Di Ricardo Ronquillo, tratto da Juventud Rebelde
Se dovessimo rappresentarlo con una parodia cubana, a Reporter Senza Frontiere (RSF), l’organizzazione non governativa (ONG) di origine francese che nacque apparentemente con finalità ammirevoli ed è arrivata a essere più chiacchiere che decenza, succede come ad alcuni CVP – vigilantes – del nostro arcipelago: finiscono per tradirsi da soli.
In mezzo a tanto autoproclamare la propria condizione di guardiano mondiale della libertà di stampa, applicare aggettivi qualificativi e ranking, i gestori della “ONG” dimenticarono una cosa tanto elementare come il fatto che anche i controllori sono controllati e, non di rado, colti in fallo. A meno che non lo dicano gli appassionati della serie poliziesca cubana Tras la huella, e di altre serie poliziesche non meno note.
Nel 1998 Robert Ménard, fondatore e allora segretario generale di Reporter Senza Frontiere, creata nel 1985, si recò a L’Avana per reclutare giornalisti che scrivessero per la sua organizzazione riguardo a ciò che succedeva sull’Isola.
Senza dubbio, come ha riferito il giornalista Santiago Mayor al sito América Latina en Movimiento, ha avuto tanta sfortuna perché il suo primo contatto fu niente meno che con Néstor Baguer, uno degli agenti della Sicurezza dello Stato cubano che per anni è stato infiltrato nella cosiddetta “dissidenza”.
Dopo la venuta allo scoperto di quegli agenti – un avvenimento che sollevò grande trambusto nella più grande delle Antille – Baguer riferì che l’imparzialissimo Ménard non solo gli offrì di pagarlo per pubblicare articoli contro il governo cubano, ma anche che per anni gli inviò denaro e forniture per il suo giornalismo “profondamente indipendente”.
Si tradiva così – ha scritto Santiago Mayor – l’obiettivo fondativo dell’organizzazione, che sembrava nascere per promuovere le cosiddette forme di giornalismo alternativo e sottolineare le storture della stampa nei paesi ricchi, così come le difficoltà per la libertà di stampa nelle restanti nazioni, stando alla definizione di Jean-Claude Guillebaud, primo presidente dell’associazione.
Lo stesso editorialista riferisce che negli anni Novanta dello scorso secolo l’organizzazione iniziò a mostrare i reali interessi che rappresentava. “In un’intervista con il giornalista colombiano Hernando Calvo Ospina (pubblicata da Ocean Press nell’anno 2000 e intitolata El Movimiento Cubano Exilio), Ménard disse che RSF stava appoggiando i “dissidenti” a Cuba da settembre del 1995.
Un’altra dimostrazione del grave cambio di traiettoria da parte dell’organizzazione ci fu nel bel mezzo del colpo di Stato dell’aprile 2002 contro Hugo Chávez in Venezuela. Invece di, come era da aspettarsi sulla base dei suoi tanto ventilati proclami, denunciare la violazione della Costituzione di quel paese e la manipolazione dell’informazione che realizzarono i grandi media, incluso il silenziamento informativo della resistenza popolare, si dedicò a diffondere la versione dei golpisti, inclusa una presunta rinuncia del leader bolivariano sotto la pressione dei militari.
Tutto ciò provocò il fatto che lo stesso Guillebaud decidesse di separarsi da RSF, accusando il suo fondatore di “autoritarismo” – una degenerazione delle più disprezzate, in apparenza, dalla ONG –, così come il suo abbandono dei fondamenti iniziali.
La deriva di Ménard, come quella dell’organizzazione che aveva fondato, avrebbe finito per farlo precipitare niente meno che nella destra francese e nel famigerato Fronte Nazionale, di estrema destra, comandato per molti anni da Jean Marie Le Pen.
L’uscita di scena del personaggio non significa che Reporter Senza Frontiere abbia perso i suoi vizi perché, come dicono i cubani, “un cane che mangia uova, anche se gli bruciano il muso, continua a mangiare uova”. Il percorso dell’organizzazione non è in alcun modo quello della libertà, ma quello del denaro dei potenti di questo mondo che assorbe, ormai senza nemmeno nasconderlo, nelle proprie casse.
In questo modo lo descrive l’autorevole scrittore francese Maxime Vivas, autore del testo La faccia nascosta di Reporter Senza Frontiere, risultato di anni di indagini.
Vivas ha rivelato, in interviste a proposito del suo libro, che questa ONG non ha mai difeso in alcun modo la libertà di stampa, ma che serve solo a un piccolo numero di paesi e consorzi finanziari che le offrono fondi. “Tutti i materiali che ho raccolto mostrano senza eccezioni la faccia oscura e spregevole di Reporter Senza Frontiere”, ha sottolineato Vivas.
