Nicoletta Manuzzato – www.altrenotizie.org
Dieci anni fa, esattamente il 12 gennaio 2010, un terremoto di 7,3 gradi della scala Richter devastava Haiti, uccidendo 316000 persone e lasciando un milione e mezzo di persone senza tetto. I primi a prestare soccorso ai sopravvissuti, che scavavano a mani nude alla ricerca dei propri cari sotto le macerie, furono venezuelani e cubani (questi ultimi già presenti nel paese con una missione medica), cui si aggiunsero in seguito volontari di molte altre nazioni.
Anche il governo statunitense si mobilitò, ma la sua fu una “solidarietà armata”. In zona giunsero le navi del Southern Command con a bordo più di 20000 militari. L’immagine emblematica di questi “aiuti” è la discesa dagli elicotteri, una settimana dopo il sisma, di decine di marines con le mitragliatrici in pugno. Non erano venuti a sostenere la popolazione colpita dal tremendo disastro naturale, ma a esercitare il controllo sociale per evitare che venisse messo in discussione l’ordine prestabilito.
I soldati occuparono l’aeroporto, spesso intralciando l’atterraggio degli aerei inviati da tutto il mondo con farmaci e generi di prima necessità e portando quasi all’incidente diplomatico, tanto che il ministro francese alla Cooperazione, Alain Joyandet, chiese al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di definire il ruolo degli USA dichiarando: “Si tratta di aiutare Haiti, non di occuparla”. E Hugo Chávez denunciò che “l’impero” stava prendendo possesso del paese “sui cadaveri e le lacrime del suo popolo”.
Un altro aspetto poco noto della tragedia del 2010 è quello dell’arrivo ad Haiti di missionari delle più diverse confessioni religiose, compresa Scientology, decisi a far proseliti (e affari). I membri di un’organizzazione battista statunitense, la New Life Children’s Refuge, vennero fermati alla frontiera dominicana con 33 bambini strappati alle loro famiglie: per questi fondamentalisti era meglio che i piccoli crescessero con sani principi cristiani, piuttosto che in un ambiente dominato dalla religione vudù. Del resto, secondo il telepredicatore statunitense Pat Robertson, il sisma era una punizione divina contro gli haitiani, che due secoli prima avevano stretto un patto con il diavolo per ottenere la liberazione dal dominio francese.
Come si era attivata, così la corsa internazionale alla solidarietà si arrestò ben presto, lasciando spazio agli interessi e alla speculazione. La Conferenza dei Paesi Donatori aveva promesso 107 miliardi di dollari: in due anni ne arrivarono meno di sei e mezzo. La United States Agency for International Development aveva progettato la costruzione di 15.000 alloggi (costo 486 milioni di dollari). Ne vennero realizzati solo 900, ma il loro prezzo lievitò di dieci volte e le imprese responsabili non furono mai chiamate a renderne conto.
E alla tragedia del terremoto si aggiunse, nell’ottobre dello stesso anno, l’epidemia di colera portata dai caschi blu dell’ONU, che provocò 10.000 morti registrati (secondo alcuni esperti il dato reale sarebbe in realtà di 50.000). La presenza della Minustah, la Missione di Stabilizzazione iniziata nel 2004 sotto guida brasiliana, era già stata posta sotto accusa per decine di violazioni dei diritti umani: violenze sessuali, uccisioni, repressioni sanguinose delle proteste. L’epidemia è stata fatta risalire al contingente nepalese (in Nepal si era sviluppato lo stesso ceppo). Come è stato poi dimostrato, i rifiuti organici di questi soldati erano stati scaricati in un affluente dell’Artibonite, il fiume da cui la popolazione attingeva l’acqua per bere e per irrigare i campi. Anni dopo, prima di lasciare il suo incarico di segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon chiese scusa per quanto accaduto, ma nessun indennizzo arrivò mai alle vittime.
A tutto questo va aggiunto un altro lascito dei caschi blu, rivelato da uno studio accademico pubblicato nel dicembre 2019 sul sito web The Conversation: almeno 265 bambini (probabilmente molti di più) sono nati da donne e ragazzine povere, a seguito di uno stupro o dopo un rapporto accettato in cambio di un pasto. Intanto la Minustah aveva lasciato il posto alla Missione dell’ONU per l’Appoggio alla Giustizia (Minujusth), che ha terminato il suo mandato nell’ottobre dello scorso anno.
Ma per Haiti non c’è giustizia. A distanza di dieci anni dal terremoto gran parte della popolazione vive ancora in rifugi di fortuna, senza accesso all’acqua potabile, sopravvivendo quotidianamente con meno di due dollari. L’economia è in grave crisi, l’inflazione continua a salire, la disoccupazione si aggira sul 70%. E quanti possono vantare un lavoro spesso guadagnano solo l’equivalente di 5 dollari al giorno.
Già nel 2018 era scoppiata una rivolta popolare contro il previsto rincaro del prezzo dei combustibili, deciso su pressione del Fondo Monetario Internazionale. Le proteste, che sono riprese con forza nel febbraio 2019 e da allora non si sono praticamente mai fermate, chiedono le dimissioni del presidente Jovenel Moïse e un cambiamento reale del sistema. La risposta è una sanguinosa repressione, che ha già provocato oltre una ventina di morti e centinaia di feriti. Moïse, membro del partito di centrodestra Tèt Kale, è stato eletto nel 2016 con un contestato voto e un astensionismo record. Imprenditore del settore bananiero, gode dell’appoggio delle ricche famiglie locali e dell’amministrazione statunitense.
Su di lui pesano accuse di corruzione: si sarebbe intascato parte degli oltre 4 miliardi di dollari che il Venezuela, attraverso PetroCaribe, aveva destinato allo sviluppo del paese. Il governo bolivariano è sempre stato in prima fila negli aiuti ad Haiti: nonostante questo, Moïse si è allineato a quegli Stati che non hanno riconosciuto l’elezione di Nicolás Maduro. E il 7 gennaio di quest’anno ha ricevuto il segretario generale dell’OSA, Almagro, che gli ha assicurato il suo pieno sostegno. In compenso Haiti, a fine mese, ha annunciato il suo ingresso nel Gruppo di Lima.
Il 13 gennaio è terminato il mandato della Camera e di due terzi del Senato e Moïse ha fatto sapere che la situazione attuale non permette di organizzare elezioni legislative e che quindi governerà per decreto. Haiti è anche da mesi senza governo dopo le dimissioni, uno dopo l’altro, di diversi primi ministri. Non stupisce che le opposizioni abbiano denunciato la “deriva dittatoriale” del paese.