Nicaragua, a che punto è il progetto del Canale transoceanico

di Rolando Cruz* www.lantidiplomatico.it

Strategicamente, il Centro America è uno dei primi pensieri dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, e la questione del Nicaragua, tra questi pensieri, è tra i più vivi. Per quanto non se ne parli quotidianamente, come accade per il Medioriente, in certi tavoli degli strateghi della politica internazionale cercare di capire cosa sia il Nicaragua è oggi all’ordine del giorno.

Gli strateghi non riescono a comprendere come il popolo nicaraguense sia così determinato – e anche un po’ fuori dagli schemi – rispetto ad altri popoli che lottano per la loro autodeterminazione; gli strateghi possono stare mesi in questa terra fatta da vulcani e lagune, ma mai riescono a intercettare i tantissimi riflessi sociali che, in verità, non si possono cogliere se non si è “nica”. I “nica”, oggi, sanno benissimo che la loro piccola frangia di terra che si affaccia su entrambi gli oceani sarà, a breve, il punto di interesse maggiore per l’economia mondiale. Lo sarà in virtù di un Canale che potrà cambiare il volto del mondo. E ciò rafforza la resistenza del popolo “nica”, la sua lotta per l’indipendenza e autonomia. E questa coscienza sfugge agli strateghi.

Ma che cos’è questo Canale di cui parliamo, di cui parlano con grande affanno gli strateghi del mondo, nascondendo tuttavia la questione al mondo, proprio per la sua enorme importanza strategica? In verità è ben più di un Canale: esso è una concezione del mondo; non è soltanto una nuova via tra gli oceani, ma quando sarà navigabile potrà essere, non solo per il Nicaragua, una nuova via per la libertà e lo sviluppo economico e sociale. Un nuovo passo per la liberazione dal dominio imperialista USA.

Il Canale è un progetto di nuova navigazione tra il Mar dei Caraibi (Oceano Atlantico) e l’Oceano Pacifico, che dovrà passare attraverso il Nicaragua e che dovrà risalire un corso fluviale sino al lago Nicaragua, per poi negli ultimi 10 chilometri tagliare l’istmo di Rivas, con un grande scavo a partire da Brito. Una nuova via marittima di gigantesca portata sul piano degli scambi commerciali e di interazione tra continenti e popoli, un progetto già pensato dalle prime forze colonialiste e imperialiste europee, già messo a fuoco da Napoleone III all’inizio del XIX secolo e poi a lungo elaborato dagli Stati Uniti, che rinunciarono al Canale del Nicaragua quando acquisirono i diritti della Francia sul Canale di Panama (1904).

Ora, il progetto del Canale del Nicaragua, che sconvolgerebbe gli attuali assetti commerciali internazionali e contribuirebbe a un ulteriore cambio dei rapporti di forza internazionali tra fronte imperialista (fronte USA, essenzialmente) e fronte antimperialista (Cina e Russia) è motivo, proprio per questa sua natura rivoluzionaria sul piano dell’interscambio mondiale, di sempre più forti tensioni tra Nicaragua e USA (appoggiati dalla Costa Rica) da una parte e, sul versante intercontinentale, tra USA e Cina, con a fianco la Russia. Il Nicaragua, dunque, di nuovo, dopo la rivoluzione sandinista e oggi per il Canale, sotto l’occhio vigile, minaccioso e armato degli USA.

Il punto è che nel giugno del 2013 il parlamento nicaraguense approvò un disegno di legge che attribuisce, con una concessione lunga 50 anni, la costruzione del Canale alla Cina e cioè alla “Hong Kong Nicaragua Canal Development Investment Company”. Una concessione rinnovabile per altri 50 anni dopo la concreta realizzazione dell’Opera e l’inizio della navigazione tra oceani. Ed è chiaro che un Canale di questa grande entità storica ed economica (simile, per importanza, al Canale di Suez), che permetterebbe il passaggio alle più grandi navi del mondo, che per le sue dimensioni permetterebbe il transito anche alle portacontainer di grandissima stazza (che non possono passare per il Canale di Panama), diverrebbe (lo è già divenuto) il primo “desiderio” dell’imperialismo USA. Da qui la grande tensione internazionale sul progetto del Canale del Nicaragua.

La Costa Rica, legata agli USA e per bocca di Washington, sta da tempo portando avanti una battaglia contro il progetto nicaraguense di costruzione del Canale, accusando il governo di Managua di lavorare ad un “progetto illegale” e (dovendo sabotare in ogni modo, per ordine di Trump e nello spirito della nuova guerra fredda voluta dagli USA, la relazione tra Nicaragua e Cina) portatore di grande inquinamento atmosferico.