Secondo le sue indagini, una parte sostanziosa di questi fondi arrivano essenzialmente dall’Agenzia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti e da alcuni ministeri e consorzi finanziari francesi.
L’autore ha potuto constatare che i fondi raccolti dai membri dell’organizzazione, e di cui fanno tanta pubblicità, rappresentano soltanto il 2% di tutte le sue entrate, mentre una parte molto più consistente proviene dal Fondo Nazionale per la Democrazia statunitense.
Anche altri hanno seguito la vicenda “misteriosa” dei finanziamenti di questa ONG, tra questi il giornalista José Manzaneda, coordinatore di Cuba Información, che in un articolo per la sua web tv ha segnalato che, oltre che dal governo francese e dall’Unione Europea, Reporter Senza Frontiere riceve sostanziosi fondi dalla Fondazione Nazionale per la Democrazia, autentica copertura civile della CIA dedicata a difendere la politica di aggressione degli Stati Uniti contro qualunque modello politico contrario agli interessi nordamericani.
Aggiunge che è finanziata anche da fabbricanti di armi in Francia, come Serge Dessault, o lo scomparso venditore di missili Jean-Guy Lagardère, oltre a ricevere ingenti fondi e aiuti dai maggiori oligopoli mediatici del mondo, come Vivendi Universal, o da grandi editori come il francese François Pinault.
Non bastando il fatto di avere padrini materiali così discutibili, Manzaneda scopre quelli ideologici, tra i quali si sono potuti contare i governi di destra di Bush e alcuni dell’Unione Europea, la Sociedad Interamericana de Prensa (SIP) – clan di proprietari dei grandi mezzi di comunicazione dell’America Latina, rivelatisi avversari di tutto ciò che odori di sinistra e progressismo nella regione –, la cosiddetta Freedom House, fondazione nordamericana diretta dall’agente della CIA di origine cubana Frank Calzón, così come illustri membri della mafia cubana di Miami, come Leopoldo Fernández Pujals, ex capitano dei marines in Vietnam ed ex proprietario della catena Telepizza, oltre a Nancy Crespo, distributrice degli aiuti economici del governo yankee a qualunque iniziativa contro l’immagine e il prestigio internazionale della Rivoluzione Cubana.
La tesi di Manzaneda è la stessa di quella di giornalisti come lo scomparso canadese Jean-Guy Allard, la statunitense Diana Barahona o il francese Salim Lamrani.
Manzaneda conclude la sua denuncia affermando che Reporter Senza Frontiere è un’organizzazione sostenuta a livello economico e politico dai maggiori devastatori della libertà d’informazione nel mondo: i grandi monopoli della comunicazione e i governi delle potenze occidentali, principalmente quello degli Stati Uniti.
È quello che il dottore in Scienze della Comunicazione Julio García Luis ha descritto come una grottesca tirannia, con differenti livelli, locali, regionali e mondiale, che si conservano per la loro apparente porosità, per la capacità di mimetizzarsi e per la simulata indipendenza dal potere reale.
“Non a caso l’attività di ricerca di questa ONG intorno ai luoghi dove la libertà di stampa è più minacciata coincide esattamente con quella del Dipartimento di Stato di Washington”, conclude il coordinatore di Cuba Información.
Ai rappresentanti di questa organizzazione sembra piacere il ruolo dei ciarlatani nella famosa favola di Hans Christian Andersen Il vestito nuovo dell’imperatore. Così come Guido e Luigi assicuravano che avrebbero potuto fabbricare il tessuto più soave e delicato che si potesse immaginare – anche se con la speciale capacità di essere invisibile per chi fosse stupido o incapace –, costoro provano a mostrarsi come abili e fervidi tessitori di una delle più complesse e necessarie delle libertà umane, mentre sembrano essere convinti di essere circondati da una società di “tonti”, incapaci di realizzare che lo fanno con la stessa invisibilità dei personaggi del racconto.
La Cuba piena di difetti della quale disquisiscono in questo 2020, così come sempre, per spingerla in basso in qualunque classifica con questo sforzo, cerca di andare avanti, con autocritica e trasparenza, verso un nuovo modello di stampa pubblica per il socialismo, che ha a cuore più di ogni altra cosa nel suo orizzonte la trasformazione dei media in meccanismi di controllo sociale e popolare, e non in strumenti di manipolazione, ricatto e dominio da parte dei potenti.
Il tappeto rosso per questo obiettivo – in mezzo a pressioni economiche e politiche mai viste capeggiate dal delirante nuovo Cesare mondiale, finanziamenti, ammiccamenti volgari, baruffe simulate, stimolazione di egoismi e innocenti dissidi – è stato steso con l’approvazione della prima Politica della Comunicazione dello Stato e del Governo approvata dopo il trionfo della Rivoluzione e con ciò che viene stabilito dalla nuova Costituzione, che riconosce la libertà di pensiero e di coscienza, insieme alla libertà di stampa.
