In questo articolo, Robert F. Kennedy, figlio di Robert F. (Bobby) Kennedy e nipote del presidente USA John F. Kennedy (1961-1963), analizza l’embargo che gli USA hanno imposto a Cuba e che l’autore qualifica come “monumentale fallimento”, sulla base sulla sua esperienza personale delle relazioni tra L’Avana e Washington.
Il 17 dicembre, il presidente USA Barack Obama ha annunciato il ripristino delle relazioni diplomatiche con Cuba, dopo più di cinque decenni di una politica sbagliata che mio zio, John F. Kennedy, e mio padre, Robert F. Kennedy, furono responsabili di applicare dopo che il governo Dwight D. Eisenhower (1953-1961) attuò l’embargo contro l’isola, per la prima volta, nell’ottobre del 1960.
La mossa ha suscitato speranza in molti settori, non solo negli USA ma in tutto il mondo, che ora lo stesso embargo sia destinato a scomparire.
Questo non toglie il fatto che Cuba continui a rimanere una dittatura. Il governo cubano limita le libertà fondamentali come la libertà di parola e di riunione, è proprietario dei mezzi di comunicazione.
Le elezioni, come nella maggior parte dei paesi comunisti della vecchia guardia, offrono opzioni limitate ed, in periodiche retate, il governo cubano riempie le carceri di prigionieri politici.
Sembra sciocco che gli USA mantengono una politica estera ripetendo una strategia che si è rivelata un monumentale fallimento da sei decenni. La definizione della follia è la ripetizione di una stessa azione, più e più volte, in attesa di risultati diversi. In questo senso, l’embargo è una pazzia.
Tuttavia, ci sono reali tiranni, nel mondo, che sono diventati stretti alleati degli USA e molti governi con peggiori dati sui diritti umani che Cuba.
Un esempio è l’Azerbaigian, il cui presidente, Ilham Aliyev, che bolle i rivali nell’olio, ma anche l’Arabia Saudita, Giordania, Cina, Bahrain, Tagikistan, Uzbekistan e molti altri dove, tra le pratiche di governo, vi sono la tortura, la sparizioni forzata, l’intolleranza religiosa, la repressione di espressione e di riunione, l’oppressione medievale delle donne, le elezioni fraudolente e le esecuzioni extragiudiziali.
Nonostante la sua povertà, Cuba ha ottenuto alcuni risultati impressionanti. Il governo si vanta che la sua popolazione ha il più alto tasso dia alfabetizzazione, di qualsiasi paese dell’emisfero, che i suoi cittadini godono di un accesso universale alle cure sanitarie e di avere più medici pro capite rispetto agli altri paesi delle Americhe. I medici cubani hanno una formazione medica di alta qualità.
A differenza di altre isole dei Caraibi, dove la povertà significa fame, ogni cubano riceve una razione alimentare mensile che copre i loro bisogni fondamentali.
Anche i funzionari cubani ammettono che l’economia è asfissiata dalle inefficienze del marxismo, ma sostengono anche che la causa principale dei problemi economici dell’isola è lo strangolamento che causa i 60 anni di embargo commerciale.
E’ chiaro a tutti che l’embargo applicato, per la prima volta durante l’amministrazione Eisenhower nell’ottobre del 1960, punisce ingiustamente il cubano comune. Questo impedisce lo sviluppo economico, al far sì che, praticamente tutti i prodotti e tutti i tipi di attrezzature, siano astronomicamente costose e difficili da ottenere.
Il peggio di tutto è che, invece di punire il regime per le sue restrizioni sui diritti umani, l’embargo rafforza la dittatura al giustificare l’oppressione. Fornisce ai cubani la prova visibile che ogni dittatore ha bisogno: un nemico esterno per giustificare uno stato di sicurezza nazionale autoritario.
L’embargo ha anche offerto ai leader cubani un plausibile mostro a cui dar la colpa per la povertà di Cuba. Ha dato credito alla tesi di l’Avana che gli Stati Uniti, non il marxismo, hanno causato il malessere economico dell’isola.
E’ quasi certo che l’embargo ha contribuito a mantenere i fratelli (Fidel e Raul) Castro al potere negli ultimi cinque decenni.
