Washington alimenta il conflitto col Venezuela

i dati e gli scenari dell’“operazione antidroga”

Misión Verdad Traduzione Matthias Moretti

Contro il Venezuela, sì ma anche no

 

Il presidente-magnate Donald Trump, affiancato nella sala stampa della Casa Bianca dal capo del Pentagono Mark Esper, dal procuratore generale William Barr e dal capo di stato maggiore congiunto Mark Milley, ha annunciato che gli Stati Uniti lanceranno “operazioni antidroga più efficaci nell’emisfero occidentale per proteggere il popolo statunitense dal flagello mortale delle droghe illegali. Non dobbiamo permettere che i cartelli della droga sfruttino la pandemia per minacciare la vita degli statunitensi”.

Ha aggiunto che il Comando Sud, del quale è incaricato l’ammiraglio Craig Faller, potrà contare sul “dispiegamento di cacciatorpedinieri aggiuntivi dell’Esercito, navi da guerra, aerei ed elicotteri, equipaggi della Guardia Costiera e aerei di sorveglianza della Forza Aerea, raddoppiando le nostre capacità nella regione”, riferendosi esplicitamente al Pacifico Orientale e al Caribe con il presunto obiettivo di indebolire i cartelli del narcotraffico in Messico, Colombia e Triangolo Nord, approfittando della manovra per mobilitare forze militari vicino alle coste venezuelane.

(Donald Trump annuncia il dispiegamento dell’Esercito statunitense verso le acque del Caribe dalla Casa Bianca. Foto: Alex Brandon / AP)

Il sequestro di vari giorni fa di “590 chili di cocaina, 39 chili di metanfetamina, 7,7 chili di eroina, 1300 chili di marijuana e 900 grammi di fentanil” in un tunnel clandestino tra Tijuana e San Diego è stato utilizzato come evento mediatico per promuovere l’urgenza di questa mobilitazione militare.

Uno degli obiettivi principali di questa operazione che rinforzerà la capacità militare del Comando Sud nel continente è il Venezuela, e il suo annuncio avviene pochi giorni dopo che il Dipartimento di Giustizia aveva accusato, senza prove, il presidente Nicolás Maduro e altri leader venezuelani di essere a capo di una cospirazione “narcoterrorista” per trafficare cocaina verso gli Stati Uniti per mezzo delle FARC colombiane.

In questo senso, il capo del Pentagono Mark Esper ha affermato: “Il regime illegittimo di Maduro, in Venezuela, dipende dai proventi che vengono dalla droga per mantenere il proprio potere oppressivo”.

Il consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump, Robert C. O’Brien, presente anch’egli alla conferenza stampa, ha segnalato Maduro come una “minaccia” per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e ha precisato che l’operazione antidroga cerca di “ridurre l’appoggio sul quale il regime di Maduro finanzia le sue attività dannose”.

Per aggiungere una sfumatura in più, il procuratore generale William Barr ha detto: “I cartelli (messicani) devono essere distrutti per il bene degli statunitensi e dei popoli del Messico e del Venezuela”.

La manovra sembra essere una premessa a un blocco navale che già il presidente Nicolás Maduro, nel gennaio dell’anno scorso, segnalava come una possibilità dopo che era filtrato pubblicamente che questa opzione era nella testa dei falchi della Casa Bianca. Adesso la possibilità è passata a essere più vicina a concretizzarsi.

La “strategia coreana” tra le manovre per evadere da una crisi interna

 

Senza dubbio, la narrazione usata da Trump e dagli altri funzionari civili e militari presenti non smette di essere confusa e torbida. Mobilitano truppe militari pesanti ma facendo attenzione che il movimento non sia interpretato univocamente come il preludio di un intervento militare.

(Gli elementi del dispiegamento annunciato da Trump, secondo l’Esercito statunitense. Grafica: U.S. Navy)

Potrebbe trattarsi più che altro di una mossa nello scacchiere geopolitico che persegue obiettivi indiretti, più simile alla cosiddetta “strategia coreana” che ha impiegato senza successo anche contro l’Iran: elevare a livelli estremi la pressione economica, politica e anche militare fino a determinare la resa del “nemico”.

