René González Barrios www.granma.cu
Sono uno di quelli che pensano molto spesso a José Martí. Soprattutto lo venero il 28 gennaio ed 19 maggio, date sacre. Sarà che la mia generazione, nata sotto l’impatto del trionfo della Rivoluzione, che crebbe mambisa e ribelle, martiana, guevarista e fidelista, porta nelle vene la nobiltà e la fortezza dell’ideale martiano.
Ricordo che, da bambino, qualcuno mi disse che solo due giorni dopo la commemorazione del centenario della sua nascita, nel 1953, i poliziotti di Batista irruppero nello studio dello scultore José Manuel Fidalgo, a El Calvario, distrussero la sua collezione di busti e statuette e si accanirono, particolarmente, con quelle di Martí con la frase scolpita ‘Per Cuba che soffre’. Non dimentico la storia del capitano della polizia che minacciò Fidalgo di fargli mangiare i busti rotti di Marti e costringerlo a scolpire busti di Batista.
Quel racconto mi colpì e riempì di indignazione. Nei miei vagabondaggi di ragazzo di quartiere a Cayo Hueso, in Centro Avana, avevo scoperto un piccolo negozio in Galiano, quasi all’angolo di Zanja, dove vendevano piccoli busti di eroi della nostra indipendenza e lì andai ad acquisire il mio Marti. All’arrivo, trovai il negozio chiuso. Da allora è stata un’ossessione, avere un busto dell’Apostolo, non come feticcio, ma come stimolo spirituale. Nel corso degli anni ho moltiplicato la sua presenza in casa mia.
In questi giorni in cui il nostro popolo ha ricevuto con indignazione le notizie dei fatti vandalici contro i busti del nostro Eroe Nazionale nella città dell’Avana, ho meditato sul vero obiettivo di questi atti. Sono convinto che formano parte della strategia di smantellamento della storia Patria, banalizzando e svalutando i nostri simboli più sacri: la bandiera, l’inno; … Martí. Ricordiamo il crollo del campo socialista e la distruzione dei monumenti e delle statue che simboleggiavano le lotte dei popoli per la loro emancipazione ed il socialismo.
José Martí non è solo il simbolo della più pura ed eccelsa cubania. È il principale ispiratore della nostra Rivoluzione, l’anima viva della nostra risoluzione di resistenza e vittoria, di solidarietà ed antimperialismo, che ci insegnò la direzione e la dimensione del pericolo. Fu il maestro della gloriosa generazione del suo Centenario e la guida principale della concezione politica e rivoluzionaria del Comandante in Capo Fidel Castro. Attaccarla, quindi, è attaccare la Rivoluzione, i suoi principi ed i suoi valori.
Non sono nuove le offese all’Apostolo. L’Avana rabbrividì l’11 marzo 1949 quando marine USA imbrattarono la sua statua nel Parque Central. La giusta reazione del popolo fu repressa dal governo di turno, che protesse i colpevoli e si compiacque delle scuse di un ambasciatore USA che offese nuovamente l’intelligenza popolare, affermando che altri marine avevano contribuito ad ottenere l’indipendenza di Cuba.
La repressione della polizia contro gli studenti fu brutale. Tra i contusi c’era il giovane Fidel Castro. Erano i tempi in cui i governi autentici di Ramón Grau San Martín e Carlos Prío Socarrás, macchiavano il nome dell’Apostolo prendendo sue foto come bandiera ed assumendo il nome del Partito Rivoluzionario Cubano come proprio, aggiungendo la qualifica di, Autentico, come se il fondato dal nostro Marti fosse di minor valore.
Tutto uno spettacolo fu montato da Fulgencio Batista in occasione del Centenario della nascita di José Martí il 28 gennaio 1953. Volle mostrare ciò che non era, … martiano. E non poteva esserlo chi, sin dalla sua incursione nella vita politica del nostro paese, fu lacchè servile dell’imperialismo yankee, il suo uomo a Cuba, repressore, assassino, antidemocratico e golpista.
Due giorni dopo il forzato show batistiano, avvenne lo spregevole assalto allo studio di Fidalgo, che fu costretto all’esilio in Messico. A difesa di Fidalgo e denunciando l’incidente, il giovane avvocato Fidel Castro pubblicò sulla rivista Bohemia, l’8 febbraio 1953, il suo articolo ‘Assaltato e distrutto lo studio dello scultore Fidalgo’.
