Vzla: fallimento d’ideologie e terroristi

Le tesi politiche sul Venezuela che sono fallite insieme alla spedizione mercenaria

William Serafino  https://medium.com/@misionverdad2012

Elenco delle nuove prove delle ultime ore

 

Nelle ultime ore, lo stato venezuelano ha annunciato nuove catture nel quadro della fallita “Operazione Gedeon”.

Gruppi di mercenari nello stato Zulia, nella località costiera di Puerto Maya e sulla strada El Junquito-Carayaca, sono stati neutralizzati dalle forze di sicurezza nell’ambito dell’operazione “Operazione Negro Primero”, attivata dalla FANB in unità civico-militare per proteggere la sovranità nazionale in questo momento di allerta.

In totale, 23 coinvolti nella fallita spedizione armata lungo le coste marittime sono già stati posti a disposizione della giustizia venezuelana, secondo quanto indicato.

Tra i catturati si evidenziano Luke Denman e Airan Berry, due ex militari USA reclutati da Juan Guaidó e dagli USA attraverso la società mercenaria Silvercorp per effettuare un golpe in Venezuela.

La confessione di Denman, il 6 maggio, e quella di Berry, poche ore fa, rivelano che l’intenzione del raid mercenario, per La Guaira, era catturare ed assassinare il presidente venezuelano Nicolás Maduro.

Gli obiettivi politici e militari generali dell’operazione erano la sede della presidenza della Repubblica Bolivariana (Miraflores), il servizio di intelligence SEBIN e l’aeroporto di Maiquetía a La Guaira.

Il piano era semplice sulla carta: controllare militarmente l’aeroporto (ecco perché hanno cercato di sbarcare a Macuto, a pochi chilometri di distanza), sequestrare Maduro con un’unità di commando pesantemente armata, guidata da alias “Pantera” e Antonio Sequea, e poi far montare il presidente venezuelano su un aereo diretto negli USA o ucciderlo quando catturato.

Berry conferma che l’aereo sarebbe venuto dagli USA e che controllare Maiquetía era d’importanza chiave; lo stesso detto da Denman nella sua testimonianza. Per questo, le camionette armate, l’armamento pesante e la logistica di combattimento che non è stata sbarcata a Macuto, in teoria, avrebbero consentito un rapido e sorprendente avanzamento verso Miraflores, garantendo il ritorno a La Guaira.

Mentre i mercenari rivelavano la gravità degli obiettivi, il consigliere di Juan Guaidó, il colombiano J.J. Rendón legato, alcuni anni fa, ad una trama del narcotraffico, confermava la veridicità del contratto sottoscritto con Silvercorp.

Negli USA, alcuni senatori democratici hanno chiesto all’amministrazione Trump di rivelare le informazioni che aveva su questo fallito golpe, in franca violazione della legislazione che regola lo stato di guerra e che è controllata dal Congresso in entrambe le camere.

Le irrefutabili prove sulla partecipazione di Guaidó e Washington si agglomerano, dando forma a tutti i pezzi dell’operazione con un sempre maggiore livello di chiarezza.

Alcune idee anche si sono arenate

 

Sebbene la fallita aggressione non abbia raggiunto i suoi obiettivi, l’atto in sé ha dimostrato gli errori di determinate premesse e tesi politiche che si disputano l’orientamento ideologico del paese.

Non solo si è arenata sulla costa venezuelana un’incursione promossa dagli USA, ma anche l’ha fatto un insieme diversificato (sebbene solo in apparenza) di correnti politiche che hanno posizionato le loro ipotesi come l’unica misura della realtà concreta.

L’operazione ha avuto luogo in un clima di dibattito politico caratterizzato dagli estremi ideologici, dal disorientamento intellettuale ed è giunto a dimostrare una nuova frattura delle tesi politiche di determinate tendenze ideologiche.

Esiste un consenso comune sull’impulso dato dagli USA all’operazione di assassinio del Presidente, ma le idee che potrebbero spiegare le ragioni del suo fallimento poco possono apportare per tracciare un resoconto coerente sulla situazione politica.

Con gli eventi di Macuto, le idee costruite per rispondere alla complicata risoluzione del conflitto venezuelano hanno fallito.

