Juan Alfonso Fernández* https://lapupilainsomne.wordpress.com
Che le Tecnologie dell’Informatica e delle Comunicazione (TIC) in generale, ed Internet in particolare, siano strumenti essenziali per lo sviluppo dei paesi è stato dimostrato senza alcun dubbio. [1]
Ma è stato anche confermato che questo impatto positivo delle TIC e di Internet è significativamente più basso nei paesi in via di sviluppo rispetto ai paesi sviluppati.
Sottosviluppo
Una spiegazione di questa disuguaglianza lo si attribuisce alla mancanza di “preparazione” dei paesi sottosviluppati per estrarli un profitto più integrale alle TIC. [2]
In particolare, in America Latina, si segnala come una delle cause del relativamente basso livello di accesso e di appropriazione delle TIC da parte delle piccole e medie imprese. [3]
Uno studio CEPAL ha indicato che esiste una relazione positiva tra la sofisticazione delle esportazioni e la penetrazione di Internet.
Il rapporto spiega che questo rapporto positivo è il risultato della complementarità tra i due processi: quello della diffusione di tecnologie di uso generale e quello della costruzione di un sistema di produzione diversificato e complesso. [4]
Dopo sottolineare che in America Latina questi processi non raggiungono i livelli delle economie “mature”, il rapporto suggerisce che il ruolo delle TIC nello stimolare la crescita dovrebbe vedersi congiuntamente, e non come sostituto, del ruolo di cambiamento strutturale, dove appaiono tra altre variabili la media della scolarità, l’attività di ricerca e sviluppo, i livelli di investimento e di ruralità.
Un altro studio recente su internet e la povertà in America Latina, pubblicato dalla Rete Dialogo Regionale su Società dell’Informazione, include tra le sue conclusioni che: “Internet, come altri TIC, può essere un potente strumento per il raggiungimento degli obiettivi legati allo sviluppo, tra cui la riduzione della povertà, ma questo potenziale non si farà realtà a meno che le iniziative di connettività si articolano debitamente con investimenti in capitale umano”.
Gli autori segnalano che se le politiche pubbliche non considerano la creazione di capacità, allora gli investimenti tecnologici tendono ad esacerbare le diseguaglianze esistenti. [5]
A tutto questo dobbiamo unire le disuguaglianze nel pagamento della connessione internazionale ad Internet, che favorisce i paesi sviluppati dove si trovano le rete troncali d’Internet, il che implica che i paesi in via di sviluppo devono pagare il 100% del traffico della loro connessione ad internet, anche se questa è in entrambe le direzioni. [6]
E se aggiungiamo che i principali siti di e-commerce si trovano nei paesi sviluppati, il risultato è che, su Internet, il flusso finanziario netto va dai paesi in via di sviluppo verso quelli sviluppati.
Questo squilibrio economico d’internet si accentua con le azioni delle aziende monopolistici d’Internet, la maggior parte degli USA, che accumulano grandi fortune, principalmente attraverso la commercializzazione dei dati personali dei loro utenti.
D’altra parte, nei paesi sottosviluppati i siti internet non commerciali e d’interesse pubblico non sono sostenibili economicamente e devono sopravvivere mediante donazioni private o attraverso sussidi statali.
Un altro aspetto molto importante che incide nella perpetuazione del sottosviluppo è relazionato al tipo di utilizzo attribuito ad Internet.
Diversi studi indicano che in America Latina la maggior parte del tempo degli utenti di internet è destinato ai giochi, l’uso di reti sociali o la visione di video. [7]
Ciò ha portato al paradosso che la regione è in crescita nel numero di utenti Internet senza che ciò si traduca in una spinta allo sviluppo, poiché la rete è usata principalmente per l’intrattenimento e non per scopi produttivi. [8]
Dominazione
È casuale questo stato di cose? Ovviamente no.