Nonostante ciò, contro il Venezuela questa strategia opera con altre caratteristiche relativamente differenti dalle insinuazioni sul nucleare contro la Corea del Nord (da qui la definizione di “strategia”) e dalle minacce di guerra aperta contro l’Iran.

Visto così, non potrebbe essere altrimenti. Washington non è nelle condizioni di lanciare un intervento diretto benché lo desideri e ne abbia bisogno. Per questo decide di mostrare i denti e i muscoli militari e provare strade alternative di destabilizzazione che non comportino l’invio dei suoi soldati in una guerra contro un paese che, secondo la penosa opinione di Guaidó, “non è preparato per fronteggiare il Covid-19”. La realtà gli è esplosa in faccia e nemmeno così se ne rende conto.

Ieri la Russia ha inviato un aereo militare con materiale sanitario negli Stati Uniti, mentre anche la Cina, all’unisono, ha sottolineato l’invio di aiuti umanitari al paese nordamericano, al momento il principale focolaio di contagio del Covid-19 a livello mondiale con più di 160mila casi e più di 3mila morti.

La capitale Washington D.C. Attualmente si trova in una situazione critica e il governo federale non può contare sulla capacità sanitaria per contenere il contagio del Covid-19 che è sfuggito di mano. Anche il vicepresidente Mike Pence ha dichiarato che la catastrofica situazione dell’Italia è quella che assomiglia di più a quella degli Stati Uniti.

Di fronte a questa situazione di collasso e di apertura di relazioni con la Cina e la Russia per affrontare la pandemia, il governo di Trump è rimasto delegittimato dal fatto di non offrire alcun appoggio a una società statunitense che si vede abbandonata e lasciata al suo destino, lanciando un pacchetto di “stimolo economico” che beneficia soprattutto il settore corporativo legato a Wall Street.

L’effetto elettorale che potrebbe avere questa crisi sociale generalizzata e di fiducia nel governo è evidente e Trump lo sa. Perciò, ha cercato nella cassetta degli attrezzi e nuovamente utilizza il Venezuela come una scusa per distrarre l’opinione pubblica dal collasso interno.

Trump ha inviato un messaggio adattato a queste circostanze: poiché non posso proteggerti dal coronavirus, né darti attenzione sanitaria, né offrirti una soluzione economica in mezzo a questo collasso, allora invio navi militari per frenare l’importazione di droghe e così “salvarti” da un flagello che il tuo stesso governo ha alimentato per decenni.

L’aspetto comico, ma ugualmente pericoloso, di questo calcolo è che considerano il Venezuela una minaccia e un fattore importante del traffico di droghe che arriva negli Stati Uniti.

Lì, giustamente, entra in gioco la “strategia Florida” come incentivo elettorale: mostrare i denti, assumere un tono bellicoso e sufficientemente convincente affinché la diaspora in Florida, ma anche la società statunitense in generale, associ la distruzione del chavismo con la propria salvezza dal “flagello delle droghe” grazie a Trump.

La sua campagna elettorale in tempi di coronavirus ha uno snodo fondamentale in Venezuela; urge il trofeo geopolitico nel continente per dimostrare che si è fatto qualcosa di buono, anche se centinaia di migliaia di statunitensi muoiono in mezzo alla pandemia per la sua inettitudine.

Questo è il tipo di idee e priorità squilibrate che fanno iniziare le guerre e i conflitti armati.

Niente è così nuovo come pensiamo

 

Tutti gli anni il capo del Comando Sud si siede di fronte alla Commissione dei Servizi Armati per un’audizione dove espone le principali “minacce” della regione (il narcotraffico e il “terrorismo” sono una narrazione costante) ed espone le risorse tecniche, logistiche, e finanziarie per “combatterle”.