La teoria della “rottura” segna María Corina Machado

 

La portabandiera del settore dell’estrema destra venezuelana ha sostenuto, negli ultimi anni, che le iniziative di dialogo promosse dal chavismo e settori moderati dell’opposizione rappresentano una perdita di tempo.

Quel discorso, sebbene non abbia in lei il suo copyright, ha plasmato il pensiero dei promotori del colpo di stato come Luis Almagro, Marco Rubio e Juan Guaidó stesso.

Questa corrente che lega elementi di Miami, del fascismo creolo e spagnolo (il caso di VOX) e della stessa Casa Bianca, ha una presenza politica, organizzativa ed elettorale piuttosto limitata in territorio venezuelano.

Il suo apparato politico copre solo alcune zone incollerite del paese, come dimostrato dalla scarsa rappresentanza parlamentare ottenuta nelle ultime elezioni del 2015.

A causa di questa debolezza, hanno usato media come il PanAm Post, intellettuali di estrema destra, alcuni think-tanks ed influencer nelle reti sociali per diffondere il loro messaggio ed incidere nell’opinione pubblica.

I loro alterati portavoce sostengono che il conflitto ora non è più politico, ma di “sicurezza”; cioè, deve essere risolto con il piombo e non con il dialogo.

Sono vittime di una trama delirante in cui russi, militanti di Hezbollah e misteriosi delegati del Partito Comunista Cinese cospirano nell’oscurità per mantenere il Venezuela sottomesso come se fosse una colonia tropicale.

Propongono come formula di “risoluzione” del conflitto la combinazione di una “minaccia credibile” con un intervento chirurgico per porre fine al “regime di Maduro”. Hanno propagandato l’idea che se Washington mostra i suoi attributi di forza, ciò sarebbe sufficiente affinché il chavismo cada.

Nei giorni scorsi, l’impostazione di questa formula è stato parzialmente realizzata dalla spedizione da Macuto, dimostrando il suo errore di origine. La falsa convinzione che la forza bruta sia sufficiente a rovesciare il governo venezuelano è venuta allo scoperto.

E’ accaduto l’esatto contrario di quanto teorizzato: di fronte all’aggressione militare comandata da Silvercorp, il chavismo ha rafforzato il consenso generalizzato di difesa e dignità nazionale, riducendo lo spazio politico e narrativo della premessa della “rottura” per via armata.

L’ipotesi del “tradimento del legato di Chávez”

 

Sul marciapiede opposto, e rappresentando anch’essa una minoranza in termini politici ed elettorali, alcuni settori iracondi della “sinistra” venezuelana hanno diffuso la narrazione che Maduro ha “consegnato” l’eredità di Chávez, nel quadro di una cospirazione con tendenze riformiste e imprenditoriali che hanno demolito le conquiste del processo chavista.

Secondo questa prospettiva, supportata da un rosario di complessi, affermazioni confuse e scarsi dati sulla realtà materiale, Maduro sta conducendo un “tradimento” su larga scala con l’obiettivo di consegnare il paese a capitalisti, burocrati e proprietari terrieri.

Questa premessa non si ferma a riflettere sul complesso panorama del bilancio della Repubblica a causa del blocco economico di Washington e del sequestro degli attivi nazionali che hanno impedito al paese di recuperare la sua economia e di occuparsi della pandemia di Covid-19. Per loro, questo terribile quadro materiale in cui si trova il paese si ubicherebbe in secondo piano poiché la cosa fondamentale è che Maduro, ed il governo venezuelano in generale, sembrano aver deciso che questa è la situazione che più ci conviene, come se la nostra realtà concreta fosse il sottoprodotto di una manovra carica di malvagità e sadismo.

Ma se questa teoria fosse vera, la cosa più logica sarebbe che Washington e l’ala armata dell’anti-chavismo sospendessero i loro permanenti tentativi di rovesciare il governo venezuelano; ora, di recente, con un intervento armato.

Dopotutto, se Maduro sta, giorno per giorno, consegnando il paese ai suoi nemici, ciò che ci si potrebbe aspettare è che gli USA e persino lo stesso Guaidó, suoi principali nemici, celebrassero le azioni del presidente o le guardassero di buon occhio.