Anni dopo, ebbi l’opportunità di visitare la sua vedova nella città di Veracruz, Messico. L’anziana virtuosa, compagna della sua vita, conservava pezzi dei busti distrutti dalle orde di Batista. Mi ossequiò con uno di Benito Juárez preparato dall’artista e rivoluzionario. Fino ai suoi ultimi giorni, Fidalgo sottolineò nelle sue opere la grandezza della storia di Nostra America.
Nel luglio del 1956, la produttrice di Hollywood Warner Brothers presentò per la prima volta negli USA il film ‘Santiago’, un’offesa totale alla cubania, dove si travisava l’immagine di José Martí, che rappresentano vivo nel 1898, vivendo ad Haiti, in un palazzo, circondato di schiavi. I cubani allora residenti negli USA, respinsero con manifestazioni pubbliche di indignazione, quel risentimento.
Non appena la Rivoluzione trionfò, elementi batistiani che fuggivano dalla giustizia rivoluzionaria, fondarono a New York, il 28 gennaio 1959, un’organizzazione controrivoluzionaria che chiamarono ‘La Rosa Bianca’. Fu la prima organizzazione terrorista che userà come nome un simbolo martiana. Nove anni dopo, si fondava, a New York, il gruppo terroristico Abdala, responsabile di molteplici attacchi contro funzionari e rappresentanti cubani all’estero.
Per continuare ad imbrattare il nome dell’Apostolo, il governo USA fondò nel 1985, Radio Martí, e nel marzo 1990, Televisione Marti, due emittenti che offendono con cattivo e poco scrupoloso giornalismo, notizie false e rabbiosa bile controrivoluzionaria, la memoria dell’Eroe e della dignità di un intero popolo. Tutto un controsenso se consideriamo che fu Marti, tra tutti i cubani del suo tempo, il maggior critico del nascente impero.
Offensivo ed indignante fu anche il progetto cinematografico ‘Voglio fare un film’, iscritto a marzo 2018 alla mostra di giovani registi e che motivò il rifiuto dei creatori dell’Istituto Cubano di Arte ed Industrie Cinematografiche. In esso, uno dei protagonisti offende volgarmente José Martí.
I nemici della nostra Rivoluzione approfittano oggi della dipendenza dalle reti sociali di un settore non trascurabile della gioventù cubana, per cercare di contaminarla con contenuti antimartiani e subdolamente o apertamente controrivoluzionari. Viviamo in tempi in cui la storia e la cultura devono stringersi la mano, strette con forza, per portare a queste piattaforme, negli idonei codici di comunicazione, le verità ed i valori della nostra identità.
All’infamia degli arcinoti profanatori, si antepone l’atteggiamento del bimbo Jorge Daniel de la Torre Samper, della cittadina avilana di Punta Alegre, che salvò da una massa di cespugli ed erbacce, un busto di Marti abbattuto dai forti venti dell’ Uragano Irma, nel 2017. La sua esaltante immagine percorse il mondo.
Attraverso la rete delle reti non ho trovato, negli USA, aperte manifestazioni di rifiuto o indignazione nei confronti della criminale ed irrispettosa provocazione di coloro, sull’isola, che hanno macchiato i busti di Marti. Piuttosto l’esaltazione e l’appello alla continuità dei ripugnanti fatti, da parte di un auto-nominato gruppo Clandestinos. Mi chiedo come reagirebbero le migliaia di cubani che amano la loro isola e la loro Patria e che per diverse ragioni vivono negli USA, se l’evento si verificasse ad uno dei busti o delle statue che onorano l’Apostolo a Miami, Key West o New York . Cosa farebbe il governo USA che è il vero finanziatore di queste infamie?
José Martí fu rispettato persino dai suoi avversari dell’esercito spagnolo. Lo stesso generale José Ximénez de Sandoval, che comandava la colonna che lo avrebbe ucciso a Dos Ríos, espresse il suo lutto il giorno della sepoltura nel cimitero di Santa Ifigenia, rifiutò di accettare il Marchesato di Dos Ríos e, all’inizio del secolo XX, partecipò alla Legazione di Cuba a Madrid, per consegnare alla rappresentazione cubana, oggetti dell’Apostolo sequestrate nel fatidico giorno.
Il capitano generale Arsenio Martínez de Campos rifiutò che uno dei suoi figli, presente all’azione Dos Ríos, fosse, per la stessa, decorato.