I sostenitori del neoliberismo stanno ottenendo d’imporre in internet la loro visione di un mondo in cui imperano i mercati senza restrizioni e dove gli stati e le istituzioni intergovernative, come quelle del sistema delle Nazioni Unite, cessino di svolgere il loro ruoli di garanti dell’ interesse pubblico. [9]
Durante il Vertice Mondiale sulla Società dell’Informazione, celebrato in due fasi in Svizzera nel 2003 e a Tunisi nel 2005, sono stati discussi questi temi e sono stati questionati molti di questi privilegi.
Ad esempio, nel paragrafo 29 dell’ordine del giorno di Tunisi per la Società dell’Informazione si afferma che: “… Internet si è convertito in una risorsa mondiale a disposizione del pubblico e la sua governabilità dovrebbe costituire un elemento essenziale dell’ ordine del giorno della società dell’informazione. La gestione internazionale di Internet dovrebbe essere multilaterale, trasparente e democratica, e farsi con la piena partecipazione dei governi, del settore privato, della società civile e delle organizzazioni internazionali. Questa gestione dovrebbe garantire una distribuzione equa delle risorse, facilitare l’accesso di tutti e garantire un funzionamento stabile e sicuro di Internet, tenendo conto del multilinguismo. “[10]
Per contrastare questa minaccia, da allora in poi il governo e le aziende monopolistiche d’internet degli USA e dei suoi alleati si sono dedicati ad evitare eventuali modifiche allo “status quo” della governabilità di Internet, che potesse mettere in pericolo i loro privilegi.
Per questo hanno lanciato una forte campagna mediatica per auto-titolarsi come difensori della libertà su internet.
Questa fu la strategia utilizzata nel corso della Conferenza Mondiale sulle Telecomunicazioni Internazionali organizzata dalla Unione Internazionale di Telecomunicazione (UIT), nel dicembre del 2012, nella quale sono riusciti ad ottenere che la parola Internet non apparisse in nessuna delle 15 pagine del nuovo regolamento delle Telecomunicazioni Internazionale e dei suoi annessi. [11]
Questa campagna ha ricevuto un forte colpo nel 2013 con le rivelazioni circa i programmi della Agenzia di Sicurezza Nazionale (NSA) degli USA e della Direzione di Comunicazione del Governo (GCHQ) del Regno Unito per spiare le comunicazioni internazionali con la collaborazione delle aziende che offrono i servizi più popolari d’internet. [12]
Tuttavia, questo contrattempo è stato solo temporaneo, poiché i difensori dello status quo hanno recuperato rapidamente, sostituendo lo slogan della loro campagna per “la difesa delle libertà su Internet” con “la difesa del modello” multistakeholder” secondo cui i diversi attori, i governi, il settore privato o aziendale, la società civile e il mondo accademico, partecipano a parità di condizioni nella governance d’Internet. [13]
La prima vittoria di questa nuova strategia dei difensori dello status quo l’hanno ottenuta durante la “Riunione Multisettoriale Globale sul futuro della Governance di Internet”, conosciuto anche come “NET mondiale”, che si è tenuta in Brasile nell’aprile 2014.
Quella riunione fu convocata dal governo del Brasile dopo il discorso della sua presidentessa all’apertura della 68° sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 24 settembre 2013, dove la presidentessa brasiliana ha detto che il suo paese avrebbe presentato proposte per la creazione di una cornice multilaterale per la governance e l’uso di Internet e ha sostenuto la necessità di creare meccanismi multilaterali per la rete mondiale. [14]
Tuttavia, per magia, gli organizzatori della riunione sono riusciti a fare sparire la parola “multilaterale” e sostituirla con “multistakeholder” e stabilire questo concetto nel documento finale dell’evento senza dare troppe spiegazioni. [15]
Un’altra vittoria, più recente, dei difensori dello status quo è stata nella Conferenza dei Plenipotenziari dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT) tenutasi in ottobre e novembre 2014 nella Repubblica di Corea.
