha trovato nel socialismo un sistema economico che funge da base per una vita in una società che non contribuisca alla disuguaglianza ed all’oppressione delle maggioranze da parte di élite ricche e potenti.

Nonostante i suoi difetti,nonostante le sue carenze materiali, nonostante tutte le enormi problematiche sociali che affrontiamo, nonostante tutto l’indurimento di quel vero atto di violazione, flagrante e massiccio, dei diritti umani che è il blocco USA; al di là di tutto ciò, il socialismo cubano costituisce una garanzia per il godimento dei diritti umani.

Cambiamo tutto ciò che deve essere cambiato, ma non perdiamo mai la bussola né lasciarci ingannare da coloro che ripetono come un ritornello che a Cuba “si violano i diritti umani”.

[1] Siamo l’unico paese che ha ricevuto la certificazione dell’OMS per aver eliminato la trasmissione madre-figlio dell’HIV e della sifilide.


¿En Cuba se violan los Derechos Humanos?

Por Michel E. Torres Corona

Una de las fundamentales matrices de opinión, que funcionan como núcleo y eje de las campañas mediáticas contra Cuba, es que en nuestro país se violan los DDHH.

Mucha gente, sin saber siquiera qué significa esta expresión, la repiten en aras de vindicar sus prejuicios contra la “feroz dictadura comunista”. Otros, a sabiendas de la significación histórica y jurídica de estos derechos, utilizan esta y otras frases al estilo como punta de lanza en elaboradas parrafadas de tergiversación y manipulación.

Es válido aclarar que, en principios, los derechos humanos constituyen un pleonasmo.

Para los que entienden que todo derecho es una situación jurídica de poder, que a su vez entraña para los otros un deber o responsabilidad, hablar de derechos fuera de lo “humano” es un sinsentido. Claro, existen teorías que se derivan de una concepción “biocentrista”, que insiste en otorgar personalidad jurídica a animales, árboles o a la naturaleza en su conjunto. Pero es obvio que ello, más que una fórmula técnica, parte de un discurso ético hacia el cuidado del medio ambiente.

En el centro del Derecho como sistema se hallan las conductas humanas y las expectativas que a partir de ellas se establecen. Es un fenómeno sociocultural e histórico, intrínsecamente vinculado al ejercicio del poder político. Estas expectativas conductuales son luego formalizadas en normas jurídicas.

¿Y por qué usar entonces el término “derechos humanos”?

La Declaración Universal de los Derechos Humanos, aprobada un 10 de diciembre de 1948, fue el producto de la última Guerra Mundial que padeció el siglo XX. Sus intenciones más significativas eran las de promover y generalizar el respeto a determinadas cualidades humanas (la vida, la dignidad, la libertad, etc.), independientemente del status cívico, político o social de las personas.

Se hablaba entonces de “derechos humanos” para denominar a esos derechos (valga la redundancia) que eran inherentes a un ser humano, que se le reconocían de manera internacional por el mero hecho de nacer. Se distinguían de otros derechos, como los civiles o los políticos, que procedían de su reconocimiento legal, para abordarlos como una categoría jurídica inmanente a la condición humana.

Detrás de su construcción prístina, podemos hallar un resabio de las corrientes iusnaturalistas, que en sentido general coincidían en elaborar un sistema dual del Derecho: por un lado, las normas creadas por el Estado (dígase, el ordenamiento jurídico de un país); y del otro lado, un conjunto de normas, que no dependían de ese “ejercicio de poder político”, sino que procedían de “otra” fuente.

Esa otra fuente fue, durante muchos años, “lo divino”.

Ello fue luego evolucionando en función de otras percepciones, como las de los filósofos de la Ilustración francesa, que hallaban en el Derecho Natural una manera de corregir las injusticias del Derecho Humano. O sea, buscaban mecanismos que iban más allá de lo legal para justificar valores como la justicia o la búsqueda de la felicidad.

El positivismo jurídico, que fue una reacción al iusnaturalismo, se desprendió de todas esas “elucubraciones filosóficas” y fue planteando la tesis de que el Derecho era una creación humana. Sin embargo, esta corriente fue derivando en un normativismo (vid. Hans Kelsen et alia), que incluso llegó a negar, en sus posturas más extremas, cualquier influjo social o ético al corpus normativo de un país.

Quizás el ejemplo más infame de esta lógica jurídica nos lo brinde el Holocausto.

Muchos de los juristas del régimen nazi protestaron más por la jerarquía normativa que por el genocidio de judíos. En definitiva, los campos de concentración y la segregación racial en su conjunto, fueron estrictamente legales.

A ello también respondió la lógica de los DDHH. Era una manera de romper con esa forma normativista de asumir el Derecho como sistema, y de dar bríos al análisis ético de la aplicación de la ley, a los cuestionamientos de lo establecido desde el poder político.

No obstante, lo que un principio fue un verdadero salto cualitativo en los propósitos de la humanidad por vindicar derechos elementales de las personas, ha derivado hoy en un discurso formalista y cínico.

