Enrique Ubieta Gómez www.cubadebate.cu
Si chiama Elena Pinzario ed è rumena. È la paziente dimessa numero 100. Ha 52 anni, non soffre di alcuna malattia, tranne che il nuovo coronavirus le ha prodotto lesioni ischemiche nell’intestino tenue.
Le hanno eseguito un’ileostomia, che deve essere riparata tra sei mesi, a seconda della sua evoluzione. La sua ferita chirurgica è stata curata fino alla sua completa chiusura. Gli esami complementari si sono evoluti bene. Si è adattato alla dieta iniziale, ma è già gratuito.
Suo marito ed i sue due figli la aspettano a casa. Solo che la casa non è in Italia. Solo due giorni fa sua madre è morta, erano le 2:30 del pomeriggio. Questo lo sa esattamente il suo medico, il giovane chirurgo cubano Luis Miguel Osoria Mengana, 30 anni, perché glielo ha detto, pochi minuti dopo, per WhatsApp.
Voi vi scrivevate? “Sì, quando ero fuori dalla zona rossa mi scriveva, mi diceva se si sentiva bene o male, mi chiedeva se aveva dubbi o mi chiedeva di entrare se pensava che fosse necessario che la vedessi, m’inviava foto”.
È un’operatrice sanitario (ausiliaria infermieristica) e viveva in un appartamento che affittava con una collega di lavoro. La pandemia, paradossalmente, le aveva offerto un’opportunità di lavoro nella sua vicina Italia. Ma si è ammalata di COVID-19.
La portano in una sedia a rotelle sino alla porta e cubani ed italiani la fotografiamo. Sa che è la centesima paziente guarita e saluta, emozionata. Allora appare Luis Miguel, lo abbraccia e dice: “Questo è il mio dottore cubano!”.
Un’ora dopo abbiamo eseguito il rito, questa volta sotto una pioggia impertinente. La madre di Michele ha realizzato uno speciale nastro bianco, un po’ più grande, con un 100 ricamato in rosso.
È stata lei a preparare il tessuto che ha dato il benvenuto alla Brigata Henry Reeve all’aeroporto di Torino; lo ha ritaglialo dal suo corredo da letto nuziale, un regalo di nozze. I dottori Sergio Lavigni, direttore dell’Ospedale e Julio Guerra, capo della Brigata cubana, collocano il nastro. Non è la fine, ma un nuovo inizio.
Una brigata se ne è andata e ora siamo più soli, ma continueremo a lottare qui a Torino; se esiste cura per la pandemia, ci dovrà essere una cura per questo pazzo mondo.
Crónicas desde Turín: La paciente salvada número 100
Por: Enrique Ubieta Gómez
Se llama Elena Pinzario, y es rumana. Es la paciente de alta número 100. Tiene 52 años, no padece de ninguna enfermedad, salvo que el nuevo coronavirus le produjo lesiones isquémicas en el intestino delgado.
Le hicieron una ileostomía, la cual debe repararse a partir de los seis meses, en dependencia de su evolución. Su herida quirúrgica fue curada hasta que cerró completamente. Los exámenes complementarios evolucionaron bien. Se adaptó a la dieta inicial, pero ya la tiene libre.
Su esposo y sus dos hijos la esperan en casa. Solo que la casa no está en Italia. Hace apenas dos días su mamá falleció, eran las 2: 30 de la tarde. Eso lo sabe con exactitud su médico, el joven cirujano cubano Luis Miguel Osoria Mengana, de 30 años de edad, porque se lo dijo, unos minutos después, por WhatsApp.
¿Ustedes se escribían? “Sí, cuando yo estaba fuera de la zona roja me escribía, me decía si se sentía bien o mal, me preguntaba si tenía dudas o me pedía que entrara si creía que era necesario que la viera, me enviaba fotos”.
Es operadora sanitaria (auxiliar de enfermería) y vivía en un apartamento que alquilaba junto a una compañera de trabajo. La pandemia, paradójicamente, le había ofrecido una posibilidad de trabajo en su vecina Italia. Pero enfermó de la COVID-19.
La traen en silla de ruedas hasta la puerta, y cubanos e italianos la fotografiamos. Sabe que es la paciente recuperada número 100 y saluda, emocionada. Entonces aparece Luis Miguel, lo abraza y dice: “¡Este es mi médico cubano!”.
Una hora más tarde cumplimos el rito, esta vez bajo una impertinente lluvia. La madre de Michele ha confeccionado una cinta blanca especial, algo más grande, con un 100 bordado en rojo.
Ella fue la que preparó la tela que dio la bienvenida a la Brigada Henry Reeve en el Aeropuerto de Turín; la recortó de su juego de cama nupcial, un regalo de bodas. Los doctores Sergio Lavigni, director del Hospital y Julio Guerra, jefe de la Brigada cubana, colocan la cinta. No es el final, sino un nuevo comienzo.
Una brigada se ha ido, y estamos más solos ahora, pero seguiremos peleando aquí, en Turín; si hay cura para la pandemia, tendrá que haber cura para este mundo loco.