Lo stesso governo USA ha dichiarato che la sua delegazione riuscì a soddisfare i quattro obiettivi principali che erano stati proposti, tra cui prevenire l’espansione del ruolo della UIT nelle questioni di governance di Internet e della sicurezza informatica. [16]
Assicurati i loro interessi, almeno per ora, i difensori dello status quo continuano la loro politica di privatizzazione accelerata di internet. Una delle azioni più scandalose in questo senso è l’asta delle parole delle lingue per le quali il miglior offerente le può utilizzare, in esclusiva, come nomi di dominio di livello superiore generico di siti web. [17]
L’azione più recente dei difensori dello status quo è stato il lancio, lo scorso 6 novembre 2014, dell’iniziativa NET mondiale (NMI). [18]
Gli sponsor di questa iniziativa sono la Corporazione d’ Internet per l’Assegnazione di Nomi e Numeri (ICANN), il Foro Economico Mondiale (WEF) e il Comitato Gestore di Internet del Brasile (CGI.br).
La presenza di ICANN non sorprende, dal momento che questa organizzazione non-profit è stata creato nel 1998 da parte del governo USA, con il compito di gestire le risorse critiche di Internet, come il sistema dei nomi di dominio e gli indirizzi IP.
D’altra parte il WEF, un’altra organizzazione senza scopo di lucro, in questo caso Svizzera, più conosciuta per organizzare l’esclusiva riunione annuale dell’élite mondiale di Davos, che da anni difende un modello neoliberista di governo mondiale.
Tuttavia, è da notare la sponsorizzazione di questa iniziativa da parte dell’organizzazione brasiliana.
Cosi come abbiamo commentato precedentemente un altro aspetto molto importante nella perpetuazione del modello di dominazione è relazionato al tipo di utilizzo che viene fatto di internet.
L’Internet di oggi non assomiglia per niente a quello delle sue origini, che prometteva una democratizzazione dell’ accesso all’informazione, che senza dubbio costituiva una minaccia per i poteri egemonici.
È per questo che i difensori dello status quo si sono dati il compito non solo di privatizzare e commercializzare internet, ma di banalizzare le sue applicazioni e contenuti.
Ciò ha costituito, in un certo senso, una ripetizione di quello che hanno fatto con la chiamata “cultura popolare”, che negli anni ’60 del secolo scorso si polarizzò non solo contro la guerra in Vietnam, ma giunse a mettere in discussione il sistema imperante.
Di fronte a questa minaccia si diedero il compito di banalizzare la “cultura popolare”, a quanto pare con successo.
Oggi questi due processi si sono combinati, visto che Internet è diventato una via fondamentale per la fornitura e il consumo di prodotti “culturali”.
Uno dei modi in qui si esegue questo compito di banalizzazione d’internet è attraverso i pacchetti d’accesso che commercializzano la maggior parte delle aziende di telecomunicazioni.
Queste offerte di “giardini recintati” (“walled gardens”), non consentono l’accesso a tutta internet, ma lo limitano a solo una manciata di siti, applicazioni e contenuti commerciali, essenzialmente delle imprese monopolistiche.
Ribellione
Il controllo che i difensori dello status quo hanno avuto ed hanno dei mass media, tra cui naturalmente Internet, è stato tale che nelle loro campagne hanno avuto l’appoggio di una parte della cosiddetta “società civile” e della comunità tecnica che definisce gli standard de internet.
Benché sempre siano esistite voci ed organizzazioni che si sono opposte allo status quo, recentemente sono emerse altre nuove che stanno capeggiando la ribellione.
Per esempio, nel febbraio 2014 è stata costituita una coalizione di organizzazioni sociali e individui che sostengono un’internet giusto ed equo.
Al momento del suo lancio, l’organizzazione chiamata Just Net Coalition (www.justnetcoalition.org), ha emesso la “Dichiarazione di Delhi”, che, tra altre idee, difende il concetto di Internet come bene comune. [19]
Pochi giorni fa quest’organizzazione ha lanciato la convocazione dell’ “Internet Social Forum”, il quale, secondo il comunicato stampa [20]: “… propone riunire ed articolate proposte dalle basi, in relazione all’ “Internet che vogliamo”. Ispirato al Foro Sociale Mondiale e al suo slogan “Un altro mondo è possibile”, il gruppo vuole richiamare l’attenzione urgente alla crescente centralizzazione di Internet, che si propone l’eliminazione delle rendite di monopolio ed il controllo socio-politico, affermando che “Un altro Internet è possibile! “
In America Latina e nei Caraibi, dove in altre aree si va per un percorso di sovranità ed indipendenza, dobbiamo unirci a questa ribellione.