Da John Kelly, passando per Kurt Tidd fino all’attuale Craig Faller, il messaggio nell’ambito di queste audizioni non è cambiato: c’è necessità di nuove risorse militari per aumentare le capacità del Comando Sud che sono state intaccate per l’assenza di finanziamenti, sebbene per l’anno fiscale 2020 si fosse approvato un bilancio militare di 738mila milioni di dollari, record storico per gli Stati Uniti.

L’11 marzo di quest’anno, l’istituzione militare ha presentato il piano e le risorse necessarie per l’operazione antidroga annunciata da Trump. Il presidente adesso farà rimanere contenti i capi militari del Pentagono e il complesso industriale-militare nel contesto di una crisi sanitaria che richiederà che si investa ogni mese di più, esponendo le proprie vite nel cercare di organizzare grandi segmenti di popolazione contagiati senza contare sulle attrezzature sanitarie basilari.

Questa settimana si è venuto a sapere che su una portaerei nucleare a Guam (la Theodore Roosevelt) ci sono più di 100 marinai infetti, situazione che ha obbligato il suo capitano Bett Crozier a sollecitare aiuto urgente alla Marina statunitense per seguire i contagi. L’impatto di questa notizia ha indignato il corpo militare ed esposto la sua vulnerabilità di fronte al Covid-19 e alle insufficienti misure prese da Trump.

(La portaerei nucleare USS Theodore Roosevelt. Foto: U.S. Navy)

D’altra parte, le risorse approvate sembrano insufficienti per un blocco navale secondo l’opinione degli esperti del Pentagono, che argomentano “che tale operazione richiederebbe enormi quantità di risorse, probabilmente più di quello che la Marina statunitense può offrire e, pertanto, non è un’operazione che si può realizzare attualmente. Senza dubbio, come sempre in caso di guerra, è ugualmente importante che la minaccia sia credibile”, riferendosi alla possibilità di applicarlo nella vasta estensione di 3726 chilometri di costa.

Un nuovo momento della guerra non convenzionale

 

Come sappiamo, la guerra degli Stati Uniti contro il Venezuela è una di quelle che si sviluppano al di qua del limite dell’aggressione armata diretta, privilegia gli strumenti del terrorismo psicologico ed economico e la destabilizzazione focalizzata sui servizi essenziali (elettricità, servizio idrico ecc.) che sono parte integrante della vita quotidiana del Venezuela.

L’idea centrale consiste nel fare la guerra senza che si arrivi a un evento che la dichiari ufficialmente, vale a dire, compiere operazioni militari e di destabilizzazione sotto copertura e utilizzando metodi indiretti come la guerra psicologica o irregolare.

Come parte dell’escalation, hanno addestrato, finanziato e formato in Colombia un esercito mercenario che, diretto dal disertore Clíver Alcalá, avrebbe dovuto entrare in Venezuela per blindare l’omicidio di Maduro e prendere il controllo militare dei centri nevralgici del potere pubblico.

Lo Stato venezuelano ha scoperto il piano, Clíver ha fatto i nomi degli statunitensi coinvolti e la Colombia è rimasta nuovamente dipinta come una caserma comparabile soltanto ai tempi bui della guerra sporca e “parapolitica” della NATO e della CIA durante l’Operazione Gladio.

Il piano avrebbe approfittato della solitudine nelle strade del Venezuela, della ridotta mobilità sociale causata dalla quarantena ordinata da Maduro e del relativo ripiegamento dei militari per assestare il colpo definitivo.

Ma benché il piano sia fallito, le pedine che si stavano addestrando (mercenari, paramilitari e disertori della FANB) continuano ad essere attive al riparo nello Stato colombiano.

È possibile che le navi, gli aerei e le forze speciali inviate da Trump possano utilizzare l’entrata da Santa Marta affacciata sul Caribe o i porti del Pacifico colombiano per ricomporre il tessuto organizzativo della cospirazione mercenaria che il Venezuela ha neutralizzato per tempo. L’obiettivo adesso ha il valore e l’appoggio della presunta missione antidroga: 15 milioni di dollari a chi sequestri o uccida il presidente venezuelano.

