Trump in un bunker, Guaidó su Twitter e Maduro a Miraflores. Undici parole che rappresentano un editoriale. Undici parole che fanno crollare miseramente anni di propaganda su democrazia e diritti umani. Il presidente degli Stati Uniti rinchiuso in un bunker per sfuggire alla rabbia popolare scatenata dall’ennesimo omicidio di un cittadino afroamericano per mano della polizia.
L’autoproclamato presidente ad interim del Venezuela, forse riparato in un’ambasciata straniera, che gioca a fare il presidente virtuale a suon di tweet. Social che lo accomuna al suo padrino del nord.
Mentre il tiranno, lo spietato dittatore Maduro, è ancora saldamente al comando. In quel palazzo Miraflores che ogni qualvolta si verifica un tentativo di golpe viene immediatamente raggiunto da una moltitudine decisa a difendere il presidente e la Rivoluzione Bolivariana. Che differenza abissale con Washington.
Trump in un bunker
Le opzioni sul tavolo si riducono a un bunker nella Casa Bianca. La pericolosa arroganza di Trump ha una giustificazione, che non è altro che la necessità di nascondere la farsa che rappresenta. Bene, un presidente “eletto” con la partecipazione del 25% degli elettori, che ha ottenuto meno voti del suo avversario; non potrebbe esserci altro destino che fuggire da una città in fiamme.
Il nuovo coronavirus ha colto di sorpresa parte del popolo statunitense, che si è scoperto orfano con un sistema sanitario privatizzato e uno Stato incapace di rispondere a un’emergenza. Una realtà che era già nota alle minoranze etniche e agli afroamericani che sono stati discriminati e umiliati per più di 300 anni in una società profondamente disuguale. Rabbia e indignazione per un nuovo omicidio di un essere umano da parte di un poliziotto a cui non piaceva il colore della sua pelle.
Guaidó su Twitter
Cospirano, falliscono nei loro piani, scrivono tweet minacciosi e si chiudono in un’ambasciata. Questo sembra essere il destino comune della “leadership” dell’opposizione venezuelana che non si assume mai la responsabilità delle sue azioni e che nel bel mezzo della pandemia ha deciso di intensificare gli attacchi contro il popolo.
Sebbene Juan Guaidó insista nel dire che “è nello stesso posto di sempre” e sta rispettando la quarantena promossa da Nicolás Maduro, la sua ubicazione dopo il fallimento dell’operazione Gedeone è un mistero, non perché la sua presenza è necessaria, ma perché si prospetta la possibilità che non paghi per i suoi crimini, sostenuto dai governi interventisti.
Maduro a Miraflores
Oggi Miraflores è più che mai considerata un simbolo delle maggiori controversie geopolitiche. L’unico che continua nello stesso posto di sempre è Nicolás Maduro. Ancora una volta trova vie di avanzamento nel mezzo di una tempesta, mostrando alla comunità internazionale la sua capacità di leadership nella gestione della crisi interna del coronavirus; anche violando il blocco e il potere delle potenze, grazie a vecchie alleanze con paesi anch’essi assediati dal governo degli Stati Uniti.
Maduro, che alcuni mesi fa definivano “dittatore isolato”, è ora indicato come il leader delle moltitudini che protestano per le strade degli Stati Uniti e i portavoce dell’autoproclamato, firmano persino un accordo in cui riconoscono la sua autorità.