Abbiamo nella regione istituzioni, organizzazioni sociali, donne e uomini di pensiero acuto ed impegnato con la giustizia sociale che svolgono un’analisi molto accurata dello status quo che affrontiamo.
Un esempio di questo è l’eccellente articolo di Sally Burch pubblicato lo scorso 23 dicembre sul sito della Agenzia Latinoamericana d’Informazione, America Latina in Movimento, che consiglio vivamente. [21]
L’articolo afferma alla fine: “Per i paesi dell’America Latina, affrontare questi temi di sovranità, sicurezza informatica e partecipazione nella governance globale di Internet potrebbe essere molto più efficace se è fatto con politiche concertate e agendo come blocco, che se si procede individualmente. Unasur, per certo, ha compiuto un primo passo verso l’elaborazione di una politica di sicurezza e di difesa informatica nel Consiglio della Difesa. Ma in molti aspetti rimane una questione irrisolta.”
Cosa fare?
- È necessario avanzare nell’elaborazione di un concetto di sinistra e con una visione terzomondista d’impatto che hanno nella società le tecnologie in generale e Internet in particolare.
- In particolare, bisogna liberare la creatività per la creazione di contenuti e applicazioni che rompano con il modello colonizzatore predominante dell’ uso di Internet. Le istituzioni produttive, scientifiche ed educative, le organizzazioni sociali e gli stati devono accogliere questo compito.
- Bisogna avanzare nella concettualizzazione di una economia politica di internet. E’ necessario continuare a lottare per una maggiore equità nel modello economico dell’interconnessione internazionale d’internet. Questa lotta deve essere condotta non solo nelle organizzazioni multilaterali, ma anche negli accordi e contrattazioni bilaterali.
- È necessario continuare a lottare per raggiungere una governance internazionale di internet multilaterale e democratica, in base agli accordi del Vertice Mondiale sulla Società dell’Informazione (CMSI). La questione deve essere affrontata quest’anno 2015 nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel corso dei dibattiti per la revisione dei 10 anni della CMSI.
Infine, per riassumere quello che dobbiamo fare in America Latina e nei Caraibi: Dobbiamo darle ad internet da sinistra!
Consigliere del Ministero delle Comunicazioni (MINCOM), Professore Aggiunto all’ Università di Scienze Informatiche (UCI) e Membro del Gruppo Consiglieri del Segretario Generale dell’ ONU per il Forum di Governance d’Internet
[1] “Internet para el desarrollo: Hay mucho que hacer”, La pupila insomne, diciembre 12, 2012
https://lapupilainsomne.wordpress.com/2012/12/12/internet-para-el-desarrollo-hay-mucho-que-hacer/
[2] “Las TIC en las pymes latinoamericanas: acceso y apropiación”, LatAmEconomy.org, 2013
[3] “Conexiones del desarrollo: Impacto de las nuevas tecnologías de la información”, Banco Interamericano de Desarrollo, 2011
http://www.iadb.org/es/investigacion-y-datos/publicacion-dia,3185.html?id=2011
[4] “Perspectivas económicas de América Latina 2014: logística y competitividad para el desarrollo”, CEPAL, 2013
[5] “The Internet and Poverty: Opening the Black Box”, DIRSI, Julio, 2014
[6] “La Crisis de octubre y el secreto mejor guardado de internet”, La pupila insomne, octubre 10, 2012
[7] “Social Networking Eclipses Portals as the Most Engaging Web Activity in Latin America”, comScore, March 21, 2012
[8] “Latin America’s internet paradox”, GlobalPost, November 26, 2012
[9] “Internet: la última batalla del neoliberalismo”, La pupila insomne, diciembre 3, 2012
https://lapupilainsomne.wordpress.com/2012/12/03/internet-la-ultima-batalla-del-neoliberalismo/
