Non tocchino Martì, il mio Josè Martì, non lo tocchino. Chiamatemi illuso, sognatore o fatto all’antica, ma su questo non transigo. Ho le mie ragioni. Ho imparato il mio primo poema quando avevo sei anni. Erano alcuni versi di Josè Martì che parlavano di una rosa bianca e di amare tutti, perfino i nostri nemici. Ricordo come se stessi vedendo un film in bianco e nero, l’immagine di mia madre vicino a me, quel pomeriggio. Eravamo ad una fermata dell’autobus nel capolinea de La Lisa, a L’Avana.
L’autobus che stavamo aspettando era “la quaranta” (è la prima linea della quale ho memoria). Noi andavamo per Jaimanitas, il paesino dove vivevamo. Mentre aspettavamo, mia mamma, per ostentare le mie doti “artistiche” e per combattere la noia (in quell’epoca non c’erano telefoni cellulari e, nelle fermate dell’autobus, l’unica forma di alleviare il tedio era conversare) mi ha detto: “Dai figlio, recita il poema ai compagni” (c’erano lì tre o quattro persone). Io, con tremenda vergogna, ho incominciato: “Coltivo una rosa bianca, in luglio come in gennaio…” mentre gesticolavo. Era come se con le mie piccole mani, tirassi fuori dei fiori da un’aiuola immaginaria (il mio petto) e le offrissi all’udienza estemporanea. In quel momento non ho capito perché i vecchi che erano alla fermata mi guardavano con occhi umidi di amore. Confesso che, a quell’età, non capivo neanche molto il significato di quei versi.
Con gli anni ho imparato un po’ di più di Josè Martì. Per esempio, ho scoperto che Martì è l’unica figura storica che abbraccia in maniera amorosa ed inclusiva tutti i cubani. Camminando per il mondo, ho trovato la sua statua nei quattro punti cardinali. Ho incontrato monumenti di Martì mentre camminavo per New York o Hialeah, per Cancun o Madrid. L’Apostolo è stato tanto versatile ed universale che i suoi pensieri sono citati da persone di differenti credi ed ideologie. Il suo libro L’Età dell’Oro, è una presenza costante in quasi tutte le case cubane (dentro e fuori dall’Isola). Il caso è che Martì, almeno per me, non passa di moda. E benché la sua opera sia immensa, quelli che mi sono sempre piaciuti di più sono stati sempre Los Versos Sencillos. La nozione di amore espressa in quelle strofe mi ricorda sempre quello di “amerai il prossimo come a te stesso”. Per questo motivo, Josè Martì acquisisce una rilevanza speciale in questi tempi in cui sembra pullulare l’odio. Quando si aizza il rancore, si offende e si diffama, Martì continua a ripeterci “cardi né ortica coltivo…”. È come se ci ricordasse che l’amore, perfino l’amore silenzioso, fa ammutolire l’odio.
Ma, infine, quello che volevo dire. Quando Manolito, il mio nipotino è arrivato a casa nostra, (come ogni fine settimana), ci siamo coricati ed abbiamo parlato un momento. Mentre andava già a dormire, ha incominciato la sua routine di recitare l’angelo custode. Da lì ha continuato: “con Dio mi corico, con Dio mi alzo”, così, di seguito. Io ho pensato che avrebbe finito la preghiera “con la vergine Maria e lo Spirito Santo” e che avrebbe chiuso gli occhi. Ma il bimbo non si è fermato lì. All’improvviso ha fatto una pausa e (lo giuro su mia madre, avreste dovuto vederlo!) ha aggiunto: “Coltivo una rosa bianca, in luglio come in gennaio…” completo! Ed alla fine, amen.
Manolito non capisce ancora il significato di quei versi. Ma io sì. E mi sono riempito di tenerezza vedendolo con le sue manine gesticolare così. Sembrava che il bambino strappasse fiori da un’aiuola (che era il suo petto) e li offriva ad un’udienza immaginaria mentre io lo guardavo con occhi umidi di speranza. Per questo motivo, chiamatemi illuso, sognatore o fatto all’antica, ma Martì, il mio Martì non si tocca.
tratto dall’account di Facebook di Carlos Lazo
da Cubadebate traduzione di Ida Garberi