Ha giustificato le misure oppressive del governo cubano nei confronti della dissidenza politica allo stesso modo in cui le preoccupazioni di sicurezza nazionale degli Stati Uniti sono state usate, da alcuni politici USA, per giustificare incursioni contro la nostra carta dei diritti, compresi i diritti costituzionali di avere un processo con giuria, all’ habeas corpus, ad una difesa efficace, a viaggiare e a non soffrire la ricerca e sequestro ingiustificato, le intercettazioni, la punizione crudele e inusuale, la tortura di prigionieri o la consegna speciale, solo per citarne alcuni.
E’ più che paradossale che gli stessi politici che hanno sostenuto che dovremmo punire Castro per limitare i diritti umani e per gli abusi ai detenuti nelle carceri cubane sostengano che l’abuso che gli USA compiono ai nostri prigionieri, nelle carceri cubane, sia giustificato.
Immaginate che un presidente USA affrontasse, come è successo a Castro, più di 400 tentativi di assassinio, migliaia di episodi di sabotaggio sostenuti dall’estero e diretti alla popolazione, alle fabbriche e ponti della nostra nazione, un’invasione sponsorizzata dall’estero e 50 anni di guerra economica che, nei fatti, privasse i nostri cittadini di articoli di prima necessità e strangolasse la nostra economia.
I dirigenti cubani indicano l’embargo, con abbondanti giustificazioni, come il motivo di privazione economica a Cuba.
L’embargo permette che il regime cubano esibisca gli USA come un bullo e si mostri come la personificazione del coraggio, in piedi davanti alle minacce, intimidazioni e guerra economica da parte della maggiore superpotenza militare della storia.
Ricorda costantemente all’orgoglioso popolo cubano che la nostra potente nazione, che ha orchestrato l’invasione della sua isola, sabotato le sue industrie e cospirato per decenni per assassinare i suoi dirigenti, mantiene un’aggressiva campagna per portare la sua economia alla rovina.
Forse il miglior argomento a favore della revoca dell’embargo è quello che non funziona. Il nostro embargo, di più di 60 anni, contro Cuba è il più lungo della storia e tuttavia, il regime di Castro rimane al potere.
Invece di revocare l’embargo, le diverse amministrazioni USA, tra cui quelle Kennedy, lo hanno rafforzato, senza alcun risultato.
Sembra sciocco che gli USA mantengono una politica estera mediante la ripetizione di una strategia che si è rivelata un monumentale fallimento per sei decenni. La definizione di follia è la ripetizione di una stessa azione, più e più volte, in attesa di risultati diversi. In questo senso, l’embargo è una follia.
L’embargo discredita chiaramente la politica estera USA, non solo in America Latina ma anche in Europa ed in altre regioni.
Per oltre 20 anni, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto la revoca dell’embargo. Quest’anno, come nel 2013, la mozione ha avuto 188 voti a favore e due contro, quest’ultimi di USA ed Israele. La Commissione Inter-Americana dei Diritti Umani, il principale organo dei diritti umani delle Americhe, ha anche reclamato la stesso, come l’Unione Africana.
Uno dei motivi perché diminuisce il nostro prestigio mondiale e l’autorità morale è che l’embargo fa solo evidenziare il nostro rapporto distorto con Cuba, caricato storicamente di forti paradossi che fan sì che il resto del mondo veda gli USA come un paese ipocrita.
Più di recente, mentre incolpiamo Cuba per imprigionare e maltrattare i prigionieri politici, sottomettiamo contemporaneamente i prigionieri, molti dei quali innocenti, secondo la stessa ammissione del Pentagono, alla tortura, tra cui il waterboarding, l’arresto illegale e la detenzione senza processo nella prigione cubana nella Baia di Guantanamo.
Incolpiamo Cuba perché non permette che i suoi cittadini di viaggino liberamente negli USA, ma restringiamo i viaggi dei nostri stessi cittadini a Cuba. In questo senso, l’embargo appare particolarmente anti-statunitense. Perché il mio passaporto dice che non posso visitare Cuba? Perché non posso andare dove voglio?