Nessuna Rivoluzione, così come nessuna società fino a oggi – non importano i particolari che aggiunga o tolga “Imbroglioni Senza Frontiere” –, ha avuto vita facile nell’avanzare sopra questo ruvido tappeto, ma almeno coloro che custodiscono questo sogno lo accarezzano e lo valorizzano troppo per tradirlo, perché sarebbe come tradire noi stessi.
Embusteros sin Fronteras: ¿quién vigila al vigilante?
Ricardo Ronquillo,
Si fuéramos a graficarlo con una parodia cubana, a Reporteros sin Fronteras (RSF), la organización no gubernamental (ONG) de origen francés que nació, al parecer, con un fin admirable y terminó con más ínfulas que decencia, le ocurre como a algunos CVP —vigilantes— de nuestro Archipiélago: terminan traicionándose a sí mismos.
De tanto autoproclamar su condición de guardián mundial de la libertad de prensa, aplicar calificativos y rankings, los manejadores de la «ONG» olvidaron algo tan elemental como que los «vigilantes» también son vigilados y, no pocas veces, cogidos in fraganti. Si no que lo digan los admiradores de la serie policial cubana Tras la huella y de otras series policiales no menos mediáticas.
En 1998, Robert Ménard, fundador y secretario general entonces de Reporteros sin Fronteras, creada en 1985, viajó a La Habana para reclutar a periodistas que escribieran para su organización sobre lo que pasaba en la Isla.
Sin embargo, como relató el periodista Santiago Mayor en el sitio América Latina en Movimiento, tuvo tanta mala suerte que su primer contacto fue nada menos que con Néstor Baguer, uno de los agentes de la Seguridad del Estado cubano que durante años estuvo infiltrado en la llamada «disidencia».
Tras el destape de aquellos agentes —un acontecimiento de gran revuelo en la Mayor de las Antillas—, Baguer relató que el imparcialísimo Ménard no solo le ofreció pagarle por artículos publicados contra el Gobierno cubano, sino que durante años le envió dinero y suministros para su periodismo «profundamente independiente».
Se traicionaba así —describió Santiago Mayor— el objetivo inicial de la organización, que pareció nacer para promover las llamadas formas de periodismo alternativo y marcar los desvíos de la prensa en los países ricos, así como las dificultades para la libertad de prensa en las demás naciones, tal como lo definió Jean-Claude Guillebaud, primer presidente de la asociación.
El mismo columnista relata que en la década de los 90 del pasado siglo la organización comenzó a dar muestras de los verdaderos intereses que representaba. «En una entrevista con el periodista colombiano Hernando Calvo Ospina (publicada por Ocean Press en el año 2000 y llamada El Movimiento Cubano Exilio), Ménard dijo que RSF estuvo apoyando a los «disidentes» en Cuba desde septiembre de 1995.
Otra demostración del grave descarrilamiento que sufría la organización la dio en medio del golpe de Estado de abril de 2002 contra Hugo Chávez en Venezuela. En vez de, como era de esperar con base en sus tan aireados postulados, denunciar la violación de la Constitución de ese país y la manipulación informativa que realizaron los grandes medios, incluyendo el silenciamiento informativo de la respuesta popular, se dedicó a difundir la versión de los golpistas, incluyendo una supuesta renuncia del líder bolivariano bajo la presión de los militares.
Todo lo anterior provocó que el mismo Guillebaud decidiera separarse de RSF, acusando a su fundador de «autoritarismo» —una deformación de las más despreciadas, en apariencia, por la ONG—, así como su abandono de los fundamentos iniciales.
El descarrilamiento de Ménard, como el de la organización que fundó, terminaría por precipitarlo nada menos que a la derecha francesa y al notorio Frente Nacional, de ultraderecha, liderado varios años por Jean Marie Le Pen.
La salida del personaje no significa que Reporteros sin Fronteras perdiera sus mañas, tal vez porque, como dicen los cubanos, perro huevero, aunque le quemen el hocico… La ruta de la organización no es la de libertad alguna, sino la del dinero de los poderosos de este mundo que drena, ya sin muchos escondrijos, hacia sus arcas.
Así lo revela el reconocido escritor francés Maxime Vivas, autor del texto La cara oculta de Reporteros sin Fronteras, resultado de años de investigación.
Vivas ha revelado, en entrevistas a propósito de su texto, que esta ONG nunca ha defendido ninguna libertad de prensa, sino que solo sirve a un reducido número de países y consorcios financieros que le ofrecen fondos. Todos los materiales que he reunido muestran sin excepción la cara oscura y desagradable de Reporteros sin Fronteras, ha subrayado Vivas.
Según sus indagaciones, parte sustancial de estos salen esencialmente de la Agencia de Seguridad Nacional de Estados Unidos y de algunos ministerios y consorcios financieros franceses.