[10] “Agenda de Túnez para la Sociedad de la Información”
http://www.itu.int/wsis/docs2/tunis/off/6rev1-es.html
[11] “Conferencia Mundial de Telecomunicaciones: Ni ganadores ni perdedores”, La pupila insomne, diciembre 15, 2013
[12] “Internet, espionaje y extraterritorialidad”, La pupila insomne, junio 24, 2013
https://lapupilainsomne.wordpress.com/2013/06/24/internet-espionaje-y-extraterritorialidad/
[13] “Diez preguntas sobre la gobernanza de Internet”, La pupila insomne, abril 1, 2014
https://lapupilainsomne.wordpress.com/2014/04/01/diez-preguntas-sobre-la-gobernanza-de-internet/
[14] “Gobernanza de Internet: ¿Llegó la hora del multilateralismo?”, La pupila insomne, octubre 14, 2013
[15] Diez respuestas de NETmundial, La pupila insomne, abril 30, 2014
https://lapupilainsomne.wordpress.com/2014/04/30/diez-respuestas-de-netmundial/
[16] “Outcomes from the International Telecommunication Union 2014 Plenipotentiary Conference in Busan, Republic of Korea”, U.S. Department of State
http://www.state.gov/r/pa/prs/ps/2014/11/233914.htm
[17] “Internet debe ser regida por el derecho internacional”, La pupila insomne, mayo 20, 2013
[18] “Iniciativa NETmundial”
[19] “Declaración de Delhi por una Internet Justa y Equitativa”, ALAI
http://alainet.org/active/72842
[20] “Con un llamado a ocupar Internet: Organizaciones de la Sociedad Civil Global lanzan el Foro Social de Internet”, terc3ra información
http://www.tercerainformacion.es/spip.php?article80377
[21] “Soberanía y gobernanza digital”, ALAI
http://alainet.org/active/79703
Internet, subdesarrollo, dominación y rebelión
Que las Tecnologías de la Informática y las Comunicaciones (TIC) en general e internet en particular constituyen herramientas esenciales para el desarrollo de los países ha quedado demostrado sin lugar a dudas. [1]
Pero también se ha confirmado que este impacto beneficioso de las TIC e internet es significativamente menor en los países subdesarrollados en comparación con los países desarrollados.
Subdesarrollo
Una explicación de esta desigualdad lo atribuye a la falta de “preparación” de los países subdesarrollados para extraerle un provecho más integral a las TIC. [2]
En particular, en América Latina, se señala como una de las causas el relativo bajo nivel de acceso y apropiación de las TIC por las pequeñas y medianas empresas. [3]
Un estudio de la CEPAL ha señalado que existe una relación positiva entre la sofisticación de las exportaciones y la penetración de internet.
El informe explica que dicha relación positiva es el resultado de la complementariedad entre dos procesos: el de la difusión de tecnologías de uso general, y el de construcción de un sistema productivo diversificado y complejo. [4]
Tras señalar que en América Latina estos procesos no alcanzan los niveles de las economías “maduras”, el informe sugiere que el papel de las TIC en impulsar el crecimiento debe verse en conjunto, y no como sustituto, del papel del cambio estructural, donde aparecen entre otras variables la media de escolaridad, la actividad de investigación y desarrollo, los niveles de inversión y de ruralidad.
Otro estudio reciente sobre internet y la pobreza en América Latina, publicado por la Red Diálogo Regional sobre Sociedad de la Información, incluye entre sus conclusiones que: “Internet, al igual que otras TICs, puede ser una herramienta poderosa para lograr objetivos vinculados al desarrollo, inclusive el de la reducción de la pobreza, pero este potencial no se hará realidad a menos que las iniciativas de conectividad se articulen debidamente con inversiones en capital humano”.
