Dopo che gli USA hanno inserito Cuba tra i Paesi che collaborano con il terrorismo, il partito colombiano nato dalle ceneri del gruppo guerrigliero ha lasciato il tavolo per l’applicazione degli accordi di fine 2016.
Per Pepe Mujica è un «fallimento dell’umanità»: la strada per la pace è sempre più in salita. Tra le uccisioni degli ex combattenti e dei leader sociali emerge lo scandalo spionaggio: 130 politici e giornalisti intercettati dall’esercito. E in molti accusano il presidente Duque
Dopo lo scandalo dei politici e giornalisti spiati dall’esercito, cade un’altra tegola sul processo di pace in Colombia. Il partito Farc, nato dalla guerriglia e oggi in parlamento, si è ritirato dalla commissione di verifica per gli accordi di pace, contestando la decisione degli Stati Uniti di inserire Cuba tra i Paesi che non collaborano contro il terrorismo internazionale.
«Un delegato per la guerra». FARC contro Ceballos
Come ha spiegato il rappresentante del partito Rodrigo Granda, la scelta di abbandonare la Csivi (Comisión de seguimiento, impulso y verificación a la implementación del Acuerdo de paz) è dettata dal comportamento dell’Alto commissario per la pace in Colombia Miguel Ceballos, che ha avallato la decisione del dipartimento di Stato Usa di inserire Cuba (e il Venezuela) nella “lista nera”. «Non sembra un Alto commissario per la pace ma un delegato per la guerra», si legge nell’account Twitter ufficiale del partito. «Festeggia il fatto che un Paese garante dell’accordo di pace in Colombia sia messo nella lista dei “collaboratori del terrorismo”. Per questo abbiamo deciso di sospendere la nostra partecipazione alla Csivi».
Cuba, che occupa una posizione importante all’interno della commissione per l’applicazione degli accordi firmati nel novembre 2016 tra le Farc e il governo di Bogotà, è accusata da Washington di non estradare dieci membri del gruppo guerrigliero colombiano Eln (Ejército de liberación nacional), oggi principale organizzazione ribelle dopo l’addio alle armi delle Farc.
La difesa di Cuba e lo sterminio degli ex combattenti
«(Cuba, ndr) è un Paese che ha contribuito in modo permanente alla costruzione della pace in Colombia», spiega Jairo Estrada, membro di FARC (Fuerza alternativa revolucionaria del común), partito nato nell’agosto 2017 dalle ceneri dell’ex gruppo ribelle delle Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia, di cui ha mantenuto l’acronimo, e rappresentante di Voices of Peace.
Il ruolo dell’Avana nel processo di pace, dopo 50 anni di guerra civile, è stato centrale: le trattative si sono svolte nell’isola caraibica, che tuttora mantiene un proprio delegato nella commissione per l’applicazione degli accordi. Ma la saldatura tra Colombia e Usa nella linea anti-cubana fa vacillare gli sforzi per la pacificazione. «È un fallimento dell’intera umanità», è il commento dell’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica, intervenuto al forum del Grupo Puebla.
Dal 1° dicembre 2016, quando è entrato in vigore l’accordo di pace, il partito Farc ha denunciato l’uccisione di quasi 200 ex guerriglieri, quasi sette al mese. Di questi, quasi 120 sono stati ammazzati durante la presidenza di Iván Duque, del partito conservatore Centro democratico, in carica dall’agosto 2018. «Uno sterminio sistematico contro ex combattenti», denuncia l’avvocato Diego Martinez, che chiederà una visita nel Paese della Commissione interamericana per i diritti umani (Iachr).
Negli omicidi degli ex guerriglieri sono coinvolti anche alcuni militari, come un caporale dell’esercito colombiano, per ora l’unico condannato.
Lo scandalo spionaggio e i leader sociali ammazzati
Ma ad avvelenare ulteriormente il clima, tornato molto pesante in Colombia, c’è anche lo scandalo spionaggio, rivelato dalla rivista Semana poche settimane fa. Almeno 130 tra politici, giudici e giornalisti sono stati spiati illegalmente per mesi dall’esercito. Tra loro anche inviati del New York Times e del Washington Post, oltre al direttore latinoamericano di Human Rights Watch.
Nel mirino dell’intelligence militare di Bogotà sono finiti anche avvocati e difensori dei diritti umani, colombiani e stranieri. Un’inchiesta che ha sollevato un polverone contro Duque e il suo Centro democratico, fondato nel 2013 dall’ex presidente Álvaro Uribe, fedele alleato di Washington. Per Duque, che ha cacciato 11 ufficiali, si tratta di «mele marce».
Ma in Colombia la transizione verso la pace sembra molto in salita. Basti pensare che nel 2019 l’Istituto di studi per la pace e lo sviluppo (Indepaz) ha registrato 250 leader sociali assassinati. Nei primi quattro mesi del 2020 ne sono stati uccisi già 109.
Dietro gli omicidi, intensificatisi durante la quarantena, si annidano gli interessi di paramilitari, narcos, latifondisti e uomini d’affari, i cui fili sono ben intrecciati con quelli del potere centrale.