Il 15 gennaio di ogni anno si festeggia a Cuba il giorno della scienza cubana. Una ricorrenza che ha origine dalla frase iconica e visionaria pronunciata da Fidel Castro sul “futuro di uomini di scienza e di pensiero” il 15 gennaio 1960 (appena un anno dopo il trionfo della Rivoluzione e un anno prima della campagna di alfabetizzazione, quando il paese aveva il 25% di analfabeti) perché il nostro Paese ed il resto del mondo avrebbero molto da imparare da quel processo in continua evoluzione rappresentato dalla Rivoluzione cubana.
La scienza è certamente uno degli indicatori dello sviluppo di Cuba, un fiore all’occhiello di una Rivoluzione che ha dovuto misurare le sue ambizioni con un blocco economico, commerciale e finanziario inumano ed anacronistico in vigore dal 1961 ad opera degli Stati Uniti. Un blocco che, con la presidenza Trump, è stato ulteriormente accentuato e che ha esteso i suoi effetti extraterritoriali, con il complice accennato borbottio di europei, canadesi e giapponesi.
È un dato di fatto che gli indicatori di salute a Cuba, tra i migliori al mondo, sono stati raggiunti in un tempo breve, con risorse materiali limitate e in un contesto di ostilità e aggressività economica esterna (Lage A, Science and challenges for Cuban public health in the 21st century. MEDICC Rev, 2019;21:7–14). Nel 1960, l’aspettativa di vita era 63 anni e la mortalità infantile stimata in 34.8/1000 nati. I dati relativi al 2017 registrano un’aspettativa di vita alla nascita di più di 79 anni (7 in più della media globale, 3 in più dell’America Latina), una mortalità infantile di 4/1000 nati (più bassa che negli USA) e un medico ogni 122 abitanti, uno dei rapporti medico/abitante più alti nel mondo.
Non basta: “Save the Children” già nel 2010 definì Cuba il luogo migliore dove essere madre; nel 2015 l’OMS definì Cuba il primo paese al mondo ad aver eliminato la trasmissione madre-figlio di HIV e sifilide (si tenga conto anche che da poche settimane viene distribuito il vaccino sperimentale cubano anti-HIV, che promette risultati di assoluto livello ndr) elogiando come esempio per tutto il mondo il sistema sanitario cubano basato sulla medicina preventiva; nel febbraio 2019, Bloomberg ha incluso Cuba tra i 30 paesi più sani al mondo (più in alto di tutta l’America Latina ma anche degli USA). E la lista potrebbe non finire qui.
Cuba rappresenta quindi un’eccezione alla classica correlazione tra indicatori di salute e PIL. La dissociazione di questi due fattori appare ancora più evidente durante il “Periodo Speciale”, iniziato nel 1991 con la scomparsa della URSS (e che ha segnato la “vittoria” del capitalismo neo-liberale sui progetti socialisti e la confusione mondiale delle sinistre) quando il PIL si è ridotto del 35-40%. I modelli convenzionali avevano predetto che gli indicatori di salute si sarebbero deteriorati (cosa che di fatto avvenne nei paesi dell’Est e in Russia). Eppure, a Cuba ciò non avvenne. Quello che è accaduto dopo la rivoluzione del ‘59 rappresenta perciò un fenomeno fuori dagli schemi che merita di essere approfondito.
C’è un aspetto di Cuba ancora poco conosciuto (e volutamente oscurato dalla propaganda internazionale), quello della creazione di un sistema sanitario e scientifico al livello dei Paesi avanzati. La giovanissima dirigenza rivoluzionaria aveva molto chiaro che per affrancare il Paese dalla condizione di subalternità e dipendenza era necessario sviluppare autonomamente le competenze scientifiche e tecniche più avanzate, per adattarle alle esigenze dell’isola e sviluppare un servizio sanitario universale e gratuito per il benessere della popolazione.