Los autores señalan que si las políticas públicas no tienen en cuenta la creación de capacidades entonces las inversiones en tecnología tienden a exacerbar las desigualdades existentes. [5]
A todo esto debemos unir la inequidad en el pago de la conexión internacional a internet, que favorece a los países desarrollados donde radican las redes troncales de internet, y que implica que los países subdesarrollados deben pagar el 100% del tráfico de su conexión a internet, aunque esta sea en los dos sentidos. [6]
Y si añadimos que los principales sitios de comercio electrónico se encuentran en los países desarrollados, el resultado es que, en internet, el flujo financiero neto va desde los países subdesarrollados hacia los desarrollados.
Este desbalance económico de internet se acentúa con el accionar de las empresas monopólicas de internet, la mayoría de los EE.UU, las que amasan vastas fortunas, principalmente mediante la comercialización de los datos personales de sus usuarios.
Por otro lado, en los países subdesarrollados los sitios de internet no comerciales y de interés público no son sostenibles económicamente y deben subsistir mediante donaciones privadas o a través de subsidios estatales.
Otro aspecto muy importante que incide en la perpetuación del subdesarrollo está relacionado con el tipo de uso que se le da a internet.
Diversos estudios señalan que en América Latina la mayoría del tiempo de los usuarios de internet se destina a los juegos, el uso de redes sociales o la visualización de videos. [7]
Esto ha conducido a la paradoja que la región está creciendo en la cantidad de usuarios de internet sin que ello se traduzca en un impulso al desarrollo, ya que la red es utilizada mayoritariamente para el entretenimiento y no para propósitos productivos. [8]
Dominación
¿Es casual este estado de cosas? Por supuesto que no.
Los partidarios del neoliberalismo están logrando imponer en internet su visión de un mundo donde imperen los mercados sin ninguna restricción y donde los estados y las instituciones intergubernamentales, como las del sistema de las Naciones Unidas, dejen de cumplir sus roles de garantes del interés público. [9]
Durante la Cumbre Mundial sobre la Sociedad de la Información, celebrada en dos fases en Suiza en el 2003 y en Túnez en el 2005 se discutieron estos temas y se cuestionaron muchos de estos privilegios.
Por ejemplo, en el párrafo 29 de la Agenda de Túnez para la Sociedad de la Información se expresa que: “… Internet se ha convertido en un recurso mundial disponible para el público y su gobernanza debería constituir un elemento esencial del orden del día de la Sociedad de la Información. La gestión internacional de Internet debería ser multilateral, transparente y democrática, y hacerse con la plena participación de los gobiernos, el sector privado, la sociedad civil y las organizaciones internacionales. Esta gestión debería garantizar una distribución equitativa de los recursos, facilitar el acceso de todos y garantizar un funcionamiento estable y seguro de Internet, tomando en consideración el multilingüismo.” [10]
Para contrarrestar esta amenaza, a partir de entonces el gobierno y las empresas monopólicas de internet de los Estados Unidos y sus aliados se han dedicado a evitar cualquier cambio al “status quo” de la gobernanza de internet que pudiese poner en peligro sus privilegios.
Para ello lanzaron una fuerte campaña de prensa para auto-titularse como los defensores de las libertades en internet.
Esta fue la estrategia que utilizaron durante la Conferencia Mundial de Telecomunicaciones Internacionales organizada por la Unión Internacional de Telecomunicaciones (UIT) en diciembre del 2012, donde lograron que la palabra internet no apareciera en ninguna de las 15 páginas del nuevo Reglamento de las Telecomunicaciones Internacionales y sus anexos. [11]
Esta campaña recibió un fuerte golpe en el 2013 con las revelaciones sobre los programas de la Agencia de Seguridad Nacional (NSA) de los Estados Unidos y de la Dirección de Comunicaciones del Gobierno (GCHQ) del Reino Unido para realizar espionaje a las comunicaciones internacionales con la colaboración de las empresas que brindan los servicios más populares de internet. [12]
Sin embargo, este revés fue sólo momentáneo, ya que los defensores del status quo se recuperaron rápidamente, sustituyendo el lema de su campaña de “la defensa de las libertades en internet” por “la defensa del modelo «multistakeholder»” según el cual los diferentes actores, los gobiernos, el sector privado o empresarial, la sociedad civil y el sector académico, participan en igualdad de condiciones en la gobernanza de internet. [13]
La primera victoria de esta nueva estrategia de los defensores del status quo la obtuvieron durante la “Reunión Multisectorial Global sobre el futuro de la Gobernanza de Internet”, también conocida como “NETmundial”, que se llevó a cabo en Brasil en abril del 2014.