Sono stato uno statunitense fortunato. Ho potuto visitare Cuba e questa fu un’educazione meravigliosa perché mi ha dato l’opportunità di vedere da vicino il comunismo, con tutti i suoi difetti e deficienze. Perché il nostro governo non si fida che gli statunitensi possano vedere di persona le devastazioni della dittatura?
Se il presidente Kennedy fosse sopravvissuto per servire un secondo mandato, l’embargo sarebbe stato tolto mezzo secolo fa.
Il presidente Kennedy disse a Castro, tramite intermediari, che gli USA avrebbero posto fine all’embargo quando Cuba avrebbe smesso di esportare violenti rivoluzionari nei paesi dell’Alleanza per il Progresso in America Latina, una politica che terminò, in gran parte, con la morte del Che Guevara nel 1967, e quando Castro smise di consentire che l’Unione Sovietica usasse l’isola come base per l’espansione del potere sovietico nell’emisfero.
Beh, l’Unione Sovietica già non esiste più dal 1991, oltre 20 anni fa, ma l’embargo guidato dagli USA continua ad affogare l’economia cubana. Se l’obiettivo della nostra politica estera a Cuba è quello di promuovere la libertà dei suoi cittadini sottomessi, dovremmo aprire le porte e non chiuderle.
Abbiamo molto da imparare da Cuba, dai suoi successi in alcuni ambiti e dei suoi fallimenti in altri.
Passeggiando per le strade dell’Avana, i vecchi Ford T sbuffavano mentre passavano, con l’effige in ferro forgiato del Che appeso in alto ed il bronzo di una statua di Abraham Lincoln si ergeva in un giardino di un viale alberato.
Sentiva il peso di 60 anni di storia cubana, una storia profondamente intrecciata con quella del mio paese.
pubblicato da Phil Harris / Tradotto da Álvaro Queiruga
* Robert F. Kennedy Jr. è un avvocato del National Resources Defense Council e del Hudson Riverkeeper e presidente della Waterkeeper Alliance. E’ anche professore e avvocato supervisor della Clinica Contenzioso Ambientale della Facoltà di Giurisprudenza presso la Pace University e co-conduttore di Ring of Fire on Air America Radio. In passato ha servito come vice procuratore generale di New York City.
Tenemos tanto que aprender de Cuba
En esta columna, Robert F. Kennedy, hijo de Robert F. (Bobby) Kennedy y sobrino del presidente estadounidense John F. Kennedy (1961-1963), analiza el embargo que Estados Unidos impuso a Cuba y al que el autor califica de “fracaso monumental”, con base en su experiencia personal de las relaciones de La Habana y Washington.
El 17 de diciembre, el presidente estadounidense Barack Obama anunció el restablecimiento de las relaciones diplomáticas con Cuba, después de más de cinco décadas de una política equivocada que mi tío, John F. Kennedy, y mi padre, Robert F. Kennedy, fueron responsables de aplicar después de que el gobierno de Dwight D. Eisenhower (1953-1961) implementara el embargo contra la isla por primera vez en octubre de 1960.
La medida generó la esperanza en muchos sectores, no solo en Estados Unidos sino en todo el mundo, de que ahora el propio embargo estaría destinado a desaparecer.
Esto no quita el hecho de que Cuba sigue siendo una dictadura. El gobierno cubano restringe libertades básicas como la libertad de expresión y de reunión, y es propietario de los medios de comunicación.
Las elecciones, como en la mayoría de los países comunistas de la vieja guardia, ofrecen opciones limitadas y, en redadas periódicas, el gobierno cubano llena las cárceles con presos políticos.
Parece una tontería que Estados Unidos mantenga una política exterior mediante la repetición de una estrategia que demostró ser un fracaso monumental durante seis décadas. La definición de la locura es la repetición de una misma acción una y otra vez a la espera de resultados diferentes. En este sentido, el embargo es una locura.
Sin embargo, hay auténticos tiranos en el mundo que se convirtieron en aliados cercanos de Estados Unidos y muchos gobiernos con peores historiales de derechos humanos que el de Cuba.
