“Dietro l’aggressione imperiale contro il Venezuela c’è un racket mafioso che assomiglia a Cosa Nostra”
di Pino Arlacchi* www.lantidiplomatico.it
L’ ultima aggressione al Venezuela, la sesta in due anni, è appena fallita. Gli Stati Uniti hanno montato l’ ennesima operazione coperta contro il governo Maduro, finendo per l’ ennesima volta nella cacca. E negando per l’ ennesima volta di avere sostenuto l’ azione criminale.
Da 50 anni in qua, il copione è sempre lo stesso, cioè quello delle serie tv di bassa qualità. Un ‘ armata Brancaleone di disertori, reietti umani, ex killer delle forze speciali vengono mandati allo sbaraglio contro un governo forte, popolare e dotato di apparati di sicurezza di prim’ordine.
In Venezuela trovano un solo pirla disposto a finanziare il loro delirio: Juan Guaidò. E quando il tutto raggiunge la sua ovvia conclusione, il capo della banda pubblica sul Washington Post il contratto criminale firmato da Guaidò e minaccia di citarlo in giudizio per non aver fatto la sua parte.
Subito dopo, il direttore della CIA dice di non avere nulla a che fare con lo “sbarco dei porcellini”, e come prova di ciò non trova niente di meglio che dichiarare che se lo sbarco l’avesse preparato lui l’ esito sarebbe stato differente. Facendo venire così in mente a tutti lo sbarco degli esuli cubani nella baia dei Porci, organizzato dalla CIA a Cuba nel 1961 e finito nel disastro più totale.
La cosa che non cessa di sconcertare anche i critici più sgamati dell’ anonima assassini chiamata CIA è la sua incapacità di imparare dai propri sbagli. Il suo essere tutto tranne che un serio servizio di intelligence. Un servizio cioè in grado di usare il cervello prima di rapire, torturare e uccidere. Un servizio capace di suggerire al presidente degli Stati Uniti strategie di attacco che possono anche differire dal “vado, l’ ammazzo e torno” degli Spaghetti Western.
Se ai vertici della CIA non si fossero avvicendati degli psicopatici come Pompeo – un uomo che si è vantato di avere “rubato, mentito e ingannato” davanti ai cadetti di West Point – l’ amministrazione Trump non avrebbe collezionato in Venezuela una serie così spettacolare di sconfitte dal 1999 in poi.
Solo un infermo di mente circondato da suoi pari può non arrivare a capire la ragione di fondo dei fiaschi di Caracas: i governi chavisti non sono gli esecutivi di una repubblica delle banane. Maduro ed i suoi non sono certo immuni da difetti anche seri, ma non sono al servizio dell’ oligarchia compradora che ha spadroneggiato in Venezuela fino all’avvento di Chavez. Sono un governo nazional-popolare legittimato da un largo consenso espresso in regolari elezioni. I suoi ministri non sono pronti a calarsi le mutande di fronte al primo tycoon gringo o al primo bankster di Miami che dia rifugio ai loro soldi sporchi.
Ed i militari venezuelani non tradiscono perché Chavez ha creato un esercito popolare, una forza armata atipica per l’ America latina, che è frutto di una profonda riforma democratica e che se ne frega del Pentagono. Una forza fedele alla Costituzione, affiancata da una milizia popolare di 4 milioni 150mila uomini e donne.
Pentagono e pianificatori militari sono consapevoli di tutto questo. Non ne fanno mistero e si oppongono ai deliri di Trump, Pompeo e simili. Basta consultare la simulazione di un attacco al Venezuela pubblicata su Foreign Affairs, la rivista dell’ establishment atlantico: tutto inizierebbe come l’ Irak e finirebbe come il Vietnam.
Se è così, ci si può chiedere allora perché non scattino dei contrappesi alla crudele demenza che appesta la Casa Bianca. In fondo, anche il governo americano è un’entità complessa, e se il capo della CIA non è in grado di ragionare, ci dovrebbe essere qualcun altro – Congresso o Dipartimento di Stato, per esempio – a proporre strategie più razionali sul Venezuela.
Ma è proprio qui che sta la tragedia dell’ attuale elite del potere americano. La perdita di contatto con la realtà è comune a quasi tutte le sue componenti, ed è tipica dei regimi in disfacimento. Dagli imperatori romani della decadenza in poi, le cabine di regia subiscono un processo degenerativo e si affollano di pazzi, delinquenti, e semplici imbecilli incapaci di valutare le conseguenze ultime delle loro azioni.
Il materiale umano avariato che compone l’ amministrazione USA non è in grado, perciò, di governare processi a vasto raggio, ed è facile preda di gruppi di interesse relativamente piccoli. Nel caso del Venezuela, parliamo di un racket para-mafioso composto da un pugno di grassatori di Wall Street strettamente associati a membri dell’ oligarchia venezuelana in esilio installati tra Harvard e Washington. Tutti insieme appassionatamente nel saccheggio del proprio paese.