Esa reunión fue convocada por el gobierno de Brasil a raíz del discurso de su presidenta en la apertura del 68va sesión de la Asamblea General de las Naciones Unidas, el 24 de septiembre del 2013, donde la mandataria brasileña anunció que su país presentaría propuestas para el establecimiento de un marco multilateral para la gobernanza y uso de Internet y reclamó la necesidad de crear mecanismos multilaterales para la red mundial. [14]
Sin embargo, por arte de birlibirloque, los organizadores de la reunión lograron hacer desaparecer la palabra «multilateral» y sustituirla por «multistakeholder» y establecer ese concepto en el documento final del evento sin dar muchas explicaciones.[15]
Otra victoria más reciente de los defensores del status quo fue en la Conferencia de Plenipotenciarios de la Unión Internacional de Telecomunicaciones (UIT) que se celebró en octubre y noviembre del 2014 en la República de Corea.
El propio gobierno de los EE.UU. declaró que su delegación logró el cumplimiento de los cuatro objetivos primordiales que se habían propuesto, entre ellos el evitar la expansión del rol de la UIT en los temas de gobernanza de internet y de la ciberseguridad. [16]
Asegurados sus intereses, al menos por el momento, los defensores del status quo continúan aceleradamente con su política de privatización de internet. Una de las acciones más escandalosas en este sentido es la subasta de las palabras de los idiomas para que el mejor postor las pueda utilizar en exclusiva como nombres de dominio de nivel superior genéricos de sitios en internet. [17]
La más reciente acción de los defensores del status quo fue el lanzamiento el pasado 6 de noviembre del 2014 de la Iniciativa NETmundial (NMI). [18]
Los patrocinadores de esta iniciativa son la Corporación de Internet para la Asignación de Nombres y Números (ICANN), el Foro Económico Mundial (WEF) y el Comité Gestor de Internet de Brasil (CGI.br).
La presencia de ICANN no llama la atención, ya que esta organización sin ánimo de lucro fue creada en 1998 por el Gobierno de los Estados Unidos con el encargo de gestionar los recursos críticos de internet como el sistema de nombres de dominios y las direcciones IP.
Por otro lado el WEF, otra organización sin ánimo de lucro, en este caso de Suiza, más conocido por organizar la exclusiva reunión anual de la élite mundial en Davos, lleva años defendiendo un modelo neoliberal de gobierno del mundo.
Sin embargo, llama la atención el patrocinio de esta iniciativa por la organización brasilera.
Tal como comentamos anteriormente otro aspecto muy importante en la perpetuación del modelo de dominación está relacionado con el tipo de uso que se le da a internet.
La internet de hoy en día no se parece en nada a la de sus orígenes, la que prometía una democratización del acceso a la información, lo que sin dudas constituía una amenaza a los poderes hegemónicos.
Es por ello que los defensores del status quo se dieron a la tarea no solo de privatizar y comercializar a internet, sino de banalizar sus aplicaciones y contenidos.
Ello constituyó, en cierto sentido, una repetición de lo que hicieron con la llamada “cultura popular”, la que en la década del 60 del pasado siglo se polarizó no solo en contra de la guerra en Vietnam, sino que llegó a cuestionar al sistema imperante.
Ante esta amenaza se dieron entonces a la tarea de banalizar la “cultura popular”, aparentemente con éxito.