Un ejemplo es Azerbaiyán, cuyo presidente, Ilham Aliyev, hierve a sus rivales en aceite, pero también Arabia Saudita, Jordania, China, Bahrein, Tayikistán, Uzbekistán y muchos más donde entre las prácticas gubernamentales se encuentran la tortura, las desapariciones forzadas, la intolerancia religiosa, la represión de la expresión y la reunión, la opresión medieval de la mujer, la elecciones fraudulentas y las ejecuciones extrajudiciales.
A pesar de su pobreza, Cuba consiguió algunos logros impresionantes. El gobierno se jacta de que su población tiene el índice de alfabetización más alto de cualquier país del hemisferio, que sus ciudadanos gozan de acceso universal a la atención sanitaria y que posee más médicos por habitante que los demás países del continente americano. Los médicos cubanos tendrían una formación médica de alta calidad.
A diferencia de otras islas del Caribe, donde la pobreza significa pasar hambre, cada cubano recibe una libreta mensual de racionamiento de alimentos que cubre sus necesidades básicas.
Incluso los funcionarios cubanos admiten que la economía está asfixiada por las ineficiencias del marxismo, aunque también argumentan que la principal causa de los problemas económicos de la isla es el estrangulamiento que provocaron los 60 años de embargo comercial.
Es claro para todos que el embargo aplicado por primera vez durante la administración de Eisenhower en octubre de 1960 castiga injustamente a los cubanos de a pie. Este impide el desarrollo económico al hacer que prácticamente todos los productos básicos y toda clase de equipos sean astronómicamente caros y difíciles de obtener.
Lo peor de todo es que, en lugar de castigar al régimen por sus restricciones a los derechos humanos, el embargo fortaleció a la dictadura al justificar la opresión. Brinda a los cubanos la evidencia visible del cuco que todo dictador necesita: un enemigo externo para justificar un estado de seguridad nacional autoritario.
El embargo también brindó a los líderes cubanos un monstruo plausible a quien culpar por la pobreza de Cuba. Otorgó credibilidad al argumento de La Habana de que Estados Unidos, y no el marxismo, causó el malestar económico de la isla.
Es casi seguro que el embargo ayudó a mantener a los hermanos (Fidel y Raúl) Castro en el poder durante las últimas cinco décadas.
Justificó las medidas opresivas del gobierno cubano contra la disidencia política en la misma forma en que las inquietudes de seguridad nacional de Estados Unidos fueron utilizadas por algunos políticos estadounidenses para justificar incursiones contra nuestra carta de derechos, incluyendo los derechos constitucionales a tener un juicio con jurado, al hábeas corpus, a una defensa eficaz, a viajar y a no sufrir la búsqueda y la incautación injustificada, las escuchas secretas, el castigo cruel e inusitado, la tortura de los prisioneros o la entrega extraordinaria, por nombrar solo algunos.
Es más que paradójico que los mismos políticos que argumentaron que deberíamos castigar a Castro por limitar los derechos humanos y maltratar a los presos en las cárceles cubanas sostienen que el maltrato que Estados Unidos proporciona a nuestros prisioneros en las cárceles cubanas está justificado.
Imagine que un presidente estadounidense se enfrentara, como le sucedió a Castro, a más de 400 intentos de asesinato, miles de episodios de sabotaje apoyados desde el extranjero y dirigidos a la población, las fábricas y los puentes de nuestra nación, a una invasión patrocinada desde el exterior y a 50 años de guerra económica que, en los hechos, privara a nuestra ciudadanía de artículos de primera necesidad y estrangulara nuestra economía.
Los líderes cubanos apuntaron al embargo, con abundante justificación, como la razón de la privación económica en Cuba.
El embargo permite que el régimen cubano exhiba a Estados Unidos como un matón y se muestre como la personificación del coraje, de pie ante las amenazas, la intimidación y la guerra económica por la mayor superpotencia militar de la historia.
Le recuerda constantemente al orgulloso pueblo cubano que nuestra poderosa nación, que ha orquestado la invasión de su isla, saboteó sus industrias y confabuló durante décadas para asesinar a sus líderes, mantiene una agresiva campaña para llevar su economía a la ruina.
Quizás el mejor argumento a favor de levantar el embargo sea que no funciona. Nuestro embargo de más de 60 años contra Cuba es el más longevo en la historia y, sin embargo, el régimen de los Castro se mantiene en el poder.