Servano, questi esempi, a coloro che, dall’ignoranza, malafede e orfani di idee e valori, profanino la memoria del maggior Maestro, guida spirituale di un popolo nobile ed ispiratore. I profanatori necessitano, più di chiunque altro, apprendere dall’Apostolo.
José Martí: el alma viva de nuestra resolución de resistencia
René González Barrios
Soy de los que piensan en José Martí con mucha frecuencia. Muy especialmente lo venero los 28 de enero y 19 de mayo, fechas sagradas. Será que mi generación, nacida bajo el impacto del triunfo de la Revolución, que creció mambisa y rebelde, martiana, guevarista y fidelista, lleva la nobleza y entereza del ideario martiano en las venas.
Recuerdo que, de niño, alguien me contó que apenas dos días después de la conmemoración del centenario de su natalicio en 1953, policías de Batista irrumpieron en el estudio del escultor José Manuel Fidalgo en El Calvario, destruyeron su colección de bustos y estatuillas, y se ensañaron particularmente con los de Martí con la frase esculpida Para Cuba que sufre. No olvido la historia del capitán de la policía que amenazó a Fidalgo con hacerle comer los bustos rotos de Martí y obligarle a esculpir bustos de Batista.
Aquel relato me impactó y llenó de indignación. En mis andanzas de muchacho de barrio en Cayo Hueso, en Centro Habana, había descubierto una pequeña tienda en la calle Galiano, casi esquina a Zanja, donde vendían pequeños bustos de próceres de nuestra independencia y allí me dirigí para adquirir mi Martí. Al llegar, encontré la tienda clausurada. Desde entonces fue una obsesión, tener un busto del Apóstol, no como fetiche, sino como estímulo espiritual. Con los años, he multiplicado su presencia en mi casa.
En estos días en que nuestro pueblo ha recibido con indignación las noticias de los hechos vandálicos contra bustos de nuestro Héroe Nacional en la ciudad de La Habana, he meditado sobre el objetivo real de estos actos. Estoy convencido de que forman parte de la estrategia de desmontaje de la historia Patria, banalizando y desvalorando nuestros símbolos más sagrados: la bandera, el himno; …Martí. Recordemos el derrumbe del campo socialista y la destrucción de los monumentos y estatuas que simbolizaban las luchas de los pueblos por su emancipación y el socialismo.
José Martí no es solo el símbolo de lo más puro y excelso de la cubanía. Es el principal inspirador de nuestra Revolución, el alma viva de nuestra resolución de resistencia y victoria, de solidaridad y antimperialismo, quien nos enseñó la dirección y dimensión del peligro. Fue el maestro de la generación gloriosa de su Centenario, y el guía medular de la concepción política y revolucionaria del Comandante en Jefe Fidel Castro. Atacarlo, entonces, es atacar a la Revolución, sus principios y sus valores.
No son nuevas las ofensas al Apóstol. La Habana se estremeció aquel 11 de marzo de 1949 cuando marines estadounidenses mancillaron su estatua en el Parque Central. La justa reacción del pueblo fue reprimida por el gobierno de turno, que protegió a los culpables y se complació con las disculpas de un embajador de Estados Unidos que nuevamente ofendió la inteligencia popular, al declarar que otros marines habían ayudado a lograr la independencia de Cuba.
La represión de la policía contra los estudiantes fue brutal. Entre los contusos se encontraba el joven Fidel Castro. Eran los tiempos en que los gobiernos auténticos de Ramón Grau San Martín y Carlos Prío Socarrás, mancillaban el nombre del Apóstol al tomar su foto como bandera y asumir el nombre del Partido Revolucionario Cubano como propio, añadiendo el calificativo de, Auténtico, como si el fundado por nuestro Martí fuera de menor valía.
Todo un espectáculo montó Fulgencio Batista en ocasión del Centenario del natalicio de José Martí el 28 de enero de 1953. Quiso presumir de lo que no era, …martiano. Y no podía serlo quien, desde su incursión en la vida política de nuestro país, fue lacayo servil del imperialismo yanqui, su hombre en Cuba, represor, asesino, antidemocrático y golpista.
Dos días después del forzado show batistiano, ocurrió el deleznable asalto al estudio de Fidalgo, quien se vio obligado a exiliarse en México. En defensa de Fidalgo y denunciando el atropello, el joven abogado Fidel Castro publicó en la revista Bohemia, el 8 de febrero de 1953, su artículo Asaltado y destruido el estudio del escultor Fidalgo.
