di Mauro Gemma per Marx21.it
L’arrivo in Colombia, all’inizio di giugno, di un contingente di circa 800 soldati statunitensi, con l’abituale pretesto della “lotta al narcotraffico”, ha sollevato un’ondata di proteste nel paese e nel resto dell’America Latina.
I soldati statunitensi opereranno per quattro mesi in varie regioni della Colombia, in particolare nelle aree di confine con il Venezuela: una nuova minacciosa provocazione contro la Repubblica Bolivariana, dopo quelle che si sono già registrate nelle scorse settimane.
La presenza sul territorio nazionale della brigata militare americana non ha neppure ottenuto il placet del Congresso colombiano. Le istituzioni del paese hanno apparentemente appreso del suo arrivo solo attraverso una dichiarazione dell’ambasciata di Washington a Bogotà.
Le forze politiche progressiste e democratiche colombiane si sono immediatamente mobilitate.
Per il Partito Comunista Colombiano “non si tratta di un aiuto disinteressato. L’amministrazione Trump non si preoccupa delle centinaia di leader sociali ed ex combattenti assassinati dal militarismo statale, ma piuttosto impone alla Colombia un nuovo capitolo della fallita guerra alla droga come pretesto per aumentare la sua presenza incostituzionale nel territorio nazionale ».
Nella nota si aggiunge: “Il popolo colombiano rivendicherà nelle strade, in mobilitazioni unitarie, soluzioni sociali per la fame, i licenziamenti, la disoccupazione, la salute e anche il rispetto per la vita, per la pace e la fine di una cattiva gestione che tradisce la sovranità nazionale” .
La senatrice Victoria Sandino, della Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común (FARC), ha espresso la sua protesta contro il governo colombiano, per non aver sottoposto alla discussione parlamentare le questioni relative alla “cooperazione” con gli Stati Uniti. “Ovunque gli statunitensi vadano, c’è una violazione dei diritti umani. Pertanto, no alle truppe dei gringos ”, ha scritto.
Il deputato Omar Restrepo, considerato il portavoce dei contadini colombiani al Congresso, ha affermato che la presenza militare degli Stati Uniti nelle aree in cui dovrebbe essere attuato l’accordo con l’ex guerriglia rappresenta una provocazione contro la pace e minaccia di provocare nuove vittime nelle comunità contadine che in passato hanno patito sofferenze a causa del conflitto armato in Colombia.
Ha fatto sentire la sua voce anche il leader della Forza Rivoluzionaria Alternativa del Comune, Rodrigo Londoño, sottolineando che “l’accordo di pace firmato a L’Avana non prevedeva la presenza dell’esercito statunitense sul suolo colombiano”.
In un suo comunicato, il partito FARC ha sottolineato che “l’impero in decomposizione, che ha il suo popolo che protesta alle porte della Casa Bianca, vuole provocare una guerra in Colombia e Venezuela”. E ha lanciato un appello a non permettere “che il nostro sangue venga versato perché costoro si impadroniscano delle nostre ricchezze e si installino sulla nostra terra”.
Anche il senatore Iván Cepeda, del Polo Democratico Alternativo, ha affermato che per combattere il traffico di droga non sono necessarie le truppe di invasione dagli Stati Uniti. A suo avviso, basterebbe che “i politici di estrema destra tronchino i loro legami con i clan mafiosi”.
La provocazione dell’amministrazione statunitense è stata condannata anche nel resto del continente latinoamericano. A Buenos Aires, il Gruppo di Puebla, un’alleanza progressista a cui partecipano 41 leader ed ex presidenti di 13 paesi, ha rilasciato una dichiarazione che condanna la presenza del contingente dell’esercito statunitense in Colombia.