E’ che risulta paradossale e confuso. Man mano che aumenta la “consegna del legato”, maggiore è la cospirazione per porre fine alla Rivoluzione “dall’interno”; i tentativi di sanguinari golpe, da parte di Washington, stanno aumentando in pericolosità.

Non dovrebbe essere il contrario? In altre parole, il “tradimento del legato” non dovrebbe supporre la soddisfazione di Guaidó e della Casa Bianca? Perché dovrebbero essere interessati a rovesciare un governo neoliberale ed ultra-capitalista che, secondo loro, per sua stessa decisione, mantiene la popolazione sussistendo con uno stipendio di 4 $? Perché dovrebbero voler farla finita, mediante l’uso della forza, con un governo che condivide i loro interessi?

Una premessa che non ha coerenza né senso.

L’incursione armata di La Guaira è giunta a dimostrare che la tesi politica del “tradimento” di Maduro parte da una base ideologica e materiale errata, poiché annulla un fattore chiave: il rovesciamento con la forza di Maduro implica il rovesciamento del chavismo e della nazione venezuelana. Si rifiutano di capire qualcosa di così evidente.

La premessa de “le due parti”

 

Ad eccezione dei deliri ideologici che come sfumature aggiungono entrambi gli estremi, si è fatta strada un’idea che il conflitto in Venezuela sia una sorta di battaglia tra due settori politici. Si simula un ring in cui ci viene fatto credere che si tratti di una lotta di 12 round tra Maduro e Guaidó.

Vedere la situazione come un conflitto “tra i politici” distaccato dalla realtà fa parte del pensiero neoliberale e tecnocratico che si è imposto diversi decenni fa per legittimare il ruolo degli imprenditori e yuppy finanziari a capo degli affari del governo, dello stato e della società.

Questo apprezzamento ha ampiamente permeato la nostra psicologia collettiva, il nostro linguaggio politico come società, lasciando come risultato una visione parziale e fuorviante in cui “entrambi i settori” rappresentano “lo stesso”. Visto in questo modo, tutti i politici sarebbero cattive persone che perseguono particolari benefici, per cui sarebbe meglio collocare esperti, banchieri e tecnocrati nei punti d’indirizzo della società.

Di conseguenza, l’economia neoliberale ha triturato la politica. L’unico filtro per dare un senso alla nostra realtà viene dai numeri, dalle cifre e dai parametri inventati dal capitalismo.

Il fallito piano di omicidio del Presidente ha rivelato che il Venezuela non è un paese di spettatori di fronte ad una logorante lotta tra “due parti”.

Lo conferma il fatto che l’allerta di fronte alla minaccia di intervento ha generato un’enorme mobilitazione sociale in tutti gli strati della società, compresi i militari, la polizia e la popolazione in generale organizzata sotto la milizia. Ancora una volta, è stata dimostrata la capacità organizzativa del chavismo, dal basso, ma anche come i suoi strumenti di organizzazione sociale siano gli unici su cui conta il paese per difendersi di fronte all’intensificazione della guerra.

Nel giro di poche ore, la piccola battaglia tra “politici” è scomparsa dal panorama e ha reso visibile che la Repubblica Bolivariana e la dignità nazionale sia mantenuta da centinaia di migliaia di braccia che, in modo organizzato, secondo un piano di difesa territoriale, gestiscono, in gran parte della geografia nazionale, le tensioni economiche e sociali che questo momento ci presenta.

Nessuna delle tesi politiche che tentano di spiegare la realtà venezuelana può offrire un’opinione coerente sui motivi che hanno impedito che la Repubblica Bolivariana crolli davanti all’escalation delle aggressioni.

Sembrano essere ciechi davanti alla realtà che hanno di fronte: il chavismo non è caduto perché ci sono centinaia di migliaia di loro che lavorano nell’anonimato in modo che ciò non accada.

Come bilancio politico, il fallimento dell’ ‘Operazione Gedeon’ ci ha lasciato una coalizione di tendenze anti-chaviste che hanno dovuto ricorrere all’assunzione di mercenari in assenza di una strategia politica basata sull’organizzazione sociale e territoriale dei suoi militanti.

Ha anche reso visibile che il chavismo non è solo il governo costituzionale del Venezuela, ma una forza politica e territoriale organizzata, che lavora su obiettivi concreti e specifici e che risponde ad un obiettivo comune generale che incorpora milioni di persone, promuovendone la mobilitazione in momenti di alto pericolo.