Di grande interesse, rispetto a ciò, è stata la presa di posizione degli esperti russi, che hanno smontato, pezzo per pezzo, tutte le argomentazioni della Costa Rica, accusando il suo governo di essere solamente il portavoce degli interessi nordamericani. Ha scritto ad esempio Mikhail Beljat, docente presso l’Università umanitaria russa: «La Costa Rica sta facendo il gioco degli USA che, a loro volta, stanno conducendo un gioco contro la Cina. Il fatto che chi controlla il Canale, controlla la regione, per cui lo scandalo attorno al Canale non è tanto ecologico quanto politico. Se il Canale fosse costruito dai francesi, sarebbe successa la stessa cosa, solo che i francesi non sceglierebbero mai di fare un dispetto agli USA, costruendo un’alternativa al canale di Panama. Il bersaglio dello scandalo è certamente la Cina. Il nuovo canale è un progetto cinese, lo costruiscono i cinesi, i soldi sono cinesi, pertanto i cinesi avranno una grande influenza sulla regione. È logico che nessuno vuole far entrare in casa propria una potenza che dal punto di vista economico già sta rivaleggiando con gli USA, potendo divenire a breve il numero uno nel mondo. Il desiderio degli USA di bloccare l’influenza di Pechino, da questo punto di vista, dal punto di vista degli interessi imperialisti, è comprensibile».

In verità la Cina sta attivamente sviluppando, come in Africa e come in tutte le aree del mondo dove va avanzando e costituendosi La Nuova Via della Seta (che dissemina tra i Paesi rapporti economici “win-win”, esattamente opposti ai rapporti di natura imperialista e dunque particolarmente invisi ai poli imperialisti) relazioni positive e profonde con diversi Paesi dell’America Latina. Sia il presidente cinese Xi Jinping che il premier Li Keqiang sono già stati più volte, ultimamente, nel continente sudamericano, firmando importanti contratti. Ha scritto a proposito Alexandr Kharlamenko, direttore del Centro di informazione scientifica presso l’Istituto di studi sull’America Latina:

«Le accuse della Costa Rica contro il Nicaragua sono sollecitate dalle forze, in primo luogo americane, che non vogliono l’ampliamento dell’influenza cinese nella regione. Significativo è quanto accaduto durante la visita di Xi Jinping nel 2001: Cina e Messico avevano firmato il contratto per la costruzione di una ferrovia ad alta velocità, ma ben presto questo contratto è stato sospeso dal governo messicano per la pressione degli USA.  Lo stesso sta succedendo anche nel caso del canale del Nicaragua. Le accuse della Costa Rica non sono molto consistenti, perché la parte nicaraguense è stata molto attenta a tutte le critiche. Managua ha rinunciato alla costruzione del canale attraverso il fiume San Juan per non intaccare in alcun modo gli interessi della Costa Rica. Ha accettato di aumentare l’investimento, spostando il tracciato del canale verso Nord, in profondità del territorio nicaraguense. Per questa ragione le accuse della Costa Rica sono in gran parte inventate. Le cause del conflitto vanno cercate lontano dal Centro America».

Un Canale come quello progettato dal Nicaragua e affidato per la realizzazione alla Cina, sarà uno dei centri propulsori delle tensioni e della nuova guerra fredda tra USA E Cina, tra fronti imperialisti e antimperialisti mondiali per i prossimi anni. Sarà così perché il Canale del Nicaragua, attraverso una gigantesca messa a valore di nuovi porti e nuovi indotti economici, cambierà di molto il quadro mondiale dei traffici commerciali.

Immaginiamo, mappa alla mano, cosa potrebbe accadere se Cuba sviluppasse il Porto Franco di Mariel (a 44 km dall’Avana e con uno dei fondali graziati da madre natura che permetterebbe l’attracco di ogni nave) e se in Nicaragua, nella terra popolata dai nipoti di Sandino, si costruisse un Canale capace di decuplicare la quantità di passaggi rispetto a Panama. Ecco, nel caso – auspicabile – che questo sia l’esito del progetto del Canale, l’opinione di molti sui nipoti di Sandino, stravaganti e diversi da ogni altro popolo latinoamericano, potrebbe finalmente cambiare. Nel caso della Vittoria, della messa in opera del Canale, potrà apparire in un’altra luce quella coscienza non ancora laicizzata di tanta parte del popolo nicaraguense, che non bestemmia i santi a ogni piè sospinto, ma che ha saputo mettere a valore in senso rivoluzionario il proprio, diffuso, sentimento religioso.