El autor pudo constatar que los fondos que recaudan los miembros de la organización, y que tanto publicitan, representan únicamente el 2 por ciento de todos sus ingresos, mientras otra parte importante proviene del Fondo Nacional para la Democracia estadounidense.
Otros han seguido la saga «misteriosa de los dineros de esta ONG, entre estos el periodista José Manzaneda, coordinador de Cuba Información, quien en un artículo para esa webTV reseñó que, además del Gobierno francés y la Unión Europea, Reporteros sin Fronteras recibe cuantiosos fondos de la Fundación Nacional para la Democracia, auténtica tapadera civil de la CIA dedicada a defender la política de agresión de Estados Unidos contra cualquier modelo político contrario a los intereses norteamericanos.
Agrega que está financiada, también, por fabricantes de armamento de Francia, como Serge Dassault, o el desaparecido vendedor de misiles Jean-Guy Lagardère, además de recibir cuantiosos fondos y ayuda de los mayores oligopolios mediáticos del mundo, como Vivendi Universal, o de grandes editores, como el francés François Pinault.
No conforme con tener tan dudosos padrinos materiales, Manzaneda descubre a los ideológicos, entre los que se han contado los Gobiernos del derechista Bush y algunos de la Unión Europea, la Sociedad Interamericana de Prensa (SIP) —clan de propietarios de los grandes medios de comunicación de América Latina, resueltos contrincantes de todo lo que huela a izquierda y progresismo en la región—, la llamada Freedom House, fundación norteamericana dirigida por el agente de la CIA de origen cubano Frank Calzón, así como destacados miembros de la mafia cubana de Miami, como Leopoldo Fernández Pujals, excapitán de marines en Vietnam y expropietario de la cadena Telepizza, además de Nancy Crespo, distribuidora de las ayudas económicas del Gobierno yanqui a cualquier iniciativa contra la imagen y el prestigio internacional de la Revolución Cubana.
La tesis de Manzaneda es la misma que la de periodistas como el fallecido canadiense Jean-Guy Allard, la estadounidense Diana Barahona o el francés Salim Lamrani.
Manzaneda zanja su denuncia afirmando que Reporteros sin Fronteras es una organización sostenida económica y políticamente por los mayores depredadores de la libertad de información en el mundo: los grandes monopolios de la comunicación y los Gobiernos de las potencias occidentales, principalmente el de Estados Unidos.
Es eso que el Doctor en Ciencias de la Comunicación Julio García Luis describió como una grotesca tiranía, con diferentes escalas, locales, regionales y mundial, que subsisten por su aparente porosidad, por su capacidad de mimetizarse y por su fingida independencia del poder real.
«No en vano el diagnóstico de esta ONG acerca de los lugares donde la libertad de prensa está más amenazada coincide a la letra con el del Departamento de Estado de Washington», concluye el coordinador de Cubainformación.
A los representantes de esta organización parece complacerles el papel de los charlatanes en la famosa fábula de Hans Christian Andersen, El traje nuevo del emperador. Igual que Guido y Luigi aseguraban que podían fabricar la tela más suave y delicada que pudiera imaginarse —aunque con la especial capacidad de ser invisible para cualquier estúpido o incapaz—, ellos intentan mostrarse como «delicados y fervorosos tejedores de una de las más complejas y necesarias de las libertades humanas, mientras parecen creer que están rodeados de una sociedad de «memos», incapaces de percatarse de que lo hacen con la misma invisibilidad de los personajes del cuento.
La Cuba imperfecta de la que denostan en este 2020, y como siempre, por bajar a las profundidades de cualquier clasificación en ese empeño, busca avanzar, con autocrítica y transparencia, hacia un nuevo modelo de prensa pública para el socialismo, que tiene entre sus horizontes más caros la conversión de los medios en mecanismos de control social y popular, y no en herramientas de manipulación, chantaje y dominio de los poderosos.
La alfombra roja para ese propósito —en medio de presiones económicas y políticas inéditas encabezadas por el delirante nuevo César mundial, financiamientos, guiños pedestres o simuladas zanahorias y azuzamiento a egos e inconformidades inocentes—, se tendió con la aprobación de la primera Política de Comunicación del Estado y del Gobierno aprobada después del triunfo de la Revolución y los postulados de la nueva Constitución, que reconocen la libertad de pensamiento y de conciencia, junto a la libertad de prensa.
Ninguna Revolución, como ninguna sociedad hasta hoy —no importan las notas que regale o quite «Embusteros sin Fronteras»—, la tuvo fácil para avanzar por sobre esa rugosa alfombra, pero al menos los vigilantes de ese sueño lo acarician y valoran demasiado como para traicionarlo, porque sería hacerlo a nosotros mismos.