Per tale motivo, l’obiettivo dell’operazione era chirurgico: catturare ed assassinare il Presidente venezuelano come scorciatoia per porre fine al chavismo. Il problema è che non calcolano né hanno una strategia per gestire il giorno dopo, mentre il chavismo sì.

Anni di preparazione al peggio sono un vantaggio organizzativo e un’efficace tesi politica per fornire risposte ad una realtà segnata dal conflitto. Quella tesi è l’unica che possa organizzare le nostre idee in un momento così complicato come questo.


Las tesis políticas sobre Venezuela que fracasaron junto a la expedición mercenaria

Por William Serafino

Registro de las nuevas pruebas de las últimas horas

En las últimas horas, el estado venezolano ha anunciado nuevas capturas en el marco de la fallida “Operación Gedeón”.

Grupos de mercenarios en el estado Zulia, en la localidad costera de Puerto Maya y en la carretera El Junquito-Carayaca, han sido neutralizados por las fuerzas de seguridad como parte de la “Operación Negro Primero Aplastamiento del Enemigo”, activada por la FANB en unidad cívico-militar para resguardar la soberanía nacional en estos momentos de alerta.

En total, 23 implicados en la expedición armada por las costas marítima fallida ya se han puesto a la orden de la justicia venezolana en total, según lo indicado.

Entre las capturas destacan Luke Denman y Airan Berry, dos ex militares estadounidenses contratados por Juan Guaidó y Estados Unidos a través de la empresa de mercenarios Silvercorp para llevar a cabo un golpe de estado de Venezuela.

La confesión de Denman el 6 de mayo, y la de Berry hace pocas horas, revelan que la intención de la incursión mercenaria por La Guaira era capturar y asesinar al presidente venezolano Nicolás Maduro.

Los objetivos políticos y militares generales de la operación eran la sede de la presidencia de la República Bolivariana (Miraflores), el servicio de inteligencia SEBIN y el aeropuerto de Maiquetía en La Guaira.

El plan era sencillo en el papel: controlar militarmente el aeropuerto (por eso intentaron desembarcar por Macuto, a unos pocos kilómetros), secuestrar a Maduro en una unidad comando fuertemente armada dirigida por alias “Pantera” y Antonio Sequea y luego montar al mandatario venezolano en un avión con destino a Estados Unidos o darle muerte al atraparlo.

Berry confirma que el avión vendría de Estados Unidos y que controlar Maiquetía era clave, al igual que lo hizo ver Denman en su testimonio. Para ello, las camionetas artilladas, el armamento pesado y la logística de combate que no logró desembarcar en Macuto, en teoría permitirían un avance rápido y sorpresivo hacia Miraflores, garantizando el retorno a La Guaira.

Mientras los mercenarios desvelaban la gravedad de los objetivos, el asesor de Juan Guaidó, el colombiano J.J. Rendón vinculado a una trama del narcotráfico hace algunos años, confirmaba la veracidad del contrato suscrito con Silvercorp.

En Estados Unidos, algunos senadores demócratas han solicitado a la Administración Trump que revele la información que tenía sobre este fallido golpe de estado, en franca violación a la legislación que regula el estado de guerra y que la controla el Congreso en ambas cámaras.

Las pruebas irrefutables sobre la participación de Guaidó y Washington se aglomeran dándole forma a todas las piezas de la operación con un nivel de nitidez cada vez mayor.

Algunas ideas también encallaron

Si bien la agresión frustrada no logró sus objetivos, el acto en sí ha venido a demostrar las fallas de determinadas premisas y tesis políticas que se disputan la orientación ideológica del país.

No solo encalló en las costas venezolanas una incursión mercenaria impulsada por Estados Unidos, sino que también lo hizo un conjunto diverso (aunque solo en apariencia) de corrientes políticas que han posicionado sus hipótesis como la única medida de la realidad concreta.

La operación transcurrió en un clima de debate político marcado por los extremos ideológicos, por la desorientación intelectual, y vino a demostrar una nueva fractura de las tesis políticas de determinadas tendencias ideológicas.

Existe un consenso común sobre el impulso dado por Estados Unidos a la operación del magnicidio, pero las ideas que podrían explicar las razones de su fracaso poco pueden aportarnos para dibujar un relato coherente sobre la situación política.