Hoy estos dos procesos se han combinado, teniendo en cuenta que internet se ha convertido en una vía fundamental para el suministro y consumo de productos “culturales”.
Una de las formas en que se lleva a cabo esta tarea de banalización de internet es mediante los paquetes de acceso que comercializan la mayoría de las empresas de telecomunicaciones.
Estas ofertas de “jardines vallados” (“walled gardens”), no permiten el acceso a toda la internet, sino que lo limitan a sólo un puñado de sitios, aplicaciones y contenidos comerciales, fundamentalmente de las empresas monopólicas.
Rebelión
El control que los defensores del status quo han tenido y tienen de los medios masivos de comunicación, incluyendo por supuesto internet, ha sido tal que en sus campañas han contado con el apoyo de una parte de la denominada “sociedad civil” y de la comunidad técnica que configura los estándares de internet.
Aunque siempre han existido voces y organizaciones que se han opuesto al status quo, recientemente han surgido otras nuevas que están encabezando la rebelión.
Por ejemplo, en febrero del 2014 quedó conformada una coalición de organizaciones sociales y personas que abogan por una internet justa y equitativa.
Al momento de su lanzamiento, la organización, denominada Just Net Coalition (www.justnetcoalition.org), emitió la “Declaración de Delhi” la que, entre otras ideas, defiende el concepto de internet como un bien común. [19]
Hace unos días esta organización lanzó la convocatoria del “Foro Social de Internet”, el cual, según la nota de prensa [20]: “… propone reunir y articular propuestas desde las bases, respecto al “Internet que queremos”. Inspirado en el Foro Social Mundial y su lema “Otro mundo es posible”, el grupo quiere llamar la atención urgente sobre la creciente centralización de Internet, que persigue la extracción de rentas monopólicas y el control socio-político, afirmando que “¡Otro Internet es posible!”
En América Latina y el Caribe, donde en otros ámbitos se transita por un camino de soberanía e independencia, debemos sumarnos a esta rebelión.
Tenemos en la región instituciones, organizaciones sociales, mujeres y hombres de pensamiento agudo y comprometido con la justicia social que realizan análisis muy certeros del status quo al que nos enfrentamos.
Un ejemplo de ello es el excelente artículo de Sally Burch publicado el pasado 23 de diciembre en el sitio web de la Agencia Latinoamericana de Información, América Latina en Movimiento, el cual recomiendo encarecidamente. [21]
El artículo expresa al final: “Para los países latinoamericanos, abordar estos temas de soberanía, ciberseguridad y la participación en la gobernanza global de Internet podría ser mucho más efectivo si se lo hace con políticas concertadas y actuando como bloque, que si se procede en forma individual. Unasur, por cierto, ha dado un primer paso hacia la elaboración de una política de ciberseguridad y ciberdefensa en el Consejo de Defensa. Pero en muchos aspectos sigue siendo un tema pendiente.”
¿Qué hacer?
- Es necesario avanzar en la elaboración de una concepción de izquierda y con visión tercermundista del impacto que tienen en la sociedad las tecnologías en general e internet en particular.
- En particular hay que desatar la creatividad para la creación de contenidos y aplicaciones que rompan con el modelo colonizador predominante del uso de internet. Las instituciones productivas, científicas y educativas, las organizaciones sociales y los estados deben acoger esta tarea.
- Hay que avanzar en la conceptualización de una economía política de internet. Es necesario continuar luchando por una mayor equidad en el modelo económico de la interconexión internacional de internet. Esa lucha debe librarse no solo en los organismos multilaterales sino también en los acuerdos y contrataciones bilaterales.
• Es necesario continuar luchando por lograr una gobernanza internacional de internet multilateral y democrática, basada en los acuerdos de la Cumbre Mundial sobre la Sociedad de la Información (CMSI). El tema debe ser tratado este año 2015 en la Asamblea General de las Naciones Unidas durante los debates por la revisión de 10 años de la CMSI.
En fin, para resumir lo que debemos hacer en América Latina y el Caribe: ¡Debemos darle a internet de zurda!