Forse il primo ad intuire che, a volte, proprio i santi arrivano dove non arriva la teoria marxista, è stato Hugo Chavez. E lo stesso Comandante aveva capito anche come avvicinarsi a un popolo, quello del Nicaragua, che va pian piano dimenticando una guerra che ha segnato profondamente una società e un modello di sviluppo: una guerra molto recente e molto dura, di trincea. Una guerra rivoluzionaria che è stata vinta, così come quella vietnamita, e che vanta, in quel del Pentagono, proprio affisse alle pareti, una di quelle due stelline del lato sinistro che stanno a indicare le uniche due guerre perse dagli Stati Uniti.

In Nicaragua, proprio per la battaglia politica, i sandinisti si sono ispirati anche ad una filosofia che viene definita, a volte un po’ accademicamente, “teologia della liberazione”. Un pensiero e una prassi importanti nella lotta di liberazione del popolo nicaraguense (e non solo) un pensiero e una prassi che hanno accompagnato i dirigenti del Frente Sandinista di Liberazione Nazionale.

La teologia della liberazione nacque in Perù, con il sacerdote Gustavo Gutiérrez Merino, e poi si espanse in Brasile, grazie al fatto che la maggioranza dei cattolici latinoamericani sono concentrati proprio nella regione carioca. Due francescani italiani, Mauro Iacomelli e Bernardino Formiconi, arrivati alla fine degli anni cinquanta, portarono lo spirito della teologia della liberazione in Nicaragua. Questi sacerdoti, arrivati come missionari aventi il compito di sviluppare gli interessi cattolico-romani, ben presto diressero invece la loro azione verso la trasformazione della realtà sociale, economica e culturale del Nicaragua. La prima chiesa da loro costruita, con figura circolare e funzionale alla divulgazione del messaggio fortemente umanitario del Concilio Vaticano Secondo (sedendosi, i contadini e le genti del popolo potevano condividere le emozioni guardandosi negli occhi mentre si celebrava la funzione) era già il segnale della loro voluta vicinanza con il popolo nicaraguense.

I teologi della liberazione riuscirono a fare ciò che il movimento internazionalista di allora non sempre riusciva a fare, nella guerra permanente contro quel capitalismo che, nella seconda metà del ‘900, stava dispiegando il suo massimo sforzo, stava espandendo i confitti bellici, dopo la seconda guerra mondiale e in una piena fase neocoloniale, dall’ Oriente all’America Latina. La teologia della liberazione riuscì a formare guerriglieri con fondamenti marxisti-leninisti, unendo perfettamente il cristianesimo e la Rivoluzione dei Poveri. Padre Uriel Molina Oliú ricorda sempre i suoi incontri con i guerriglieri: loro gli insegnavano il marxismo e lui predicava il Vangelo Cristiano. I concetti sembravano davvero simili. E si univano.

Quando trionfò la Rivoluzione Popolare Sandinista, nel 1979, almeno sei sacerdoti furono riconosciuti come parte fondamentale di quella Rivoluzione, in particolare Fernando Cardenal che, essendo anche un gesuita, si schierò chiaramente e sino in fondo con i poveri. Per questo ancora oggi, nella difesa del progetto del Canale del Nicaragua, tanto inviso agli USA, alle forze conservatrici e ai finti ambientalisti al servizio degli americani, i sacerdoti, i teologi della liberazione hanno un ruolo fondamentale. Schierandosi con lo spirito politico di Chavez, Fidel e Sandino, perché di questi rivoluzionari condividono la via del socialismo cristiano e solidale.

Nell’aprile 2018, proprio cavalcando e utilizzando i movimenti sociali conservatori e spinti dagli USA a battersi contro il Canale del Nicaragua, si è giunti a un tentativo di Colpo di Stato contro il governo legittimo di Managua, contro il Presidente Daniel Ortega, provocando grande paura sociale e gravi danni economici, tra l’altro, per il settore turistico che si era sviluppato negli ultimi anni e portando distruzioni e saccheggi nelle città. Contro i teologi della liberazione, in questi anni, il potere capitalista ha fatto sì che giungessero in Nicaragua sacerdoti nuovi aventi il compito di spostare a destra la barra del cristianesimo nicaraguense. Dalla Chiesa Romana gli ordini sono stati precisi: la teologia della liberazione doveva essere spenta. Cosicché, durante la fase del tentato colpo di Stato dell’aprile 2018 contro il Presidente Daniel Ortega (e contro il Canale del Nicaragua) la nuova Chiesa contraria alla teologia della liberazione ha di fatto fiancheggiato le forze golpiste sorrette da un movimento civico-militare reazionario: ciò ha portato a un duro scontro sociale che ha prodotto, in quei giorni golpisti, 22 morti tra le forze della polizia e 400 morti fra i militanti richiamati dal governo al fine di mantenere l’ordine pubblico. E ai vescovi e ai sacerdoti della nuova linea conservatrice si sino affiancati alcuni vecchi guerriglieri sandinisti, abituati a seguire la Chiesa, ma questa volta a fianco dei poteri forti contro il popolo.