Sono i burattinai di Guaidò. Mi riferisco ai beneficiari delle sanzioni e del blocco finanziario del Venezuela decisi dal tesoro americano (200 miliardi di dollari). Gli architetti del sequestro del pezzo più pregiato dell’industria petrolifera venezuelana, la mega-raffineria CITGO, localizzata negli Stati Uniti (30 miliardi di dollari). Parlo della stessa gang che ha distrutto la moneta nazionale del Venezuela (300 miliardi di dollari) tramite siti web che pubblicano false quotazioni del tasso di cambio. Una cupola affaristica che ha spinto il Tesoro USA a congelare i fondi del Venezuela depositati nelle banche di 15 nazioni (5 miliardi di dollari, sufficienti da soli a soddisfare i bisogni alimentari del paese per un paio di anni).
Dietro l’aggressione imperiale del Venezuela, quindi, agisce un perfido racket mafioso che assomiglia a Cosa Nostra. Ma è proprio in Italia che abbiamo dimostrato che la mafia non è invincibile.
*Ex Vice Segretario Generale dell’ONU
Caracas denuncerà la Colombia alla Corte Penale Internazionale
In un’intervista rilasciata a Caracol Radio, emittente colombiana, il Ministro del Potere Popolare per gli Affari Esteri, Jorge Arreaza, ha affermato che non vi è alcun dubbio sul collegamento delle autorità colombiane con l’operazione di incursione e il piano di aggressione contro il Venezuela, promossi dagli Gli Stati Uniti con il supporto di trafficanti di droga, mercenari e uomini d’affari.
Arreaza ha evidenziato che, come affermato anche dal Presidente Nicolás Maduro, “non c’è altra scelta se non quella di denunciare e agire per portare il signor Duque e i responsabili davanti alla Corte Penale internazionale, affinché assumano davanti al mondo e al loro popolo la responsabilità di aver attaccato un paese amico e vicino”.
In tal senso, ha espresso delusione per l’inadempimento, da parte della Repubblica di Colombia, degli impegni più elementari del diritto internazionale e del mondo civile, sostenendo la complicità e la partecipazione del governo colombiano, in modo manifesto ed evidente, attraverso diverse azioni per la destabilizzazione del Popolo venezuelano.
“Il coinvolgimento delle autorità colombiane in queste operazioni è più che evidente (…) Dopo l’attacco del 4 agosto, sono state fornite all’allora Incaricato d’Affari in Venezuela tutte le informazioni e le coordinate dei campi di addestramento nei pressi di Barranquilla e Chinácota, a nord di Santander: cos’hanno fatto le autorità colombiane, l’esercito e il Ministero della Difesa?
Il 26 settembre 2019, la Vicepresidente della Repubblica, Delcy Rodríguez, ha presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite le foto e le coordinate dei campi di addestramento, comprese le immagini di alcune case dove questi mercenari hanno confessato di essersi esercitati o aver alloggiato.
Il Ministro degli Esteri ha ricordato che il 23 febbraio dello scorso anno era stato denunciato che Clíver Alcalá Cordones, insieme a un gruppo di ex militari venezuelani e paramilitari colombiani, si stesse addestrando nella zona di Alta Guajira, con l’intenzione di forzare militarmente l’ingresso del presunto “aiuto” umanitario” inviato dagli Stati Uniti. A questo proposito, ha denunciato che il governo colombiano ha evitato di indagare sulla questione e agire in conformità con il diritto internazionale, in eventi internazionali di questo tipo.
Ha inoltre ricordato che, nel mese di marzo scorso, lo stesso Alcalá aveva confessato pubblicamente, attraverso una radio colombiana, che da quel territorio si stava preparando la recente aggressione mercenaria per entrare in Venezuela: successivamente, si era consegnato alla DEA come collaboratore, senza alcuna azione da parte del Governo della Colombia.
Il Ministro ha evidenziato che “Da quel 26 marzo, giorno della denuncia, al 3 maggio, giorno in cui le autorità venezuelane hanno registrato un’incursione armata nel paese, le autorità colombiane non hanno fatto assolutamente niente: non hanno indagato, non si sono recate nei luoghi indicati come sede dei campi di addestramento, non hanno fatto irruzioni, non hanno protetto le coste”.
Ha inoltre sottolineato che le denunce non sono state trasmesse soltanto al governo colombiano, ma sono state rese pubbliche, attualmente anche con “la testimonianza delle 40 persone detenute negli ultimi giorni, tra cui due statunitensi, e del signor Jordan Goudreau, che dalla Florida ha confermato che l’operazione fosse partita dalla Colombia e che si fossero addestrati in Colombia: quali prove ulteriori dobbiamo avere?” ha dichiarato il Ministro degli Esteri Arreaza nell’intervista a Radio Caracol.
Per quanto riguarda il ritrovamento nel fiume Orinoco di tre imbarcazioni di artiglieria con emblemi della Marina colombiana, il Ministro ha spiegato che, sebbene siano state trovate vuote, “non si può escludere nulla, soprattutto dopo gli eventi dell’Alta Guajira e la serie di denunce fatte dal 2018”. Ha affermato che se le indagini non dovessero riportare alcuna notizia, i governi si muoverebbero per attuare, possibilmente, protocolli internazionali e di buon vicinato.
“È molto strano che tre imbarcazioni di artiglieria a uso di pattuglia, un uso pericoloso, si lascino semplicemente trasportare dalla corrente e si fermino li, in un luogo riparato (…): urge una comunicazione tra i nostri governi, al massimo livello, per risolvere sia questo tipo di incidenti sia altre situazioni, anche molto più gravi, che si sono verificate lungo il nostro ampio confine “, ha concluso Arreaza.