Su questa stessa linea di guerra sporca e illegale, le navi e gli aerei dispiegati potrebbero essere equipaggiati con strumenti di guerra elettronica per provare a creare un nuovo blackout in grande scala come quello del 7 marzo 2019, che portò a una situazione di paralisi generalizzata nel paese per vari giorni, causando danni nel medio periodo.

Non è nemmeno esclusa la possibilità che, come accaduto con l’incursione illegale del USS Detroit all’inizio di quest’anno, le navi abbiano come obiettivo di raccogliere informazioni sensibili dal paese e valutare opzioni per un’operazione di false flag che stabilisca un legame artificiale tra le installazioni militari e il “narcotraffico”, permettendo di giustificare un’azione militare, o almeno di metterla sul tavolo con l’obiettivo di aumentare la pressione a livelli inauditi.

L’operazione psicologica sempre sullo sfondo: un altro aprile di resistenza

 

Non c’è dubbio che tra tanti obiettivi possibili, il più evidente di questa nuova operazione statunitense consista nel distogliere il chavismo dal suo obiettivo: proteggere la società dal Covid-19, lottare per la fine dell’embargo e stabilizzare istituzionalmente il paese. Tre obiettivi rispetto ai quali hanno fatto progressi.

Con questo aumento della pressione fatto con uno schema a tenaglia (quella economica e quella militare dai due lati) Washington prova a fare in modo che il chavismo inverta le sue priorità e perda capacità di prestare attenzione al contenimento della crisi pandemica.

La guerra non convenzionale non solo si dispiega sullo scacchiere militare, ma anche su quello psicologico, ovvero laddove si determina la disposizione al combattimento, la concentrazione sugli obiettivi vitali e l’intelligenza strategica per distribuire le risorse economiche, sociali e di potere in mezzo a una congiuntura di scontro “ibrido”. È il campo di battaglia decisivo.

Si cerca quindi di generare panico e scoramento e con ciò la disorganizzazione dello schema stabilito per far fronte alla pandemia, cosa che include le cure di massa supportate nel sistema Patria, l’attenzione alimentare e sanitaria e gli aiuti economici diretti che, davanti al mondo, sono diventate un esempio di come si gestisce una crisi con queste caratteristiche partendo dalle reti organizzative del popolo.

Almeno, in questa prima fase, sembra essere questo l’effetto che cerca di accelerare.

Washington ha scelto il mese di aprile per rinforzare le sue aggressioni contro il Venezuela, non effettuando un calcolo culturale molto basilare e importante: il mese di aprile è rimasto nel subconscio collettivo nazionale come uno di quelli in cui il chavismo ha raggiunto le sue vittorie collettive più iconiche: dal 13 di aprile quando Chavez fu salvato dal popolo (civili e militari) nelle strade, fino alla resistenza di fronte alle varie rivoluzioni colorate che hanno provato all’infinito a gettare il paese nel caos e nella violenza.

Con le caratteristiche singolari di questo momento storico, il chavismo arriva a un nuovo aprile carico di complessità e sfide, ma anche con una scommessa eroica: sostenere l’approvvigionamento alimentare e il sistema sanitario in mezzo all’embargo statunitense, aprire vie di dialogo per allentare le tensioni sullo scacchiere internazionale e neutralizzare i piani armati che cercano di assassinare i leader del paese rinforzando l’organizzazione popolare.

Le società non si compongono solo dei loro elementi materiali, ma anche dei miti che danno loro un senso di unità, coesione e ragione di esistere, ed è aprile per la società venezuelana, come nessun altro mese, quello che procura le chiavi della resistenza alla quale stiamo ricorrendo per far fallire nuovi e pericolosi piani di guerra.

Ci hanno messo davanti una nuova battaglia nel mese che più ci piace per lottare per la vita, un’altra volta.

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