Con los eventos de Macuto, las ideas construidas para dar respuesta a la complicada resolución del conflicto venezolano han fracasado.

La teoría del “quiebre” marca María Corina Machado

La abanderada del sector de la ultraderecha venezolana ha sostenido, durante los últimos años, que las iniciativas de diálogo impulsado por el chavismo y sectores moderados de la oposición representan una pérdida de tiempo.

Ese discurso, aunque no tiene en ella su copyright, ha dado forma al esquema de pensamiento de promotores del golpe de estado como Luis Almagro, Marco Rubio y el mismo Juan Guaidó.

Esta corriente que vincula a elementos mayameros, del fascismo criollo y españolista (el caso de VOX) y de la propia Casa Blanca, tiene una presencia política, organizativa y electoral bastante limitada en el territorio venezolano.

Su aparato político cubre solo algunas zonas encolerizadas del país, lo que ha quedado demostrado en la escasa representación parlamentaria conseguida en las últimas elecciones de 2015.

Por esta debilidad se han valido de medios de comunicación como PanAm Post, de intelectuales de extrema de derecha, de algunos think-tanks y de influencers en las redes sociales para expandir su mensaje e incidir en la opinión pública.

Sus alterados portavoces sostienen que el conflicto ya no es político, sino de “seguridad”; es decir, se debe resolver con plomo y no con diálogo.

Son víctimas de una trama delirante donde rusos, militantes de Hezbolá y delegados misteriosos del Partido Comunista de China conspiran a oscuras para mantener a Venezuela sometida como si fuese una colonia tropical.

Proponen como fórmula de “resolución” al conflicto la combinación de una “amenaza creíble” con una intervención quirúrgica para acabar con el “régimen de Maduro”. Han propagado la idea de que si Washington enseña sus atributos de fuerza, eso sería suficiente para que el chavismo caiga.

En los últimos días, el planteamiento de esta fórmula se ha cumplido parcialmente con la expedición por Macuto, demostrando su falla de origen. Ha quedado expuesta la falsa creencia de que la fuerza bruta es suficiente para derrocar al gobierno venezolano.

Y es que ha ocurrido todo lo contrario a lo teorizado: ante la agresión militar comandada por Silvercorp, el chavismo ha fortalecido el consenso generalizado de defensa y dignidad nacional, reduciendo el espacio político y narrativo de la premisa del “quiebre” por la vía armada.

La hipótesis de la “traición al legado de Chávez”

En la acera de enfrente, y representando también una minoría en términos políticos y electorales, algunos sectores iracundos de la “izquierda” venezolana han desplegado la narrativa de que Maduro ha “entregado” el legado de Chávez, en el marco de una conspiración con tendencias reformistas y empresariales que han demolido las conquistas del proceso chavista.

Según esta perspectiva, apoyada en un rosario de complejos, afirmaciones confusas y escasos datos de la realidad material, Maduro estaría encabezando una “traición” a gran escala con el objetivo de entregar el país a capitalistas, burócratas y terratenientes.

Esta premisa no se detiene a reflexionar el complejo panorama presupuestario de la República a raíz del bloqueo económico de Washington y el secuestro de los activos nacionales que han impedido al país recuperar su economía y atender la pandemia de Covid-19. Para ellos, este terrible cuadro material en que se encuentra el país se ubicaría en un segundo plano, ya que lo fundamental es que Maduro, y el gobierno venezolano en general, parecen haber decidido que esta es la situación que más nos conviene, como si nuestra realidad concreta fuese el subproducto de una maniobra cargada de maldad y sadismo.

Pero si esta teoría fuese cierta, lo más lógico sería que Washington y el ala armada del antichavismo suspendieran sus permanentes intentos de derrocar al gobierno venezolano, ahora recientemente con una intervención armada.

Al fin y al cabo, si Maduro está día a día entregándoles el país a sus enemigos, lo que se podría esperar es que Estados Unidos y hasta el mismo Guaidó, sus enemigos principales, celebraran las acciones del mandatario o lo vieran con buenos ojos.

Y es que resulta paradójico y confuso. A medida que aumenta la “entrega del legado”, a mayor conspiración para acabar con la Revolución “desde adentro”, los intentos de golpe sanguinario por impulso de Washington van escalando en peligrosidad.