Dopo il tentato golpe (respinto dal governo Ortega) il quadro economico del paese centroamericano, che cresceva al 6% annuo ed era in gran parte determinato dagli investimenti (in buona parte cinesi) per il Canale dei due Oceani, è cambiato in pochi mesi, crollando, come se dietro ci fosse stato un piano studiato a tavolino e diretto ad evitare le strategie degli anni ottanta, quelle che portarono l’esercito americano a uscire con le ossa rotte dal territorio di Sandino.

I risultati economici raggiunti dal gruppo dirigente sandinista, che aveva portato il Nicaragua a diventare un paese moderno e funzionale, sono stati mandati in fumo sfruttando quel sentimento cattolico che, quarant’anni prima, aveva portato alla vittoria del FSLN. Nei giorni del golpe e degli scontri Daniel Ortega non ha mai dato l’ordine a esercito e polizia di intervenire contro gli oppositori che stavano distruggendo le città e bloccando le vie di comunicazione. Voleva un dialogo nazionale e il suo, gravissimo, errore è stato quello di consegnare alla nuova Chiesa Cattolica, anti teologia della liberazione, di organizzare un tavolo di discussione. E, ovviamente, questa Chiesa Cattolica ha indicato la strada più semplice per giungere alla “concordia” nazionale: chiedere le dimissioni del governo stesso, dei dirigenti della Polizia e dell’Esercito.

Nell’aprile 2018, a Managua, non c’era nessun delegato di Papa Francesco all’interno della delegazione diplomatica vaticana. E il vescovo Silvio José Báez Ortega, a capo delle proteste di destra e personaggio più che mai ambiguo e discutibile, con l’arrivo del Nunzio Apostolico Waldermart Etanislao, è stato richiamato a Roma, per la pressione delle comunità ecclesiastiche di base che seguono, ancora oggi, la strada disegnata dai teologi della liberazione.

In ogni periodo storico, in Nicaragua, la religione ha avuto un peso politico importante. C’è da tener conto, peraltro, delle differenze tra le posizioni progressiste e rivoluzionarie nicaraguensi e la cultura marxista e leninista europea nata nel laicismo delle grandi rivoluzioni industriali e nel conseguente sviluppo delle aree metropolitane e sociali: il contesto europeo ha visto forze politiche e ideologiche comuniste e di sinistra che hanno portato avanti battaglie totalmente diverse da quelle centroamericane. Fra le battaglie del fronte comunista e di sinistra quella per l’autodeterminazione della donna con la legge 194 per il diritto all’interruzione della gravidanza (principio ancora oggi inaccettabile da parte delle donne rivoluzionarie sandiniste), e quella per l’uguaglianza dei diritti in base all’orientamento sessuale (che invece, in una società prevalentemente cattolica come quella nicaraguense, risulta quasi essere un’offesa).

In Nicaragua, Paese con 6 milioni di abitanti e una realtà prevalentemente rurale, il cambio che potrà determinarsi nel divenire (attraverso il Canale) un centro mondiale degli scambi commerciali, merita una riflessione profonda. L’attacco da parte dell’Unione Europea (che perderà il suo ruolo chiave nel mercato globale con i porti del Mediterraneo che non saranno più il centro fra Oriente e Occidente) e degli Stati Uniti che, bene o male, con il controllo strategico su Panama (che fino al duemila era anche controllo politico) hanno governato i flussi del capitale mercantile mondiale, sarà ancora più forte. E più forte sarà l’attaccamento del popolo sandinista alla propria memoria storica, che l’ha reso vincente.

Nei giorni dei disordini golpisti, la vicepresidente della Repubblica, Rosario Murillo, è stata la prima ad invocare l’aiuto di Dio per il destino del Paese, con lo slogan: “Fra cristianesimo e rivoluzione non c’è contraddizione”.

*Giornalista; della teologia della liberazione del Nicaragua (traduzione a cura di Fosco Giannini).

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