L’audace discorso di Fidel (ispirato dal pensiero di José Marti “Per essere liberi bisogna essere colti”) del 1960, “Il futuro di Cuba non può essere che un futuro di uomini di scienza”, condiviso integralmente dal Che e gli altri dirigenti, diede un segnale a tutta l’intellighenzia che non aveva abbandonato l’isola e compattò in questa impresa l’intera popolazione che percepì chiaramente di essere destinataria dei progressi del Paese, malgrado la crisi inevitabile di molti settori.
Dopo che la capillare campagna di alfabetizzazione sradicò l’analfabetismo e l’istruzione fu resa gratuita a tutti i livelli, in una situazione di assedio da parte degli USA, ebbe così inizio questo processo e la coesione del Paese, sostenuta dalla caparbietà di Fidel, consentì che fosse realizzato in pieno.
Da subito Cuba si è distinta nell’intero campo socialista per la libertà che si assunse in tante scelte decisive, preferendo le vie più pratiche ed efficaci per realizzare i propri obiettivi. Per lo sviluppo della ricerca scientifica nei campi più avanzati infatti i cubani, mentre si appoggiavano all’URSS e ad altri Paesi comunisti, si avvalsero fin dai primi anni ‘60 anche del supporto diretto di numerosi scienziati dei Paesi capitalisti, i quali introdussero corsi universitari avanzati, le prime attività di ricerca e tecnologie sulle quali l’URSS si trovava più arretrata, come nel campo della genetica moderna.
Qui giocarono un ruolo fondamentale un gran numero di giovani biologi italiani i quali nei primi anni ‘70 impartirono a Cuba corsi di genetica molecolare e di altre branche della biologia moderna, e formarono la generazione dei biologi cubani che dopo il 1980 sviluppò un florido settore di biotecnologie, proprio quando questo campo nasceva a livello mondiale. Proprio il 31 dicembre scorso abbiamo pianto la scomparsa di Paolo Amati, che di queste insostituibili collaborazioni fu l’alfiere: vogliamo ricordarlo con le parole che ci disse: “Dai cubani ho imparato molto”!
L’industria biotecnologica cubana, fondata su una struttura più efficiente ed alternativa a quella capital-intensive dominante, a dispetto del bloqueo, raggiunse già negli anni ‘80 livelli di eccellenza mondiale: fondata sul ciclo completo ricerca-test clinici-produzione-commercializzazione-esportazione, in stretto collegamento con il sistema sanitario e gli ospedali, ha messo a punto vaccini e terapie per le principali patologie della popolazione, promuovendo la “diplomazia medica” e una cooperazione sud-sud con i paesi in via di sviluppo. Cooperazione che da qualche tempo è sotto attacco da parte degli USA: come esempio, basti ricordare i 3 milioni di dollari stanziati dall’ l’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAID) e destinati a progetti contro le brigate mediche di Cuba all’estero.
La gravissima crisi che investì Cuba con il crollo dell’Unione Sovietica portò una, pur indesiderata, conferma della scelta di fondo degli anni ‘60: non solo il sistema scientifico cubano, malgrado l’inevitabile crisi di molti settori, resistette nella sostanza al tremendo colpo, ma Fidel rinnovò la scelta che era stata decisiva negli anni ‘60, intensificando il finanziamento dell’industria biotecnologica. E anche questa volta la scelta si è rivelata vincente! Il settore biomedico è il secondo per ingresso di valuta pregiata di cui Cuba ha disperato bisogno, dopo il turismo, che attraversa una crisi dopo l’inasprimento del bloqueo.
L’articolo 21 della nuova Costituzione cubana (approvata nel 2019 dopo referendum popolare) recita: “lo Stato promuove lo sviluppo scientifico, tecnologico e l’innovazione come elementi imprescindibili per lo sviluppo economico e sociale… favorisce l’introduzione sistematica dei suoi risultati nei processi produttivi dei servizi attraverso il quadro istituzionale e normativo corrispondente…”.
La scienza ed il metodo scientifico, già posti precocemente alla base della costruzione della conoscenza, entrano ora ufficialmente a far parte delle forze produttive: è il “futuro di uomini di scienza e di pensiero”: quello che Fidel Castro aveva previsto.
Articolo scritto da Rosella Franconi con la collaborazione di Angelo Baracca