La victima y el verdugo – La vittima e il boia, o anche del bue e dell’asino

di Aquíno S.R.N.C.

La notte del passato 30 di aprile 32 colpi di fucile d’assalto Ak 47 colpivano la facciata della sede della ambasciata della Repubblica di Cuba a Washington. Non si riportavano feriti, ma l’episodio si sarebbe potuto convertire in una strage. L’attentatore, quello che successivamente si è voluto far passare come un autore isolato, è stato catturato dopo pochi minuti dalla polizia locale e da agenti del servizio segreto degli Stati Uniti.

A due settimane dal trascorrere dei fatti nessun pronunciamento o dichiarazione è stata emessa sull’accaduto dal Dipartimento di Stato, ne da altro organismo del governo statunitense. Nessun contatto è avvenuto da parte delle autorità nordamericane con la rappresentanza diplomatica cubana ospitata in territori USA. Nessuna informazione sull’autore, ne sulle indagini in corso è stata fornita al governo cubano ne al suo ambasciatore da parte del governo degli Stati Uniti. Di dichiarazioni di condanna dell’attentato, neanche a parlarne. L’autore dell’attacco è stato descritto da alcuni mezzi di informazione locali come un mezzo squilibrato, il cliché dello sparatore folle solitario già molte volte usato in passato nella storia del paese nordamericano.

Già a quarantottore dagli avvenimenti della notte del 30 aprile, il ministro degli esteri di Cuba Bruno Rodriguez Parrilla, forniva una dichiarazione ufficiale dove, oltre a condannare con forza l’attentato, lamentava il comportamento negligente delle autorità statunitensi. La latitanza omertosa di queste è proseguita nei giorni successivi. Il 12 di maggio Rodriguez Parrilla in una conferenza stampa, con la presenza, virtuale, per ragioni di ordine sanitario, di giornalisti nazionali e stranieri, ha fornito numerose informazioni che hanno svelato alcuni importanti retroscena dell’attacco terroristico. Alexander Alazo Barò, l’autore di origine cubana è risultato essere alla fine, non cosi folle come descritto e soprattutto per niente isolato. Il Ministro degli Esteri cubano ha ricostruito con dovizia di particolari l’articolazione di relazione, anche operative, che ruotano attorno a un centro religioso neo pentecostale e ai suoi frequentatori, alcuni dei quali così “illustri” da far puntare l’attenzione dritto verso la casa bianca, come descrive bene l’articolo che segue di Rosa Miriam Elizalde. I senatori Marco Rubio e Rick Scott il deputato Mario Diaz-Balart, il governatore della Florida Ron De Santis, tutti politicanti che hanno costruito lucrose carriere foraggiati dai magnati cubano-americani della controrivoluzione di Miami. Ma primus inter pares tra gli “illustri” frequentatori del centro, il cui nome è tutto un programma, Doral Jesus Warship Center, è il Vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence. E qui il collegamento con la casa bianca è presto fatto. Se ciò non bastasse, Il Centro Nave da Guerra di Gesù Dorato accoglie, “caritativamente”, anche alcuni frequentatori non così “illustri” una sorta di parenti poveri come ad esempio Ramón Saúl Sánchez, che però possono sempre fare comodo per azioni coperte e terrorismo di stato. Il ministro degli esteri cubano Rodriguez Parrilla ha denunciato la politica d’odio dell’amministrazione Trump che con il durissimo rafforzamento del blocco economico, (86 misure-attacchi economici contro l’Isola solo nel 2019), la scalata aggressiva e bellicista contro Cuba, è stata la diretta istigatrice dell’attentato.

Neanche a ventiquattro ore di distanza dalle dichiarazioni del ministro degli esteri cubano, è scattata ad orologeria la inscrizione di Cuba da parte del governo statunitense in una loro, arbitraria quanto extragiudiziale, lista di paesi patrocinatori del terrorismo. Arbitraria e extragiudiziale si, ma non priva di gravissime conseguenze sul piano politico ed economico a livello internazionale, vista la incredibile e atletica capacità di genuflessione ai voleri dell’imperialismo a stelle e strisce, da parte di una numerosa pletora di imprese, banche, governi e stati del mondo.

Cuba non ha mai fatto mistero della sua etica e prassi rivoluzionaria. Se questo ha comportato fornire il proprio appoggio solidario e militante a chi combatteva contro le peggiori dittature e i sistemi più brutali del neo-colonialismo del pianeta, Cuba questo lo ha sempre rivendicato con umiltà, ma anche con orgoglio. Dittature, guarda caso, direttamente guidate e finanziate dall’imperialismo statunitense. La rivoluzione cubana, nonostante minacce, ricatti e vani tentativi di divisione, non ha fatto mai mancare, ne mai lo farà in nessuna circostanza, la sua solidarietà militante e internazionalista nei confronti della rivoluzione bolivariana del Venezuela, a fianco del suo popolo e del suo governo. E’ storia vecchia; chi oggi a Washington come a Miami progetta e organizza invasioni mercenarie, e non, pianifica e realizza colpi di stato e attentati, e ha, con la C.I.A., armato la mano assassina che è costata a Cuba, dopo la vittoria rivoluzionaria del 1959, la vita all’incirca di suoi 4000 cittadini tra cui 12 diplomatici, ha la sfrontatezza di chiamare terrorista chi, con le unghie e con i denti difende il proprio diritto all’autodeterminazione. Difende, la volontà di costruire un modello di relazioni umane, prima ancora che economiche, sociali e politiche, basato non sulla barbarie capitalista, ma invece sul socialismo. E qui casca l’asino, e il suo “essere terrorista”, ovviamente sempre a detta del bue.

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