En 1979, Fidel hablaba ante la ONU: «Se habla con frecuencia de los derechos humanos, pero hay que hablar también de los derechos de la humanidad. ¿Por qué unos pueblos han de andar descalzos para que otros viajen en lujosos automóviles? ¿Por qué unos han de vivir 35 años para que otros vivan 70? ¿Por qué unos han de ser míseramente pobres para que otros sean exageradamente ricos? Hablo en nombre de los niños que en el mundo no tienen un pedazo de pan; hablo en nombre de los enfermos que no tienen medicinas; hablo en nombre de aquellos a los que se les ha negado el derecho a la vida y la dignidad humana.»

La lógica liberal insiste en ver a los DDHH desde el prisma individualista. Sin embargo, los grandes problemas económicos y sociales del planeta son el principal óbice para que miles de millones de personas disfruten a plenitud de los derechos que, holgadamente, ostentan los ciudadanos de naciones primermundistas.

Y en Cuba, ¿tenemos derechos humanos?

Cuba es Estado Parte en 44 instrumentos internacionales de protección a estos derechos, entre la que destaca la Convención sobre los Derechos del Niño, de cuya aplicación certera no habría que ahondar.

Basta con mirar a la realidad cotidiana de nuestro país, y colocarla en el contexto de América Latina: ¿cuántos niños cubanos mueren cada año trabajando en minas? ¿cuántos niños cubanos duermen en las calles? ¿cuántos niños cubanos son asesinados para vender sus órganos vitales? ¿cuántos niños cubanos mueren cada año de enfermedades curables?

Estos relevantes logros en la atención y desarrollo de la infancia y la adolescencia, son reconocidos a nivel internacional, incluidas las Agencias, Fondos y Programas de las Naciones Unidas que atienden temas del ámbito social (véase Unicef Cuba)

Cuba es, además, el único país de América Latina y el Caribe que logró cumplir la totalidad de los objetivos globales de la Educación para Todos en el período 2000–2015, meta alcanzada apenas por un tercio de las naciones del orbe. Y según la Organización Mundial de la Salud, es el país mejor dotado en el número de médicos por habitantes, gozando estos últimos de atención universal y gratuita.[1]

¿Quiere decir esto que Cuba no tienes cosas que mejorar?

Por supuesto que no. En el último EPU (Examen Periódico Universal) al que se sometió nuestro país, se nos hicieron un grupo de consideraciones y recomendaciones que fueron aceptadas para su posterior implementación. Destaca, por ejemplo, que se nos señaló el alto número de abortos realizados.

Es conocido que, en Cuba, el aborto legal es un derecho inalienable de la mujer; sin embargo, su uso desmedido debe ser objeto de atención de políticas públicas, que promuevan al aborto como un recurso de ultima ratio y no como un método anticonceptivo más.

Pero existen los que, por desconocimiento o por mala fe, insisten en recriminar y satanizar la situación de DDHH en la isla. Negándose a ver los muchos logros de Cuba en esta materia, o minimizándolos como algo “normal” (como si en el resto del mundo lo fuese, no solo en las potencias capitalistas), tergiversan hechos y verdaderas falencias de nuestro ordenamiento jurídico para mostrar solo las manchas, nunca la luz.

Con el infame caso de José Daniel Ferrer (sí, ese que se da cabezazos contra un buró) se intentó acusar a Cuba de violar derechos humanos, específicamente, con relación al “debido proceso”.

Es lógico que se considere al derecho a la defensa letrada desde el momento de la detención como una asignatura pendiente de nuestra legislación. En la actualidad, una persona puede estar detenida hasta siete días sin un abogado. Ello, a raíz de la nueva Constitución, debe ser enmendado por una Ley de Procedimiento Penal que brinde mayor solidez a las garantías procesal de los encausados.

A futuro, de lege ferenda, sería aconsejable también la creación de un juez de instrucción o de garantías constitucionales, que asumiera el rol que hoy desempeña la fiscalía, como árbitro del proceso de investigación.

Empero, en un continente donde hay centenares de jóvenes que perdieron un ojo manifestándose y donde se asesina, tortura y reprime con ferocidad; en un mundo donde mil millones de personas no tienen siquiera derecho a la vida; hablar de «violación de derechos humanos» en Cuba es una terrible frivolidad.

Que las leyes cubanas sean perfectibles (como lo son en todas partes) no valida ese tipo de juicios.

Y el caso de Ferrer es uno en el que se respetaron todas las reglas del debido proceso en Cuba. Hoy, está en prisión provisional, en espera de juicio por un delito de lesiones. Su suerte la decidirán los tribunales cubanos.

La Revolución cubana como proyecto político de emancipación y justicia social, halló en el socialismo un sistema económico que sirve de base para una vida en sociedad que no tribute a la desigualdad y a la opresión de mayorías por élites pudientes y empoderadas.

Con todo y sus defectos, con todo y sus carencias materiales, con todo y las enormes problemáticas sociales que afrontamos, con todo y el recrudecimiento de ese verdadero acto violatorio, flagrante y masivo de DDHH que es el bloqueo estadounidense; con todo y ello, el socialismo cubano constituye una garantía para el disfrute de los DDHH.

Cambiemos todo lo que deba ser cambiado, pero no perdamos jamás la brújula ni nos dejemos engañar por esos que repiten como estribillo aquello de que en Cuba “se violan derechos humanos”.

[1] Somos el único país que ha recibido la certificación de la OMS por haber eliminado la transmisión de madre a hijo del VIH y la sífilis.

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