¿No debería ser al revés? Es decir, ¿la “traición al legado” no debería suponer la satisfacción de Guaidó y la Casa Blanca? ¿Por qué estarían interesados en derrocar un gobierno neoliberal y ultracapitalista que, según ellos, por decisión propia, mantiene a la población subsistiendo con un sueldo de 4 dólares? ¿Por qué querrían acabar a la fuerza con un gobierno que comparte sus intereses?

Una premisa que no tiene coherencia ni sentido.

La incursión armada por La Guaira vino a demostrar que la tesis política de la “traición” de Maduro parte de una base ideológica y material errada, pues anula un factor clave: el derrocamiento a la fuerza de Maduro implica tumbar al chavismo y la nación venezolana. Se resisten a entender algo tan evidente.

La premisa de “los dos bandos”

Salvo los delirios ideológicos que a modo de matices agregan ambos extremos, se ha abierto paso una idea de que el conflicto en Venezuela es una especie de batallita entre dos sectores políticos. Se simula un ring donde se nos quiere hacer creer que es una pelea a 12 asaltos entre Maduro y Guaidó.

Ver la situación como un conflicto “ente los políticos” despegados de la realidad parte del pensamiento neoliberal y tecnocrático que se impuso hace varias décadas para legitimar el papel de los empresarios y yuppies financieros al frente de los asuntos del gobierno, el estado y la sociedad.

Esta apreciación ha permeado en buena medida nuestra psicología colectiva, nuestro lenguaje político como sociedad, dejando como resultado una visión parcial y engañosa donde “ambos sectores” representan “lo mismo”. Visto así, todos los políticos serían malas personas que persiguen beneficios particulares, por lo que resultaría mejor colocar a expertos, banqueros y tecnócratas en los puntos de dirección de la sociedad.

Como resultado, la economía neoliberal ha triturado la política. El único filtro para darle sentido a nuestra realidad viene de los números, de las cifras y de los parámetros inventados por el capitalismo.

El fallido plan de magnicidio hizo ver que Venezuela no es un país de espectadores frente a una pelea desgastante entre “dos bandos”.

Lo confirma que la alerta ante la amenaza de intervención generó una enorme movilización social en todas las capas de la sociedad, incluyendo militares, policías y población en general organizada bajo la milicia. Se demostró, nuevamente, la capacidad organizativa del chavismo desde abajo pero también cómo sus instrumentos de organización social son los únicos con los que cuenta el país para defenderse ante el recrudecimiento de la guerra.

En cuestión de pocas horas, la batallita entre “políticos” desapareció del panorama e hizo visible que la República Bolivariana y la dignidad nacional es mantenida por cientos de miles de brazos que, organizadamente bajo un plan de defensa territorial, gestionan en gran parte de la geografía nacional las tensiones económicas y sociales que nos presenta este momento.

Ninguna de las tesis políticas que intentan explicar la realidad venezolana puede ofrecer una opinión coherente sobre las razones que han impedido que la República Bolivariana se desmorone ante el escalamiento de las agresiones.

Parecen estar ciegos ante la realidad que tienen al frente: el chavismo no ha caído porque hay cientos de miles de ellos trabajando en el anonimato para que eso no ocurra.

Como balance político, el fracaso de la “Operación Gedeón” nos ha dejado a una coalición de tendencias antichavistas que han tenido que recurrir a la contratación de mercenarios a falta de una estrategia política basada en la organización social y territorial de sus militantes.

También ha visibilizado que el chavismo no es únicamente el gobierno constitucional de Venezuela, sino una fuerza política y territorial organizada, que trabaja sobre metas concretas y específicas y que responde a un objetivo común general que incorpora a millones de personas impulsando su movilización en momentos de alto peligro.

Por esa razón, el objetivo de la operación era quirúrgico: capturar y asesinar al Presidente venezolano como un atajo para acabar con el chavismo. El problema es que no calculan ni tienen una estrategia para manejar el día después, y el chavismo sí.

Años preparándote para lo peor es una ventaja organizativa y una tesis política efectiva para dar respuestas a una realidad marcada por el conflicto. Esa tesis es la única que puede organizar nuestras ideas en un momento tan complicado como este.

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