Años después, tuve la oportunidad de visitar a su viuda en la ciudad de Veracruz, México. La anciana virtuosa, compañera de su vida, conservaba pedazos de los bustos destruidos por las hordas de Batista. Me obsequió uno de Benito Juárez elaborado por el artista y revolucionario. Hasta sus últimos días, Fidalgo resaltó en sus obras la grandeza de la historia de la América nuestra.
En julio de 1956, la productora hollywoodense Warner Brothers estrenó en Estados Unidos el filme Santiago, una ofensa total a la cubanía, donde se tergiversaba la imagen de José Martí, a quien representan vivo en 1898, viviendo en Haití, en un palacio, rodeado de esclavos. Los cubanos entonces residentes en Estados Unidos, rechazaron con manifestaciones públicas de indignación, aquel agravio.
Apenas triunfó la revolución, elementos batistianos que huían de la justicia revolucionaria, fundaron en Nueva York, el 28 de enero de 1959, una organización contrarrevolucionaria que nombraron La Rosa Blanca. Fue la primera organización terrorista que utilizara como nombre un símbolo martiano. Nueve años más tarde se fundaba en Nueva York el grupo terrorista Abdala, responsable de múltiples ataques contra funcionarios y representantes cubanos en el exterior.
Para continuar mancillando el nombre del Apóstol, el Gobierno de Estados Unidos fundó en 1985, Radio Martí, y en marzo de 1990, Televisión Martí, dos emisoras que ofenden con mal e inescrupuloso periodismo, noticias falsas y rabiosa bilis contrarrevolucionaria, la memoria del Héroe y la dignidad de todo un pueblo. Todo un contrasentido si tenemos en cuenta que fue Martí, entre todos los cubanos de su tiempo, el crítico mayor del naciente imperio.
Ofensivo e indignante resultó también el proyecto de filme Quiero hacer una película, inscrito en marzo de 2018 en la muestra de jóvenes realizadores y que motivara el rechazo de los creadores del Instituto Cubano de Arte e Industrias Cinematográfica. En él, uno de los protagonistas ofende de manera vulgar, a José Martí.
Los enemigos de nuestra Revolución se aprovechan hoy de la adicción a las redes sociales de un sector no despreciable de la juventud cubana, para tratar de contaminarla con contenidos antimartianos y solapada o abiertamente contrarrevolucionarios. Vivimos tiempos en que la historia y la cultura deben darse la mano, asidas con fuerza, para llevar a estas plataformas, en los códigos comunicacionales idóneos, las verdades y valores de nuestra identidad.
A la infamia de los profanadores de marras, se antepone la actitud del niño Jorge Daniel de la Torre Samper, del poblado avileño de Punta Alegre, quien rescató de entre un amasijo de arbustos y malezas, un busto de Martí derribado por los fuertes vientos del huracán Irma, en 2017. Su imagen enaltecedora recorrió el mundo.
A través de la red de redes no encontré, en Estados Unidos, manifestaciones abiertas de rechazo o indignación a la delictiva e irrespetuosa provocación de quienes en la Isla mancillaron los bustos de Martí. Más bien la exaltación y llamado a la continuidad de los repugnantes hechos, por un autonombrado grupo Clandestinos. Me pregunto cómo reaccionarían los miles de cubanos que aman su Isla y su Patria y que por disímiles razones viven en Estados Unidos, si el hecho ocurriera en uno de los bustos o estatuas que en honor al Apóstol existen en Miami, Cayo Hueso o Nueva York. ¿Qué haría en ese caso el Gobierno de Estados Unidos que es el verdadero financista de estas infamias?
José Martí fue respetado hasta por sus adversarios del ejército español. El propio general José Ximénez de Sandoval, quien comandara la columna que le diera muerte en Dos Ríos, despidió su duelo el día de la sepultura en el cementerio de Santa Ifigenia, se negó a aceptar el marquesado de Dos Ríos y, a principios del siglo XX, se personó en la Legación de Cuba en Madrid, para entregar a la representación cubana, pertenencias del Apóstol ocupadas el fatídico día.
El capitán general Arsenio Martínez de Campos se negó a que uno de sus hijos, presente en la acción de Dos Ríos, fuese condecorado por la misma.
Sirvan estos ejemplos a quienes, desde la ignorancia, la mala fe y la orfandad de ideas y valores, profanen la memoria del Maestro mayor, guía espiritual de un pueblo noble e inspirador. Los profanadores necesitan, más que nadie, aprender del Apóstol.
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