En lugar de levantar el embargo, las diferentes administraciones estadounidenses, incluida la de Kennedy, lo han fortalecido, sin ningún resultado.
Parece una tontería que Estados Unidos mantenga una política exterior mediante la repetición de una estrategia que demostró ser un fracaso monumental durante seis décadas. La definición de la locura es la repetición de una misma acción una y otra vez a la espera de resultados diferentes. En este sentido, el embargo es una locura.
El embargo desacredita claramente la política exterior estadounidense, no solo en América Latina, sino también en Europa y otras regiones.
Durante más de 20 años, la Asamblea General de la Organización de las Naciones Unidas solicitó el levantamiento del embargo. Este año, al igual que en 2013, el pedido tuvo 188 votos a favor y dos en contra, estos últimos de Estados Unidos e Israel. La Comisión Interamericana de Derechos Humanos, el principal órgano de derechos humanos de las Américas, también reclamó lo mismo, al igual que la Unión Africana.
Una de las razones por las que disminuye nuestro prestigio mundial y autoridad moral es que el embargo solo hace hincapié en nuestra relación distorsionada con Cuba, cargada históricamente de fuertes paradojas que hacen que el resto del mundo vea a Estados Unidos como un país hipócrita.
Más recientemente, mientras culpamos a Cuba de encarcelar y maltratar a los presos políticos, sometimos simultáneamente a prisioneros, muchos de ellos inocentes según la propia admisión del Pentágono, a la tortura, incluido el submarino, la detención ilegal y el encarcelamiento sin juicio en la prisión cubana de la bahía de Guantánamo.
Culpamos a Cuba porque no permite que sus ciudadanos viajen libremente a Estados Unidos, pero restringimos los viajes de nuestros propios ciudadanos a Cuba. En ese sentido, el embargo parece particularmente antiestadounidense. ¿Por qué mi pasaporte dice que no puedo visitar Cuba? ¿Por qué no puedo ir a donde quiera?
Yo he sido un estadounidense afortunado. Pude visitar Cuba y esa fue una educación maravillosa porque me dio la oportunidad de ver de cerca al comunismo con todos sus defectos y fallas. ¿Por qué nuestro gobierno no confía en que los estadounidenses puedan ver por sí mismos los estragos de la dictadura?
Si el presidente Kennedy hubiera sobrevivido para cumplir una segunda administración, el embargo se habría levantado hace medio siglo.
El presidente Kennedy le dijo a Castro, a través de intermediarios, que Estados Unidos pondría fin al embargo cuando Cuba dejara de exportar revolucionarios violentos a los países de la Alianza para el Progreso en América Latina, una política que terminó principalmente con la muerte del Che Guevara en 1967 y cuando Castro dejó de permitir que la Unión Soviética utilizara la isla como base para la expansión del poderío soviético en el hemisferio.
Bueno, la Unión Soviética ya no existe desde 1991, hace más de 20 años, pero el embargo liderada por Estados Unidos continúa ahogando a la economía cubana. Si el objetivo de nuestra política exterior en Cuba es promover la libertad de sus ciudadanos sometidos, deberíamos abrirles las puertas y no cerrárselas.
Tenemos tanto que aprender de Cuba, de sus éxitos en algunos ámbitos y de sus fracasos en otros.
Mientras caminaba por las calles de La Habana, los viejos Ford T resoplaban al pasar junto a la efigie en hierro forjado del Che colgada en las alturas y el bronce de una estatua de Abraham Lincoln se erguía en un jardín de una arbolada avenida.
Sentía el peso de 60 años de la historia cubana, una historia profundamente entrelazada con la de mi propio país.
Editado por Phil Harris/Traducido por Álvaro Queiruga
* Robert F. Kennedy Jr. es abogado del National Resources Defense Council y de Hudson Riverkeeper y presidente de Waterkeeper Alliance. También es profesor y abogado supervisor de la Clínica Procesal Ambiental de la Facultad de Derecho de la Universidad Pace y coanfitrión de Ring of Fire en Air America Radio. En el pasado se desempeñó como fiscal general adjunto de la ciudad de Nueva York.